ANNO 2012 |
Intendiamoci, non è che considerare, quando si prende in esame una questione, quanti più aspetti e variabili la possano influenzare sia sbagliato, anzi. Così come è vero che i fenomeni sociali debbano essere sempre collocati nel contesto storico e geografico di appartenenza. Quindi niente semplicismi. Però, alla fine della fiera, si deve cercare di arrivare ad una sintesi. Non possiamo arrenderci sempre all'"Opinabile".
Tra l'altro è piuttosto curiosa questa cosa, perché io, liberale a 15 anni, mi trovai spiazzato nel non collocarmi nelle grandi chiese del tempo : la comunista , avanzante, e la cattolica, in crisi ma ancora forte.
Vedevo degli eccessi nell'impegno "preteso" da entrambi quei CREDO. Sostenevo che l'individuo dovesse avere più libertà. Erano gli anni 70, la mia era una sorta di "eresia". Poi però si arrivò alla fine di quel decennio, al travoltismo, alla febbre del sabato sera, la riscossa dell'"effimero" contro l'"impegno".
Sbalordito, assistetti al passaggio da un eccesso all'altro. Nel guardare con una certa soddisfazione la crisi delle parole d'ordine che avevano imperato per tutti gli anni del liceo, vedevo però come il loro posto veniva preso dalla deficienza più totale (almeno così io la giudicavo). Ma una sana via di mezzo mai ??
Finita la digressione personale ( le persone di mezza età hanno questo vezzo, i lettori, abituati, me lo perdoneranno), veniamo al piacere dei numeri che, come i fatti, hanno il pregio di una loro potenziale obiettività, da contrapporre appunto all'opportunismo dei relativisti sempre e comunque.
Quelli presi in esame oggi sono quelli del Bilancio italiano del 2010, elaborati da centri di studi seri come il Politecnico di Milano e Civicum, su dati Eurostat. Sono interessanti perché .confermano una considerazione fatta da Bersani l'altra sera a Porta a Porta da Vespa : la Spesa Pubblica Italiana non è poi lontana dai valori degli altri grandi Paesi Europei. La chiosa del Segretario si sa quale sia : signori d'accordo a fare meglio sugli sprechi, però non illudiamoci, più di tanto non si potrà tagliare. Pertanto si dovrà agire sul recupero dell'evasione fiscale e su una patrimoniale da studiare per quelli che hanno di più.
Bene, può piacere o no ma questa è di fondo la politica del candidato premier della Sinistra. Nulla di nuovo tra l'altro. Per cui chi lo voterà saprà sostanzialmente quello che intende fare, e chi non andrà a votare cosa comunque gli toccherà, a prescindere dal suo "sdegno".
Vediamoli più da vicino questi dati.
La Spesa Pubblica complessiva in Italia equivale alla metà del PIL, cioè del prodotto interno lordo : 50,4%.
In Germania è il 47,5, in Spagna il 47,7, in Francia il 56,6 e la GB il 50,2.
Le voci principali per tutti i paesi sono il Welfare (previdenza. pensioni ) e la Sanità.
Italia 20,4, Germania 20,6, Spagna 16,9, Francia 24,2 GB 17,9, per la prima voce. ATTENZIONE, sono dati del 2010, prima della riforma Fornero. Con l'innalzamento dell'età pensionabile e col passaggio definitivo al metodo contributivo rispetto a quello retributivo, una bella sistemata a quella voce dovremmo averla data.
Sulla sanità abbiamo l'Italia col 7,6% , a fronte del 7,2 tedesco, il 6,5 spagnolo, l'8 francese e l'8,2 britannico.
Per TUTTI i paesi europei c'è il problema dell'invecchiamento in aumento, con quindi costi crescenti di entrambe le voci in questione, che, due su 10, rappresentano un terzo e oltre della spesa totale.
Un campo dove l'Italia spende un po' meno degli altri, e oltretutto molto male, è l'Istruzione (attenzione, la Germania spende addirittura poco MENO di noi, 4,3 contro 4,5%, ma con risultati migliori ).
Viceversa spendiamo ben di più alla voce "servizi pubblici generali" , l'8,3, contro il 6,1 tedesco, il 5,2 spagnolo, il 6,9 francese e il 5,3 inglese. Sono quei servizi come trasporto, forniture gestite dal pubblico, che sappiamo come siano "efficienti" nel bel paese...
