Lo show di Benigni, con grandi indici di ascolto, ha avuto il pregio (per alcuni solo quello ) di proporre il tema LA COSTITUZIONE, e fornito l'occasione di qualche riflessione critica su di essa. Io sono tra quelli che non pensa affatto che la nostra sia una Costituzione "meravigliosa", perfetta. A differenza di altre famose, come quella americana e poi francese , aveva padri costituenti molto meno in sintonia...E si vede.
Sicuramente ribadisce principi fondamentali comunemente riconosciuti come irrinunciabili in un paese libero e democratico, ma li "mischia" ad altre istanze, con un risultato non sempre lineare che è figlio dei compromessi del tempo. Insomma, un bicchiere metà pieno, ad essere positivi.
Comunque il dibattito è interessante. Al riguardo ho preso dal lunghissimo articolo di Zagrebelsky (l'uomo, si sa, non ha il dono della sintesi , essendo professore e anche incline all’enfasi retorica ), pubblicato su Repubblica di oggi (magari chi vuole può leggere il testo integrale) l'unico stralcio che condivido :
“A differenza d’ogni altra legge, la cui efficacia è
garantita da giudici e apparati repressivi, la Costituzione è, per così dire,
inerme: la sua efficacia non dipende da sanzioni, ma dal sostegno diffuso da cui
è circondata. La Costituzione è una proposta, non un’imposizione. Anche gli
organi cosiddetti “di garanzia costituzionale” — il Presidente della Repubblica
e la Corte costituzionale — nulla potrebbero se la Costituzione non fosse già
di per sé efficace. La loro è una garanzia secondaria che non potrebbe, da
sola, supplire all’assenza della garanzia primaria, che sta presso i cittadini
che la sostengono col loro consenso.”
In realtà questo principio si estende a TUTTO il sistema normativo di un consesso civile convivente : la grande maggioranza delle persone che ne fanno parte devono CONDIVIDERE, approvare almeno di massima, le regole comuni. Altrimenti non si è cittadini, ma sudditi, e quel sistema si reggerà solo sulla FORZA . La storia insegna che non sempre è sufficiente ( per fortuna ).
Posto quindi l'opinione di Piero Ostellino, sul Corriere della Sera :
"Liberi di estraniarsi nonostante Benigni"
Solo un Paese privo di una reale cultura politica, e di
senso del ridicolo, poteva far commentare a un comico la propria Costituzione,
senza precipitare nel ridicolo. Ma registrando un successo di critica e di
pubblico che il testo della Costituzione, forse, non hanno mai letto. Per
Benigni, i nemici della Costituzione sono l'indifferenza per la politica e il
non voto. Qui c'è l'eco di convinzioni antiche. Da un lato, l'inconscio
riflesso di tempi in cui andare a votare, magari una scheda prestampata dal
regime fascista, non era un diritto, bensì l'imposizione di un (inutile)
obbligo; ovvero, con la giovane Repubblica, quando andarci era il solo modo di
essere considerati cittadini democratici. Si pensi all'identificazione, in una
canzone di Gaber, fra democrazia e partecipazione.
Ebbene, quella di Benigni è «la libertà degli antichi»,
nella quale si concretava, e si esauriva, la vita del cittadino della polis
ateniese — dove le donne e gli schiavi non avevano alcun diritto politico e gli
uomini, nell'agorà, dove si discutevano, e si prendevano, le decisioni
vincolanti per tutti, erano poche migliaia, se non poche centinaia — e, poi,
ancora, dei sistemi liberali, ma non ancora democratici, post-assolutistici,
dove il diritto al voto era di censo. La «libertà dei moderni», quella di cui
godiamo noi, consiste (anche) nel diritto del cittadino di farsi gli affari
suoi, di estraniarsi, se crede, dalla vita politica e persino di non andare a
votare, senza che, come ancora accadeva solo alcuni anni fa, tale assenza di «partecipazione»
fosse registrata come una carenza, se non da sanzionare, almeno da ricordare
come mancanza di senso civico. La trasmissione di Benigni è nata vecchia non
solo perché lui è figlio di un popolo italiano che non c'è più, ma anche di una
democrazia che non è più quella nata ai tempi del compromesso costituzionale
fra «le due Resistenze»: la Resistenza cattolica, repubblicana, liberale,
azionista, che aveva combattuto il nazifascismo per portare l'Italia
nell'Occidente liberaldemocratico e capitalista; la Resistenza socialcomunista
che l'avrebbe fatta diventare una Democrazia popolare, un ossimoro rivelatosi,
poi, una delle tirannie peggiori nella storia dell'umanità.
Il candido costituzionalismo di Benigni sarebbe stato
attuale, forse, nell'Italia appena rinata alla democrazia e alle libertà;
quando molti intellettuali ritenevano ancora la dittatura del proletariato il
superamento della democrazia rappresentativa.
