L’articolo di Mucchetti, credo l’unico giornalista che mi
sta antipatico del Corriere della Sera, dice cose giuste. E’ legittimo e
normale che in una società ci siano idee diverse su come questa debba
svilupparsi, evolversi. SU alcune cose è bene che ci siano convergenze
universali : la scelta democratica tra queste ma anche i principi cardine
dell’ordinamento costituzionale . Che, badate, non sono TUTTI gli articoli
della nostra Costituzione per esempio, ma quella ventina che trattano di
diritti irrinunciabili. Sul resto, la divisione è fisiologica. E’ giusto che
Bersani abbia prevalso nelle primarie della sinistra. Forse è meno giusto
continuare a chiamare il PD partito di centro sinistra, visto che, come ricorda
bene proprio Mucchetti, quella formazione di centro ha poco e destinato alla
marginalizzazione. Quello che dice Mucchetti, credo se ne dispiacerà ma tant’è,
lo ha detto anche La Russa ieri da Vespa ” la vittoria di Bersani fa definitiva
chiarezza “. Il PD è tornato ad essere il PDS, la formazione post comunista che
già con Occhetto si era mossa , causa crollo muro e poi dell’URSS nei primi
anni 90, verso posizioni più socialdemocratiche. Io non credo che la sinistra
italiana c’entri molto con i democratici americani (che però Mucchetti cita ) ,
e sarebbe difficile che accadesse visto il cammino e la storia comunque
diversissimi di queste due formazioni politiche. Così come ci sono poche similitudini
tra i labouristi inglesi, e non solo quelli blairiani, ma anche gli attuali,
con il PD di Bersani ( potevano esserci con quello di Veltroni ieri, di Renzi
oggi, se avesse vinto ) , molto più vicino ai socialisti francesi e ad Hollande
(infatti l’unico citato ). Non c’è nulla di male, anzi così è tutto più chiaro.
Il rimprovero che Mucchetti fa al centro destra è giusto : pensate a fare
ordine in casa vostra, chiedetevi perché il liberismo in Italia ha fallito
(oddio, io direi : perché non ha mai attecchito. Definire l’Italia anche degli
ultimi 20 anni un paese liberista,,,,ce ne vuole di fantasia !! ) e trovate, se
ci riuscite, i correttivi necessari. Resta l’equivoco Renzi. Col PD attuale lui
non c’entra. Non perché liberista, non lo è . Ma perché è un Liberal, e quindi
poco statalista, per nulla assistenzialista. Mucchetti, coerentemente con la
sua estrazione evidentemente socialista, non ha in simpatia la parola Merito e
Concorrenza, che sono le parole d’ordine di Professori e Opinionisti a lui opposti
: Giavazzi e Alesina (che cita ) ma anche Zingales (che infatti è simpatizzante
di Renzi, e/o viceversa ), Bisin, Boldrin, Turani fino ai socialdemocratici
Morando e Ichino.
Sono priorità che non piacciono alla sinistra, si sa. E
quindi Renzi con questa sinistra non c’entra. Ne prendesse atto e uscisse. Noi,
liberali aperti al riformismo, e all’utile compromesso con istanze di
solidarietà non assistenziale, con politiche che favoriscono la parità dei
punti di partenza , e non già quelli di arrivo (le differenze tra destra e
sinistra : Norberto Bobbio ) sono certo accoglieremmo a braccia aperte il
movimento liberal e non socialista dei “renziani”.
L’intellettualità liberista italiana aveva eletto Matteo
Renzi a proprio campione. E ora si dice delusa perché il Pd e, più in generale,
il centro-sinistra non ne hanno accolto le suggestioni alle primarie. Ma ha
senso una simile delusione? Credo di no. Sui diritti politici e
sull’architettura istituzionale la convergenza delle diverse culture politiche
è possibile e utile. L’ha dimostrato la Costituzione, elaborata dopo la Seconda
guerra mondiale. Lo hanno poi confermato le leggi sui diritti civili, sulle
quali si sono formati consensi trasversali, basati su scelte di coscienza. È
invece sull’economia e sul finanziamento delle politiche sociali che si
articola l’opposizione tra le tesi socialdemocratiche e socialcristiane,
tipiche del Pd in Italia e dei partiti socialisti in Europa, e le tesi
liberiste, tradizionalmente coltivate dalla destra. Perché mai questo duello,
che costituisce il sale delle democrazie occidentali, dovrebbe risolversi
all’interno di una sola area politica, il centro-sinistra, o meglio di un solo
partito, il Pd?
