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martedì 4 dicembre 2012

HANNO RAGIONE QUELLI DI SINISTRA. PERCHE' CHIEDERE A LORO DI DIVENTARE QUELLO CHE NON SONO ?



L’articolo di Mucchetti, credo l’unico giornalista che mi sta antipatico del Corriere della Sera, dice cose giuste. E’ legittimo e normale che in una società ci siano idee diverse su come questa debba svilupparsi, evolversi. SU alcune cose è bene che ci siano convergenze universali : la scelta democratica tra queste ma anche i principi cardine dell’ordinamento costituzionale . Che, badate, non sono TUTTI gli articoli della nostra Costituzione per esempio, ma quella ventina che trattano di diritti irrinunciabili. Sul resto, la divisione è fisiologica. E’ giusto che Bersani abbia prevalso nelle primarie della sinistra. Forse è meno giusto continuare a chiamare il PD partito di centro sinistra, visto che, come ricorda bene proprio Mucchetti, quella formazione di centro ha poco e destinato alla marginalizzazione. Quello che dice Mucchetti, credo se ne dispiacerà ma tant’è, lo ha detto anche La Russa ieri da Vespa ” la vittoria di Bersani fa definitiva chiarezza “. Il PD è tornato ad essere il PDS, la formazione post comunista che già con Occhetto si era mossa , causa crollo muro e poi dell’URSS nei primi anni 90, verso posizioni più socialdemocratiche. Io non credo che la sinistra italiana c’entri molto con i democratici americani (che però Mucchetti cita ) , e sarebbe difficile che accadesse visto il cammino e la storia comunque diversissimi di queste due formazioni politiche. Così come ci sono poche similitudini tra i labouristi inglesi, e non solo quelli blairiani, ma anche gli attuali, con il PD di Bersani ( potevano esserci con quello di Veltroni ieri, di Renzi oggi, se avesse vinto ) , molto più vicino ai socialisti francesi e ad Hollande (infatti l’unico citato ). Non c’è nulla di male, anzi così è tutto più chiaro. Il rimprovero che Mucchetti fa al centro destra è giusto : pensate a fare ordine in casa vostra, chiedetevi perché il liberismo in Italia ha fallito (oddio, io direi : perché non ha mai attecchito. Definire l’Italia anche degli ultimi 20 anni un paese liberista,,,,ce ne vuole di fantasia !! ) e trovate, se ci riuscite, i correttivi necessari. Resta l’equivoco Renzi. Col PD attuale lui non c’entra. Non perché liberista, non lo è . Ma perché è un Liberal, e quindi poco statalista, per nulla assistenzialista. Mucchetti, coerentemente con la sua estrazione evidentemente socialista, non ha in simpatia la parola Merito e Concorrenza, che sono le parole d’ordine di Professori e Opinionisti a lui opposti : Giavazzi e Alesina (che cita ) ma anche Zingales (che infatti è simpatizzante di Renzi, e/o viceversa ), Bisin, Boldrin, Turani fino ai socialdemocratici Morando e Ichino.
Sono priorità che non piacciono alla sinistra, si sa. E quindi Renzi con questa sinistra non c’entra. Ne prendesse atto e uscisse. Noi, liberali aperti al riformismo, e all’utile compromesso con istanze di solidarietà non assistenziale, con politiche che favoriscono la parità dei punti di partenza , e non già quelli di arrivo (le differenze tra destra e sinistra : Norberto Bobbio ) sono certo accoglieremmo a braccia aperte il movimento liberal e non socialista dei “renziani”.

