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lunedì 1 luglio 2013

LUCA ZINGARETTI RACCONTA COME DIVENTO' IL COMMISSARIO MONTALBANO


Non ho simpatia per Andrea Camilleri, per il suo acceso anti berlusconismo. Non amo nemmeno i berluscones, con i quali condivido però l'anticomunismo di ieri e l'avversione per la sinistra massimalista e statalista di oggi. Insomma, può capitare di essere alleati, ma è un'alleanza che farei più volontieri domani con un  partito  Liberal , innovatore, che riuscisse a riformare alcuni dei mali cancerosi della nostra Nazione ( Burocrazia, Spreco, Tasse ).
Di Camilleri non mi piacciono nemmeno i libri "altri",  vale a dire le numerose  altre storie oltre a quelle del Commissario Montalbano. Una volta che trascinai la fidanzata a vedere a teatro il Birraio di Preston, a momenti ci lasciamo, tanto era noioso.
Ciò posto, e inimicatomi  gli ammiratori del vecchio scrittore (Camilleri è del '25, ha ben 88 anni..., il padre partecipò alla marcia su Roma, curioso no ? ) , aggiungo che i libri con protagonista il commissario di Vigata li ho letti tutti, l'ultimo compreso, e mi sono piaciuti "assa' " come direbbe lui.
L'invenzione di un dialetto siciliano "intuibile", la storia di un uomo inquieto interiormente, complesso per certi versi e semplice per altri (l'amore per il buon cibo, il mare, il fumo, il whisky e anche le belle donne, che sempre più spesso finiscono per fargli tradire l'amata, purché resti in quel di Genova, Livia). I personaggi di contorno, divertenti, come Catarella, simpatici, fedeli e affezionati, come Augello, Adelina,  Fazio, pittoreschi come Pasquano. Una orchestra ben congegnata sull sfondo dove però l'assolo del solista resta sempre ben nitida.
Di volta in volta,  non sempre, sono belle anche le storie che fanno in realtà da pretesto per il lettore che compra e legge il libro per avere notizie fresche del suo eroe e dei suoi amici, più che perché incuriosito dal giallo di turno.
Il successo dei libri si è trasferito in pieno sui serial televisivi e Luca Zingaretti, che pure è un attore bravo e lo ha dimostrato ormai in altri film, è famoso per essere lui il Commissario Montalbano.
Non c'è una identitificazione assoluta, a mio avviso, tra il personaggio televisivo e quello letterario. Quest'ultimo, come forse è inevitabile, ha più sfumature, più sottigliezze. Però la somiglianza è notevole e non saprei immaginare nessuno al posto di Zingaretti.
E infatti il sodalizio, iniziato nel lontano 1996 (di seguito il divertente racconto proprio dell'attore sui timori dell'esordio ) è inossidabile. Ci sono stati momenti, non coincidenti, che sia Camilleri che Zingaretti cercarono di affrancarsi dal loro successo più grande (unico, a mio avviso, per lo scrittore, giunto alla bella età di 69 anni, vale a dire nel 1994 quanto venne pubblicato "la forma dell'acqua", il primo della serie...proprio vero che non bisogna arrendersi mai !!) ma ci hanno entrambi ripensato, e rapidamente.
Meglio per tutti, noi lettori - spettatori compresi.
Sul supplemento culturale del Corsela, La Lettura, in occasione dell'uscita dell'ultima  fatica del bravo e attempato (ormai cinquantottino è Montalbano ) commissario, "Un covo di vipere", Zingaretti dedica un simpatico fuoriscena che racconta un po' il suo modo di essere attore e il suo incontro con il suo alter ego sbirro di Vigata.


 
 

Fuoriscena di Luca Zingaretti


Può un personaggio che si conosce bene, come si può conoscere l’animo di un amico di vecchia data, riservarti delle sorprese? A volte è possibile. A me è successo leggendo l’ultima fatica di Andrea Camilleri che ha per protagonista il commissario Montalbano.