Nell'Italia d'oggi — che è cresciuta nella democrazia
rappresentativa e nel capitalismo e che, dopo la fine del mito sovietico e del
comunismo, non crede più nella rivoluzione come soluzione dei problemi del
proprio tempo — ripercorrere gli articoli di una Carta scritta nello «spirito
del (suo) tempo», ha il solo significato di perpetuare una vecchia cultura
pasticciata, che ci ha costretti a chiamare al governo dei «tecnici» — alcuni
dei quali, peraltro, figli, o nipoti, di quella stessa cultura — nella speranza
di porre (invano?) riparo ai suoi danni...
Infine un commento letto sul "diario" (adesso FB li chiama così ) di un grande amico, Valeriano, di cui condivido molte osservazioni.
Grande performance di Benigni e suggestivo spettacolo ieri
sera su Rai 1.
Il Comico d’Italia s’è esibito nella lettura della
Costituzione generando un’ovazione mediatica (si sa, l’audience è tutto) sui
fogli della nomenclatura dell’informazione. Ma la sua esegesi dei primi 12
Principi fondamentali della Carta fa acqua da tutte le parti, densa com’è di
falsi storici. Mi limito a rilevarne alcuni.
S’avverte subito quest’aria di abborracciata
interpretazione, quando il premio Oscar inizia affermando che l’Assemblea
Costituente era tutta composta da politici, tasto sul quale insiste a lungo.
Considerare ‘politici’ nel senso che s’intende oggi, cioè uomini di partito,
Benedetto Croce, tra i maggiori protagonisti della cultura italiana ed europea
della prima metà del XX secolo, e Piero Calamandrei, tra i giuristi più
insigni, è qualcosa di più che uno svarione: è non capire che la forza di
quell’Assemblea consisteva proprio nell’eterogeneità della sua composizione,
nel riunire uomini di cultura (che ovviamente erano stati eletti e quindi
militavano nei partiti) con politici che si erano formati prima e durante il
Ventennio e con giovani protagonisti di antichi e nascenti partiti politici che
si apprestavano a vivere tutta la loro vita attiva nella democrazia, cosa
quest’ultima che Benigni per la verità fa intravvedere.
Poi l’attore passa alla glorificazione degli art. 2 e 3,
quelli dei diritti inviolabili, della solidarietà e della pari dignità dei
cittadini. Secondo lui i Padri costituenti li hanno costruiti ispirati da un
afflato poetico che loro, prima di tutti, hanno avuto (“Li ha copiati anche
l’Onu!”). Chissà cosa avevano voluto dire quegli oscurantisti della Rivoluzione
francese nel 1795 con il loro ‘Liberté, egalité, Fraternité’! E, ancora prima,
cosa avranno voluto dire quei primitivi degli americani – hanno ancora la pena
di morte - con la loro Dichiarazione (“Riteniamo che alcune verità siano di per
sé evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali; che dal loro
Creatore sono stati dotati di alcuni diritti inalienabili; che fra questi ci
siano la vita, la libertà e la ricerca della felicità.”).
Benigni va poi in brodo di giuggiole quando affronta “La
Repubblica, una e indivisibile,…” (art. 5). Qui gli appare evidente che i
costituenti furono profetici, poiché già avevano previsto la nascita degli
ignobili leghisti che vogliono la secessione padana. Ovviamente non è così.
Nello stesso anno del varo della Costituzione - 1947 – in Sicilia era avvenuta
la strage di Portella della Ginestra ad opera del bandito Giuliano, solo
l’ultimo di cruenti atti innescati dagli indipendentisti siciliani che
operavano da alcuni anni per realizzare nell’isola uno stato separato
dall’Italia. Altri fermenti di secessione ribollivano in Alto Adige, dove la
Südtiroler Volkspartei aveva raccolto ben 155 mila firme per aderire
all’Austria (gli abitanti di quella zona sono oggi 100mila…). I Costituenti
avevano nell’immediato le loro arruffate gatte da pelare, altro che saggezza
divinatoria!
Altra bella tartufata di Benigni arriva al momento degli
artt. 7 e 8, quelli che parlano del Vaticano e della religione. Benigni
racconta all’enorme platea televisiva che la Costituzione sancisce la divisione
tra lo Stato e la Chiesa e che “Non esiste più una religione di stato” com’era
invece sotto il fascismo. Eh, magari fosse stato così, l’Italia d’allora aveva
ancora bisogno del potere di convincimento del Vaticano e dei suoi sacerdoti,
si limitò quindi a recepire i Patti Lateranensi del 1929, e cosa prevedevano
questi Patti all’art. 1? Che “la religione cattolica, apostolica, romana è la
religione di stato”. Bisognerà attendere l’odiato Bettino Craxi, autentico uomo
di stato, per vedere la modifica di questa situazione nel 1984.
Questi sono solo alcuni degli appunti che si potrebbero fare
alla rozza esibizione di ieri sera. Avrei voluto leggere qualcosa di simile su
La Repubblica, sul Corriere della Sera…Invece dei cori conformisti e irreggimentati.
Tutti già pronti all’annunciato nuovo regime?
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