Negli Stati Uniti, il movimento dei Tea Party non pretende
di dettare la linea al Partito democratico. Gli basta condizionare e magari
conquistare il Partito repubblicano. In Italia, invece, si vorrebbe che il Pd
diventasse liberista perché, come titola un fortunato pamphlet di Alberto
Alesina e Francesco Giavazzi, il liberismo sarebbe di sinistra. Ma un conto è
un tentativo di egemonia culturale come quello fatto dai due economisti di
scuola, appunto, liberista, ben altro conto è intestare una politica di destra
all’altra ala dello schieramento politico. Le contaminazioni fanno bene al
pensiero. Tutti possono imparare qualcosa da tutti. Dal fallimento dell’Unione
Sovietica, le sinistre hanno imparato a diffidare delle nazionalizzazioni
generalizzate e della pianificazione centralizzata oltre che dal regime a
partito unico. Vista la crudeltà del capitalismo manchesteriano, i liberali di
fine Ottocento accettarono l’idea, cara al nascente socialismo, di limitare per
legge a otto ore la giornata di lavoro. Dalla crisi del 1929, uscirono negli
Usa e in Italia le leggi bancarie che tagliarono le unghie alla speculazione
fatta con i soldi degli altri e l’intervento statale nell’economia. Ex
comunisti, ex socialisti ed ex democristiani possono pur ritrovarsi sotto lo
stesso tetto del Pd, visto che, nella politica economica, erano tutti più o
meno socialdemocratici. Ma le contaminazioni non possono essere spinte fino
alla democrazia che si compie in un partito solo.
Per funzionare bene, la democrazia ha bisogno di chiarezza e
di pluralismo. E allora l’intellettualità liberal-liberista dovrebbe chiedersi
come mai, nonostante la simpatia dei media e la diffusa voglia di facce nuove,
Matteo Renzi non ce l’abbia fatta. Tirare in ballo l’ostilità di apparati che
non esistono più (al Pd ne resta uno pari a un decimo di quello degli anni
Settanta) equivale a fuggire davanti alle domande difficili così come fuggivano
gli ex comunisti nel 1994 quando attribuivano la propria sconfitta alle
televisioni di Berlusconi e non ai propri limiti. Le domande difficili sono
due: a) come mai, in Italia, la cultura politica liberale non è riuscita a
conquistare l’egemonia, in particolare nell’area politica che gli è
storicamente affine, e cioè nel centro-destra? b) che cosa potrebbe fare,
adesso, per risalire la china?
Una democrazia funzionante ha bisogno di schieramenti
politici presentabili. Il centro-sinistra, pur con tanti limiti, lo è. Il centro-destra,
purtroppo, si è illuso di esserlo. Più che discutere di Renzi e Bersani, questa
intellettualità dovrebbe aiutare la destra politica a capire come mai Silvio
Berlusconi e i partiti da lui guidati (Forza Italia, il Pdl) non siano mai
diventati quel partito liberale di massa che promettevano di essere.
Confessando, magari, perché per tanti anni questa stessa intellettualità ci
aveva creduto. C’è tutta una storia patria da revisionare. A partire dall’Unità
d’Italia. Ma c’è anche un ripensamento più radicale sui tempi recenti. Un
ripensamento a proposito di due scelte. La prima è di tipo economico e consiste
nell’aver cercato di estendere senza più confini l’area dell’economia di
mercato all’interno dell’economia e l’influenza del capitalismo finanziario
all’interno dell’economia di mercato. La seconda scelta è di tipo antropologico
e riguarda la centralità assoluta attribuita alla competizione, con relativa,
superficiale mitizzazione della cosiddetta meritocrazia, rispetto all’arte
della collaborazione e alla gestione politica delle disuguaglianze. Per
favorire questo duplice processo si è ridotta l’azione di governo a mero
arbitraggio. Con il risultato che i più forti hanno sì sovrastato senza remore
i più deboli, ma alla fine hanno rotto il giocattolo dell’economia. ( è evidente che il camerlengo NON condivida questa rappresentazione, nell'accezione partigiana e negativa dei concetti di merito e concorrenza. però è utile evidenziarla perché è VERO che rappresenti un nodo del confronto tra due diverse filosofie di società ).
Preso atto del successo di Obama, i repubblicani americani
stanno ripensando le proprie scelte. La cultura della destra italiana, presto o
tardi, dovrà fare i conti con l’età berlusconiana. E questa è una
responsabilità alla quale non poteva sfuggire andando a covare il proprio uovo
nel nido del Pd.
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