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sabato 13 aprile 2013

PRODI PER IL COLLE ? PROPRIO NO !! E BERSANI DEVE RINSAVIRE


Nessuno è perfetto e ovviamente non lo può essere nemmeno Renzi. Però è LUI che dice di volere provare a conquistare anche i voti del centro destra, per allargare il consenso, e questo sia per una ragione di numeri - la sinistra in Italia non schioda dal terzo dei voti, e dopo 70 anni io un dubbio me lo farei venire - e sia per un lodevole proposito di un riformismo allargato e per quanto possibile non troppo conflittuale.
Bene, fila. Allora che c'entra PRODI ?? Ora, o sono velleitari i cronisti specializzati di casa PD (sul Corsera ce ne sono diversi, tra questi Maria Teresa Mieli) oppure anche l'uomo nuovo gioca ai giochi vecchi.
Se c'è un nome che Berlusconi ha bocciato per il Colle è quello di Prodi. E non credo che ci siano persone del centro destra che non siano, in questo, d'accordo con lui. Eppure Renzi, dopo aver detto che l'accordo tra PD e PDL è l'unica cosa ragionevole che si possa almeno tentare dopo il pareggio elettorale, adesso rema contro, disvelando una strategia un tantino diversa. Intesa sì, ma con LUI a Palazzo Chigi. Altrimenti meglio fare le elezioni, con lui stavolta alla guida del centro sinistra. Insomma, siamo alle solite, e con Renzi non c'è alla fine differenza. Tutti a riempirsi la bocca con le parole "corrette", e quindi il bene del Paese, l'Italia, ma alla sostanza la tattica politica resta quella preminente su tutto.
Se questa cosa si rivelasse vera, molti elettori liberali e moderati che nei sondaggi hanno finora spesso indicato la loro disponibilità a votare il sindaco fiorentino, cambierebbero idea.
Io tra questi.
In ordine all'opportunità dell'"inciucio" , propongo la sempre lucidissima e dunque preziosa analisi politica di Luca Ricolfi, pubblicata ieri sulla Stampa. Ne condivido totalmente la prima parte : considerazioni su Grillo e sull'irragionevolezza di Bersani. Non sono d'accordo invece nel vedere le nuove elezioni inutili. In Grecia non lo sono state, e a quest'ora, prendendo esempio da loro, le avremmo già rifatte.
Io credo che, dopo il risultato di febbraio, se si riandasse a votare non avremmo gli stessi schieramenti , gli stessi uomini, e le stesse prospettive. Il PD non si presenterebbe con Bersani, ma probabilmente con Renzi, Ciò scompaginerebbe tutti gli altri, dal PDL a SEL passando per il centro. E la vittoria di un Centro Sinistra VERO sarebbe quasi certa. Se invece il PD fosse così folle da riproporre o il compagno segretario o qualcuno equivalente se non peggio (Barca ), allora vincerebbe il centro destra.
Non lo dico solo io. ma anche le proiezioni elettorali. E' vero che sbagliano , ma stavolta credo rispecchino la realtà del momento.
Buona Lettura

Ma l’”inciucio” può avere delle virtù


LUCA RICOLFI
Sono quasi due mesi che si è votato, e ancora non abbiamo un governo. Perché?  

Qualcuno dà la colpa a Grillo, ma a mio parere Grillo non c’entra. Grillo è stato sempre molto chiaro, sia prima del voto sia dopo: a questi politici che ci hanno portato al disastro la fiducia non la voteremo mai, ma se faranno proposte che condividiamo non avremo nessun problema a votarle. Perché non credergli? Perché fingere che anche lui, come gli altri partiti, sia pronto a dire una cosa in campagna elettorale e a fare tutto il contrario dopo aver incassato i voti? Perché attendere un ripensamento?  

Il Movimento Cinque Stelle la sua vocazione antisistema (anti «questo» sistema, ovvero questi partiti, questi politici) l’ha sempre dichiarata apertamente. Chiedergli di cambiare rotta ora è come chiedere a Papa Francesco di essere per le nozze gay. 

Invece Bersani non solo vuole le nozze, ma vuole farle con la sposa recalcitrante Movimento Cinque Stelle. Di qui un corteggiamento che non sembra arrendersi di fronte a nulla, e la sensazione universale che la politica - la vecchia politica - stia perdendo tempo.  

Ai signori del Palazzo piace un sacco incontrarsi, telefonarsi, confabulare in Transatlantico, twittare, riunirsi, allearsi, mediare, riflettere, mandare segnali, decodificare i segnali altrui, rilasciare interviste, parlare alla radio, infestare telegiornali e talk show da mane a sera. Intanto i problemi reali dell’Italia, che sono innanzitutto di tipo economico-sociale, continuano a marcire in attesa di un governo che governi.  