Il libro racconta una storia straordinaria e terribile. Una storia che, pur ambientata ai giorni nostri, ha qualcosa di epico, di ancestrale, di tragico. Mi sono trovato a leggere le pagine di Un covo di vipere con una trepidazione che non dovrebbe nascere in chi crede di conoscere la «materia». Alla fine ero letteralmente tramortito dalla potenza della scrittura.
E, ripeto, non mi posso proprio dichiarare un lettore dell’ultima ora di Andrea.
Un giorno, se la memoria non mi inganna del 1996, entrai in una libreria, come spesso mi capita. Per me entrare in quel mondo colorato, che odora di buono, ordinato, pieno di oggetti, i libri, che racchiudono storie che attendono di essere conosciute, è sempre stato un momento importante.
Ci vado quando mi sento attivo, in cerca di storie che facciano correre il mio cervello. Ci vado quando sono triste per tirarmi su, quando ho sete di nozioni su un dato argomento, ci vado quando ho bisogno di assentarmi da tutti i rumori della vita.
Così come una buona dormita ti permette di metabolizzare una frustrazione, non c’è niente di meglio che perdersi dentro un buon libro per dimenticarsi di se stessi e dei propri affanni. Per uscirne pulito come un bambino dopo il bagnetto.
Insomma, quel giorno andai in libreria. Girai, come sempre, per i banchi guardando le copertine dei libri che sono un po’ come le etichette dei vini: fondamentali per capire di che libro si tratti. A un certo punto su uno scaffale riconobbi il blu della Sellerio. La veste grafica della Sellerio mi aveva sempre sedotto per quel suo blu così particolare, per l’immagine che campeggiava su ciascuna copertina e, soprattutto, per la qualità magnifica della carta. Sembravano libri antichi ma nuovi. Anche per un modesto lettore e frequentatore di libri come ero e sono, la carta della Sellerio mi faceva perdere la testa.
Curiosando e annusando i libri dello scaffale grande fu la sorpresa quando lessi tra gli autori il nome di Andrea Camilleri. Comprai il libro per quello spirito cameratesco che ti prende quando sai o scopri che un tuo amico o conoscente ne ha scritto uno. Volevo sentirmi utile e dare al mio vecchio professore di Accademia, che stimavo e a cui volevo bene, la chance di vendere una copia in più.
Vi lascio immaginare la sorpresa che mi provocò la lettura delle prime pagine: rimasi stregato da quel libro che avevo comperato per solidarietà e quasi per caso. Era scritto con una lingua e originalità potente, ma soprattutto c’era il protagonista, tale commissario Salvo Montalbano, che era un grande personaggio da interpretare. Ma non avevo i soldi per acquistare i diritti del libro, la forza per produrlo né tantomeno la fama per prendere il ruolo.
Qualche tempo dopo, un giovane produttore comprò i diritti e li vendette alla Rai per due film tratti dai primi due romanzi.
Non voglio tediare raccontando i dettagli che mi hanno portato ad avere il ruolo di Montalbano.
Ma riporto degli appunti che ho ritrovato recentemente. Li scrissi qualche tempo dopo l’andata in onda della prima serie: sono una sorta di divertissement in forma vagamente sceneggiata di un evento realmente accaduto.
«Finalmente abbiamo cominciato a girare.
Custonaci, provincia di Trapani. È sabato. Giriamo in provincia di Trapani prima di trasferirci nella provincia che è da allora il set di Montalbano: Ragusa.
Stiamo terminando le ultime inquadrature della prima settimana di riprese.
E io sono disperato.
Letteralmente disperato.
Ho studiato per mesi, ho letto tutto quello che c’era da leggere, ho scritto quaderni di appunti, impressioni e idee, sono andato in Sicilia a più riprese con il mio registratorino per imparare il dialetto ma da quando sono iniziate le riprese non riesco a recitare.
So come vorrei fare, ma non ci riesco. So dove vorrei arrivare, ma mi perdo per strada, mi sento cane come non mai, stonato, finto.
Quello che viene fuori è qualcosa che assomiglia al personaggio che vorrei, ma non lo è. Recito con il freno a mano, mi sento goffo, bloccato, lento…
Aiuto!
