Il Cigno Nero è il titolo di un libro regalatomi da un amico, Gianluca, diverso tempo fa. Scritto da Nassim Nicholas Taleb, spiega, in modo più suggestivo, un concetto non nuovo : gli esseri umani, in una situazione di forte stress, di pressione insolita, possono crollare certo, ma anche , all'opposto, scoprire in se stessi capacità di reazione che mai avrebbero immaginato di possedere. Non è il conosciuto " cogliere le opportunità che una crisi offre ", che pure è vero, ma l'osservare come di fronte all'IMPREVISTO, all'evento che non è consueto nemmeno in Natura, si possa reagire positivamente. Di qui il titolo. I Cigni sono BIANCHI, un cigno nero è una anomalia che però capita e alla quale non bisogna arrendersi.
Bello no ?
C'è una condizione perché questa qualità non si disperda : evitare di cedere alle paure legate alla propria fragilità . Nel timore di non essere in grado di farcela , finiamo per essere ossessionati dalla esigenza di prevedere, programmare e quindi evitare imprevisti di sorta.
Questo, come ciascuno di noi sa, non è mai del tutto possibile. Dobbiamo accettarlo.
Danilo Taino, nel supplemento culturale del Corriere , scrive un bell'articolo su Taleb e il suo ultimo libro, "Antifragile, le cose che nel disordine ci guadagnano" , che è decisamente politically incorrect ma che piacerà a diversi miei amici, anche di "frange" opposte...
Buona Lettura
ELOGIO DELL'ANTIFRAGILITA'
Se siamo nei guai, come in effetti siamo a causa di questa
dannata crisi, è anche perché negli ultimi decenni il mondo è stato dominato
dal «fragilista» — dice Nassim Nicholas Taleb. Questa figura dominante, che
dovremmo imparare a tenere a bada, presenta caratteri chiari: «Il fragilista
prende una cotta per l’illusione harvardiano-sovietica, la (non scientifica)
sovrastima della portata della conoscenza scientifica». Appartiene — aggiunge
affinché lo individuiamo a prima vista — «a quella categoria di persone che di
solito sono in abito e cravatta, persino il venerdì», siede a una scrivania,
viaggia molto in aereo e «spesso è coinvolto in uno strano rituale, qualcosa di
solito chiamato “meeting”». Soprattutto, crede che quello che non vede non
esista, «al nocciolo, tende a confondere lo sconosciuto con il non esistente».
L’antidoto al fragilista è l’antifragilista.
Dietro a questa conclusione sta una costruzione teorica che
Taleb spiega in un libro appena pubblicato in America da Random House,
Antifragile. Things that Gain from Disorder («Antifragile. Cose che dal
disordine ci guadagnano»). Non è un’interpretazione della realtà nuovissima,
però oggi è una sfida aperta al pensiero dominante.
...... nel 2007 scrisse un libro di successo mondiale, The Black Swan
(«Il cigno nero»), sull’impatto dell’altamente improbabile. Ed è proprio da qui
che si deve partire per capire che cosa ci dice oggi.
Il cigno nero è un evento non prevedibile. Come
un’improvvisa crisi finanziaria o uno tsunami. Le crisi finanziarie e gli
tsunami, come ogni cigno nero, ci fanno però male non perché non siamo capaci
di prevederli. Ma perché il pensiero dominante — e dunque le politiche
pubbliche come le scelte individuali — è dominato dai fragilisti, cioè da
coloro che credono di potere dominare la realtà e i rischi perché hanno
studiato a Harvard o perché il partito comunista li ha messi al potere nella
Mosca sovietica. Cosa fanno i fragilisti? Vedono le fragilità del mondo e
cercano di irrobustire i punti deboli, cercano di prevedere e anticipare,
costruiscono muri. Ma quando arriva il non previsto, il non atteso, rimangono esposti
senza ombrello. Da questo punto di vista, per dire, pretendere che gli
economisti prevedano le crisi o i sismologi ogni terremoto è non solo
un’illusione harvardiano- sovietica, è soprattutto un errore grave.
Grave perché il contrario di «fragile» non è «resistente» o
«robusto» — sostiene Taleb —. Il contrario di fragile è «antifragile» (sua
invenzione), cioè qualcosa che sotto stress si trasforma e accresce la sua
capacità di rispondere agli eventi. «Il resiliente resiste agli shock e rimane
lo stesso: l’antifragile migliora».