E’ dunque Bersani il problema? 

Sì e no. L’aspirazione di Bersani a fare il presidente del Consiglio non è irragionevole, visto che la sua coalizione è il maggiore raggruppamento presente in Parlamento, visto che nessun governo può avere la maggioranza alla Camera senza i voti del Pd, e visto che il Pdl ha detto di non avere riserve o pregiudiziali contro di lui.  
Il problema non è la persona di Bersani, ma è la sua linea politica. Bersani vorrebbe governare da solo, ma con i voti degli altri. Bersani vorrebbe i voti del Pdl o della Lega (quelli di Grillo ha finalmente capito che non li avrà), ma senza fare un governo con ministri del centro-destra. Se, per una volta, usasse le sue famigerate metafore per parlare di se stesso, direbbe: voglio la botte piena (ministeri e poltrone) e la moglie ubriaca (Berlusconi che lo lascia fare).  

Questa posizione è chiaramente irragionevole, non solo dal punto di vista del Pdl (perché gli «impresentabili» dovrebbero regalare i loro voti a chi così profondamente li disprezza?), ma anche dal punto di vista del Pd. Come possono pensare, i dirigenti di questo partito, di avviare una stagione «di cambiamento» con un governo di minoranza, che in ogni momento può essere condizionato, ricattato e affondato dai suoi sostenitori esterni? Come può pensare il Pd di governare l’Italia nella tempesta della crisi economica e sociale se la sopravvivenza del governo dipende fin dall’inizio dalla condiscendenza di altri, che non lo amano e possono in ogni momento staccargli la spina? 

Eppure questo è stato fin dall’inizio, e resta tuttora, l’irragionevole schema politico di Bersani: costituire un governo di minoranza, o mediante un atto di sfida ai grillini (vengo in Parlamento, e vediamo se avete il coraggio di negarmi la fiducia) o mediante un accordo più o meno tecnico con Berlusconi (astensione, uscita dall’aula, non sfiducia, etc.). 

Bersani, a quanto pare, ha paura dell’unica soluzione che potrebbe darci un governo non effimero: un accordo serio fra destra e sinistra. Non è difficile indovinare i motivi di tale paura. Se nascesse un governo sostenuto dal Pd e dal Pdl, l’accordo sarebbe immediatamente bollato come un «inciucio», parola di cui nessuno pare conoscere il significato esatto ma che da una ventina d’anni viene usata per descrivere quanto di più torbido la politica è capace di fare: accordi sottobanco, scambi di favori e di poltrone, patti inconfessabili. Non mi sento di escludere che questo, o qualcosa del genere, succederebbe alla fine. E tuttavia mi restano alcune domande. 
Possibile che la politica italiana – e per politica intendo partiti, opinione pubblica, giornalisti – abbia di se stessa un’opinione così negativa da dare per scontato che ciò che all’estero ha funzionato (ad esempio in Germania una decina d’anni fa) da noi possa solo trasformarsi in un mostruoso patto di potere? 

Perché alla sola idea di un governo bipartisan la parola «inciucio» scatta automaticamente, prima di avere visto le carte, ossia i programmi e le intenzioni? 

Perché si riescono a immaginare solo compromessi al ribasso, quando quello di cui avremmo bisogno è, semmai, di selezionare le idee migliori dei due schieramenti, idee che pure esistono? 

Siamo sicuri di avere tutto questo tempo? Siamo sicuri che imprese, sindacati, lavoratori e famiglie, di fronte al dramma occupazionale che sta affondando l’Italia, abbiano voglia di essere richiamati a votare per l’ennesima volta? Siamo sicuri che le «discriminanti» su cui Bersani e i suoi stanno respingendo le offerte del nemico siano anche le priorità dei cittadini?  

Ma soprattutto: siamo sicuri che, per il Pd, gli unici due modi di riconquistare la credibilità perduta siano guadagnare (umilmente) la benevolenza di Grillo e sottrarsi (con sdegno) all’abbraccio mortale del Pdl? 
In fondo i cittadini-elettori il loro messaggio l’hanno già mandato, ed è un messaggio chiaro: cari politici, così non potete andare avanti, o vi ritirate o cambiate registro. Ma il momento di cambiare è adesso, non all’ennesimo bagno elettorale. Rivotare è solo un segno di resa della politica. Significa dire agli elettori: voi ci avete mandato un segnale, ma noi non siamo capaci di raccoglierlo. Noi siamo quelli di sempre, prigionieri delle nostre piccole beghe, incapaci di guardare un po’ più in là. 

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