LA STRANA PRETESA DEI LIBERISTI. CHIEDERE ALLA SINISTRA DI FARE LA DESTRA  

L’intellettualità liberista italiana aveva eletto Matteo Renzi a proprio campione. E ora si dice delusa perché il Pd e, più in generale, il centro-sinistra non ne hanno accolto le suggestioni alle primarie. Ma ha senso una simile delusione? Credo di no. Sui diritti politici e sull’architettura istituzionale la convergenza delle diverse culture politiche è possibile e utile. L’ha dimostrato la Costituzione, elaborata dopo la Seconda guerra mondiale. Lo hanno poi confermato le leggi sui diritti civili, sulle quali si sono formati consensi trasversali, basati su scelte di coscienza. È invece sull’economia e sul finanziamento delle politiche sociali che si articola l’opposizione tra le tesi socialdemocratiche e socialcristiane, tipiche del Pd in Italia e dei partiti socialisti in Europa, e le tesi liberiste, tradizionalmente coltivate dalla destra. Perché mai questo duello, che costituisce il sale delle democrazie occidentali, dovrebbe risolversi all’interno di una sola area politica, il centro-sinistra, o meglio di un solo partito, il Pd?
Negli Stati Uniti, il movimento dei Tea Party non pretende di dettare la linea al Partito democratico. Gli basta condizionare e magari conquistare il Partito repubblicano. In Italia, invece, si vorrebbe che il Pd diventasse liberista perché, come titola un fortunato pamphlet di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, il liberismo sarebbe di sinistra. Ma un conto è un tentativo di egemonia culturale come quello fatto dai due economisti di scuola, appunto, liberista, ben altro conto è intestare una politica di destra all’altra ala dello schieramento politico. Le contaminazioni fanno bene al pensiero. Tutti possono imparare qualcosa da tutti. Dal fallimento dell’Unione Sovietica, le sinistre hanno imparato a diffidare delle nazionalizzazioni generalizzate e della pianificazione centralizzata oltre che dal regime a partito unico. Vista la crudeltà del capitalismo manchesteriano, i liberali di fine Ottocento accettarono l’idea, cara al nascente socialismo, di limitare per legge a otto ore la giornata di lavoro. Dalla crisi del 1929, uscirono negli Usa e in Italia le leggi bancarie che tagliarono le unghie alla speculazione fatta con i soldi degli altri e l’intervento statale nell’economia. Ex comunisti, ex socialisti ed ex democristiani possono pur ritrovarsi sotto lo stesso tetto del Pd, visto che, nella politica economica, erano tutti più o meno socialdemocratici. Ma le contaminazioni non possono essere spinte fino alla democrazia che si compie in un partito solo.
Per funzionare bene, la democrazia ha bisogno di chiarezza e di pluralismo. E allora l’intellettualità liberal-liberista dovrebbe chiedersi come mai, nonostante la simpatia dei media e la diffusa voglia di facce nuove, Matteo Renzi non ce l’abbia fatta. Tirare in ballo l’ostilità di apparati che non esistono più (al Pd ne resta uno pari a un decimo di quello degli anni Settanta) equivale a fuggire davanti alle domande difficili così come fuggivano gli ex comunisti nel 1994 quando attribuivano la propria sconfitta alle televisioni di Berlusconi e non ai propri limiti. Le domande difficili sono due: a) come mai, in Italia, la cultura politica liberale non è riuscita a conquistare l’egemonia, in particolare nell’area politica che gli è storicamente affine, e cioè nel centro-destra? b) che cosa potrebbe fare, adesso, per risalire la china?
Una democrazia funzionante ha bisogno di schieramenti politici presentabili. Il centro-sinistra, pur con tanti limiti, lo è. Il centro-destra, purtroppo, si è illuso di esserlo. Più che discutere di Renzi e Bersani, questa intellettualità dovrebbe aiutare la destra politica a capire come mai Silvio Berlusconi e i partiti da lui guidati (Forza Italia, il Pdl) non siano mai diventati quel partito liberale di massa che promettevano di essere. Confessando, magari, perché per tanti anni questa stessa intellettualità ci aveva creduto. C’è tutta una storia patria da revisionare. A partire dall’Unità d’Italia. Ma c’è anche un ripensamento più radicale sui tempi recenti. Un ripensamento a proposito di due scelte. La prima è di tipo economico e consiste nell’aver cercato di estendere senza più confini l’area dell’economia di mercato all’interno dell’economia e l’influenza del capitalismo finanziario all’interno dell’economia di mercato. La seconda scelta è di tipo antropologico e riguarda la centralità assoluta attribuita alla competizione, con relativa, superficiale mitizzazione della cosiddetta meritocrazia, rispetto all’arte della collaborazione e alla gestione politica delle disuguaglianze. Per favorire questo duplice processo si è ridotta l’azione di governo a mero arbitraggio. Con il risultato che i più forti hanno sì sovrastato senza remore i più deboli, ma alla fine hanno rotto il giocattolo dell’economia.  ( è evidente che il camerlengo NON condivida questa rappresentazione, nell'accezione partigiana e negativa dei concetti di merito e concorrenza. però è utile evidenziarla perché è VERO che rappresenti un nodo del confronto tra due diverse filosofie di società ). 
Preso atto del successo di Obama, i repubblicani americani stanno ripensando le proprie scelte. La cultura della destra italiana, presto o tardi, dovrà fare i conti con l’età berlusconiana. E questa è una responsabilità alla quale non poteva sfuggire andando a covare il proprio uovo nel nido del Pd.

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