Spostandoci sui dati della "ricchezza" dei cittadini, abbiamo questi numeri procapite:
GERMANIA : PIL 30.500 Euro ; DEBITO Pubblico 25.170 ; Spesa Pubblica 14.495
SPAGNA : 22.800 ; 14.000 ; 10.430
FRANCIA : 29.900 ; 24.655 ; 16.935
GB : 27.500 ; 21.800 ; 13.800
ITALIA : : 25.700 ; 30.680; 12.965
Come da sempre sottolineato, il problema italiano è evidentemente costituito dall'enorme debito pubblico, che grava in misura procapite in modo assai più pesante . Ma come lo abbiamo accumulato questo debito mostruoso ? Anno per anno, spendendo sempre più di quello che guadagnavamo.
Danilo Taino lo spiega bene così sul Corriere :
" I numeri su cui hanno lavorato Civicum e
Politecnico, in parte riportati nelle tabelle, sono riferiti all’anno 2010: da
allora alcune voci hanno subito variazioni; ciò nonostante, la distribuzione
della spesa tra i servizi prodotti dallo Stato e tra le funzioni da esso svolte
non ha subito cambiamenti significativi. «Immaginiamo una famiglia di quattro
persone che guadagna centomila euro lordi l’anno, cioè 8.300 euro al mese —
calcola il presidente di Civicum, Federico Sassoli de Bianchi — All’
Amministrazione pubblica ne versa circa 44 mila, ai quali ne vanno aggiunti
quattromila di nuovo debito pubblico (la differenza tra uscite e entrate) che
prima o poi dovrà pagare. Alla famiglia restano 52 mila euro all’anno, 4.300 al
mese. Gli italiani percepiscono correttamente che a fronte di 4.300 euro netti
al mese ne hanno dati quattromila allo Stato? L’Imu è stata percepita perché la
si è dovuta calcolare e pagare. Ma le imposte indirette, i contributi, le
imposte dirette dei dipendenti e spesso quelle versate come sostituti d’imposta
non si vedono»
........
..... nel 2010 lo Stato ha
prelevato da ogni cittadino 11.860 euro, tra tasse e contributi sociali. E per
ogni cittadino ne ha spesi 12.965, oltre che per servire il debito per servizi
pubblici, Difesa, Ordine pubblico, Sanità, Istruzione e via dicendo,
soprattutto Welfare. (La differenza, 1.105 euro, è in sostanza stata nuovo
debito). I confronti con i bilanci degli altri Stati possono stimolare molte
riflessioni. Il rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone, ne
sottolinea due. «Innanzitutto, l’importanza della crescita economica. Come si
vede dalla tabella, la Germania ha una spesa pubblica procapite di quasi 14.500
euro, contro i meno di 13 mila dell'Italia. Ma avendo un Pil procapite di
cinquemila euro più alto del nostro, la percentuale di spesa pubblica rispetto
al Pil è più bassa, 47,5% contro il nostro 50,4%». Anche per questo è decisivo
fare ripartire la crescita.
Quei mille e passa euro in più procapite dunque costituiscono il DEBITO, che moltiplicato per 60 milioni di individui fa 60 miliardi di spesa aggiuntiva, ogni anno. E il 2010 fu un anno virtuoso...
Altri numeri e altre considerazioni. Il Debito italiano complessivo nel 2010 era quasi il 120%, oggi, nonostante l'IMU e il Governo tecnico, è al 126%. La Francia ha sfondato il muro del 90% , mentre la Germania ci si sta avvicinando così come la Spagna. Considerate che Francia e Germania erano poco sopra l'80 e la Spagna addirittura al 65%. Qualcosina nella politica di solo rigore fiscale non va.
La ricetta di Bersani non ci piace, preferiamo quella suggerita da Davide Giacalone, che credo sia molto vicina a quella di FARE di Oscar Giannino.
Buona Lettura
Ripresa incredibile
9 italiani su 10 non credono
che la crisi sia al suo epilogo e che l’anno appena iniziato vedrà la ripresa.
Tale scetticismo, rilevato da Swg per Confesercenti, è del tutto fondato se si
tratta di dare affidamento alle parole di strani governanti, che mettono per
iscritto una previsione di recessione e di aumento della pressione fiscale, ma
in orale sostengono che vedono la luce (oh cielo!) e desiderano abbassare le
tasse. Anzi, se è di quello che si sta parlando, vorrei conoscere quel mio
connazionale che mostra di crederci. Per avere una parola di conforto, o
portargliela. Se, invece, si discute delle possibilità che l’Italia ha di
riprendersi, allora trovo quel pessimismo eccessivo, se non proprio infondato.