Noi umani tendiamo a rispondere alle
avversità meglio di quanto non pensino i fragilisti, che ci vogliono proteggere
con interventi dello Stato, con reti sociali sempre più ampie, con regole e con
divieti.
«Siamo largamente più bravi a fare che non a pensare, grazie
all’antifragilità — dice l’antiaccademico Taleb —. Preferisco essere stupido e
antifragile piuttosto che brillante e fragile, tutta la vita». Darwinismo del
XXI secolo, si può dire: come gli animali, anche il corpo sociale si adatta
all’ambiente esterno e agli shock. Anzi, sono la volatilità, l’inatteso, gli
stress a renderci più capaci di affrontare il mondo: cercare di evitare tutto
ciò non è solo inutile, ci indebolisce.
Taleb — che dice di aver scelto un campo di attività nel
quale gli arrivano molte critiche che lo rendono via via più antifragile — non
risparmia esempi, nel suo libro. Non fa classifiche. Ma, seguendo la sua
impostazione, il fragilista che in anni recenti ha fatto i danni maggiori è
probabilmente Alan Greenspan, l’uomo che ha guidato la Federal Reserve
americana dal 1987 al 2006. Con la presunzione di eliminare i cicli economici,
cioè i su e giù della congiuntura e della Borsa, per anni ha pompato denaro sui
mercati, per evitare lo scoppio delle bolle che regolarmente si creano. Il
risultato è che se ne è gonfiata una gigantesca, che poi è scoppiata comunque,
tra il 2007 e il 2008, mettendo in ginocchio l’economia globale. Secondo Taleb,
le banche centrali dovrebbero intervenire solo quando una situazione è davvero
grave, diversamente dovrebbero lasciare che il corpo finanziario e il mercato
sviluppassero, anche a costo di piccole sofferenze, i loro anticorpi e
diventassero meno fragili. Detto diversamente, a suo parere lo Stato-tata, che
ci cura dalla culla alla tomba, ci fa del male e dovrebbe essere sostituito
dallo Stato-chirurgo, che interviene solo nelle emergenze.
Visti in questa chiave, nel mondo ci sono settori economici
che sono fragilisti, altri antifragili. L’industria delle aerolinee, per
esempio, impara dai propri disastri. Come quella della ristorazione, migliora
sulla base degli errori. Le banche, invece, quando vanno male minacciano
l’intera comunità: dunque occorre renderle meno sistemiche, meno grandi e meno
cariche di debiti, per renderle flessibili e adattabili. Taleb, che dice di non
essersi mai indebitato, sceglie anche il «piccolo è bello», l’impresa di
dimensioni contenute opposta a quella gigantesca. Sostiene che i vantaggi delle
economie di scala di quest’ultima sono di gran lunga offuscati dal fatto che,
quando sbaglia, una grande impresa incorre in perdite enormi, mentre quando ha
successo i benefici sono di solito modesti. Il contrario avviene in una
piccola: se fallisce, il danno è relativo; se ha successo, il vantaggio può
essere eccezionale.
In altre parole, la chiave per conquistare il dono
dell’antifragilità sta nel tenere bassi i costi potenziali dell’errore e nel
puntare a grandi vantaggi nel successo: lavorando su questa asimmetria, si
beneficia dell’incertezza, della volatilità, del disordine. Così armato, Taleb
affronta il sistema educativo (contro la cultura formale a favore del
«trial-and-error»), gli stipendi dei top manager (che al fianco degli incentivi
devono avere disincentivi che li facciano pagare per i loro errori gravi), il
Welfare State (che deve intervenire solo in casi di necessità vera e non essere
condiscendente con chi ne vuole essere dipendente), l’adattabilità dei Paesi
(vince la Svizzera) e molto altro.
Unendo con un tratto Catone il Censore, Nietzsche, Socrate,
Darwin,Wittgenstein e la propria fobia per il concavo, Taleb elabora in una
tabella la Triade della realtà — Fragile-Robusto-Antifragile — e la applica a
una cinquantina di attività umane e di stati della vita. Per dire che la
risposta alle nostre debolezze non sta nel diventare più resistenti: «Per
citare Nietzsche — scrive — a forza di essere immortali si può morire».
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