Vado in albergo e mentre tutti vanno a rilassarsi in qualche locale sul lungomare, o tornano a casa per un breve weekend, io mi getto nello studio.
Giro e rigiro il personaggio, riprendo in mano gli appunti, ma non c’è nulla da fare. È come quando, dopo aver studiato tanto, la sera prima dell’esame prendi per ansia in mano i libri, ma la mente si rifiuta di apprendere ancora e ti sembra di non sapere nulla.
La realtà è una: sono ingolfato.
Resisto alla tentazione, ma vorrei chiamare Andrea Camilleri per un conforto.
Da quando è iniziata la mia avventura con Montalbano ci siamo sentiti una sola volta: avevo appena ricevuto la notizia di aver superato tutti i provini e che il personaggio sarebbe stato mio. Al telefono gli avevo detto che finalmente il sogno si era avverato, che non lo avevo voluto disturbare prima per evitare che la mia telefonata potesse essere scambiata per una richiesta d’aiuto, ma ora potevo dirgli che ero felicissimo e terrorizzato: non tanto dal compito di dover oggettivizzare, portandolo sulla scena, il suo amatissimo personaggio con il rischio di essere lapidato dai fan più fanatici nel caso li avessi scontentati, ma dal timore di non riuscire a disegnare il personaggio con tutte le sfaccettature che vi avevo trovato.
Andrea fu molto affettuoso.
Mi disse che aveva seguito, seppur da lontano e dietro le quinte, la vicenda dei provini, che non era sicuro che io fossi l’attore più adatto per il ruolo, ma che, sapendo che tipo di attore fossi, era sicuro che lo avrei reso al massimo.
Ora si trattava di chiamarlo di nuovo per raccontargli che mi ero bloccato, che il commissario “non riusciva a venire fuori” e per chiedergli consiglio su come risolvere la questione.
Andrea, oltre ad essere l’inventore del personaggio che stavo interpretando, è stato anche uno dei miei professori durante i tre anni di Accademia. Insomma: la persona giusta per togliermi il panico da “interpretazione fasulla”.
Ma il problema è: si possono rompere le scatole alla gente e per giunta il sabato pomeriggio?
Sì, si può, soprattutto se l’ansia ti mangia lo stomaco e la disperazione si profila all’orizzonte!
Chiamo.
Risponde la segreteria. La voce non è di Andrea, ma so che devo lasciare un messaggio e lui richiamerà appena possibile. Invece non riesco a dire più di “Andrea sono Luca…” che sento la voce inconfondibile di Andrea che dice: “Luca carissimo!”.
Sono SALVO! (non nel senso del nome di battesimo del commissario).
Il maestro è in casa e mi sta parlando “di pirsona pirsonalmente”!!!!
“Ciao Andrea! Come stai? Ti disturbo?”.
“Assolutamente no, dimmi tutto”.
“No, niente. È che abbiamo finito oggi la prima settimana di riprese…”.
“Lo so”.
“… Ecco… Ehhh… Tutto bene. I posti sono meravigliosi, la gente cordialissima e la troupe è veramente buona. Io vado bene, solo che… Come dire? … Mi sento un po’ bloccato. Ho in mente come voglio che sia il personaggio… Ce l’ho, ma non riesco a farlo venire fuori. Faccio una scena e appena il regista dice stop mi rendo conto che la mia interpretazione è un surrogato pallido di quello che vorrei…”
“Senti…”.
“… Mi immagino la scena in testa ma non riesco a dargli il ritmo giusto…”.
“Ascolta…”.
“… A far venire fuori il sottotesto, l’ironia… Invece che burberamente simpatico il commissario viene fuori solo incazzato… Non c’è leggerezza…”.
“Luca mi fai parlare!”.
“Si certo, scusa Andrea, scusa”.
“Guarda c’è una sola cosa che devi fare: rilassati.
Non pensarci. Pensa ad altro o, tutt’al più, a quello che devi dire. Fottitene di come devi dire, di come devi fare, di come devi muoverti in scena. Non è più il momento di pensarci. Un pugile mentre combatte non sta a pensare a migliorare lo stile della sua boxe. Quello lo farà durante la preparazione. Mentre combatte pensa a picchiare duro e a vincere l’incontro. Io sono sicuro che hai fatto un eccellente lavoro di preparazione, adesso devi solo lasciarti andare e fare uscire quello che hai fatto. Ma se ci stai sempre a pensare non esce nulla! Dai retta a me: LASCIATI ANDARE!”.