Abbiamo tutti i numeri per tornare a correre, anche usando la durissima crisi
come occasione per cambiare e ripartire in migliori condizioni. Solo che ciò
comporta consapevolezza collettiva e coerenza politica. Entrambe vacillanti.
Le analisi da noi svolte
saranno pure irrilevanti e da piccoli mestieranti, privi di statura accademica
e amicizie altolocate, ma a me pare che ci abbiamo preso più di tanti
pretenziosi. Tanto per fare un esempio: il governo tecnico, quello che ci avrebbe
ridato spessore internazionale e avrebbe eroicamente bloccato la speculazione
dei mercati finanziari, è stato abbandonato dai poteri che lo sostenevano e
s’appresta a prendere una musata elettorale, dopo essersi alleato con i relitti
del mondo che voleva spazzar via; di riforme ce ne sono state poche, o punte se
s’esclude quella delle pensioni, sicché siamo largamente inadempienti rispetto
agli impegni presi con la Bce, per adempiere ai quali l’attuale governo è nato;
il futuro post elettorale è a dir poco nebbioso, dovendosi sapere se saremo
governati da una sinistra autosufficiente e disomogenea, o da una coalizione
più ampia e più disomogenea ancora; a fonte di tutto ciò la spread cala e
ricala. Ciò dimostra quel che scrivevamo noi e il contrario di quel che
sdottoreggiavano altri: quel dio va per i fatti propri e dipende dall’euro, non
dal vernacolo. Ulteriore dimostrazione: il continuo parallelismo con la Spagna.
E’ Monti che governa anche gli iberici, Rajoy che governa anche noi, o nessuno
dei due che governa lo spread? Tendo alla terza ipotesi.
Bon, comunque sia, tempesta
passata? No, non ci credo. Penso che se solo solo l’Unione monetaria vacilla un
attimo, se gli strumenti difensivi approntati mostrano qualche falla, vuoi
propria o per mancanza di generale sostegno, la corrida riprende all’istante. A
quel punto lo spread schizza e noi ci ritroviamo, al contrario della Spagna, a
non avere contrattato lo scudo. Felicissimo di sbagliarmi.
Al netto di questo scenario,
rispetto al quale nessuno è riuscito a farci passare da oggetto a soggetto
(come ci spetta, sia per dimensione economica che per spirito e lettera dei
trattati europei), semmai da alibi a ostaggio, la macchina produttiva italiana
è rabbiosamente sopravvissuta e ancora fa mangiare la polvere ai concorrenti.
Solo che quella macchina è sovraccaricata da masserizie inutili e cadenti,
costituite da un’economia dell’assistenza e del trasferimento che supera la
metà del pil, quindi, mancante degli ammortizzatori monetari (inflazione e
svalutazione), prima o dopo si accascia.
Per questo abbiamo bisogno di riforme
che sfoltiscano la spesa pubblica, al tempo stesso riqualificandola. Abbiamo
bisogno di lavorare laddove il governo Berlusconi non seppe farlo e quello
Monti ha fatto cilecca. Non tagliare le tasse per ridar fiato ai cittadini (con
i soldi di chi?), ma tagliare la spesa per alleggerire la pressione burocratica
e fiscale, quindi liberando spazi e risorse che produrranno ricchezza. Vendite
di patrimonio pubblico (immobili e società), sia per abbattere il debito che
per fare investimenti, al tempo stesso smobilitando i monopoli locali e,
quindi, liberalizzando. Aria al mercato del lavoro, finalmente capendo che la
più solida garanzia per i cittadini tutti, lavoratori in testa, sta nella
crescita, non nella pretesa d’essere difesi dal mercato.
Ci sono i numeri e i margini
per capovolgere il rapporto: 9 italiani che ci credono e 1 che resta scettico,
attendendo di metterci il naso. Ma abbiamo bisogno di rompere il maleficio
della conservazione dell’inconservabile, alimentata dalla paura del nuovo. La
politica che vediamo esibirsi non ne sarà mai capace, se la forza non verrà da
un Paese che ne sia consapevole.
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