Pausa.
Come avevo fatto a non pensarci prima?!
Ma certo! È semplicissimo! Eccola la soluzione. Devo semplicemente essere il personaggio e non continuare a rifletterci sopra. Devo indossare un abito e non continuare a guardarlo come un sarto guarda l’abito che sta confezionando sul manichino.
Oh gioia, oh sollievo, oh gaudio!
Ringrazio Andrea, gli chiedo scusa se l’ho disturbato, mi dichiaro suo debitore eterno e via a gozzovigliare con il resto della troupe.
Domenica. Mattina presto.
Mi sveglio di malumore.
Non tanto per l’alcool bevuto la sera prima per festeggiare lo scampato pericolo e che mi procura un fastidioso mal di testa, ma per un non ben precisato senso di insoddisfazione che si fa più preciso e pressante man mano che la mattinata procede.
Alle 10.00 mi è tutto molto chiaro.
Va bene “lasciarsi andare”, rilassarsi, per far venir fuori il lavoro sul personaggio che ho svolto in questo mesi, ma come fare?
Come posso non interrogarmi su come il commissario scende da una macchina, su come sale gli scalini o su come impugna la forchetta?
E poi, “lasciarsi andare”! Una cosa è dirlo e un’altra è farlo!
No, no, ho bisogno ancora di chiarimenti, di qualche piccola precisazione, di qualche aiuto. Voglio essere sicuro che sia la soluzione migliore… Insomma ho bisogno ancora di una “spintarella”.
Il problema è: si può rompere le palle alla gente e per giunta la domenica mattina?
Sì, si può soprattutto se l’ansia che ieri ti mangiava lo stomaco è diventata terrore e ti vedi già a settant’anni barbone e alcolizzato mentre ti rinfacci di essere stato così vigliacco da non aver avuto il coraggio, una domenica mattina, di chiedere al tuo maestro di sempre delucidazioni che potevano cambiare il tuo avvenire!
Chiamo.
Risponde la segreteria. La voce non è di Andrea, ma so che devo lasciare un messaggio e lui richiamerà appena possibile. Invece non riesco a dire più di “Scusa Andrea sono Luca…”, che sento la inconfondibile voce di Andrea che dice: “Dimmi Luca!”
Come inizio era meglio quello di ieri.
“Ah sì ecco, bene. Prima di tutto scusami se ti disturbo di domenica. Ma vedi è che sono veramente in crisi. Lo so che ho già studiato molto, e che la dovrei smettere con la teoria. Ma ci sono problemi fondamentali che devono ancora essere approfonditi. Per esempio non ho ancora risolto in maniera chiara il rapporto tra Adelina e il commissario. Perché non mi è chiaro su quale piano si giochi. Lui le ha arrestato il figlio, ma così facendo lo ha salvato. Quindi lei gli è nonostante tutto riconoscente. Ma fino a quanto? Perché bisogna fare i conti con tutta la cultura che al Sud, dall’Unità d’Italia in poi, ha visto lo Stato come un corpo estraneo e a volte, nemico della società civile. Quindi qual è il reale rapporto tra i due? Ha ragione Livia a mettere in guardia Montalbano? E Montalbano quanto recepisce il messaggio? Nel suo inconscio si è insediata una remora su Adelina? E se sì, a che livello? Perché a seconda della risposta cambia tutto.
“Altro problema, così tanto per dire: Qual è il rapporto tra il commissario e Livia? Ci vedi anche tu qualcosa che ricorda da vicino il rapporto edipico di freudiana memoria? Perché, allora, quando nel Ladro di merendine lui non vuole adottare François, cosa sta a significare? Non vuole figliare con sua madre? E fin qui andrebbe anche bene, se non fosse che poi però ci va a letto. Tieni conto anche che c’è da considerare che le due figure femminili che Montalbano affronta, se si esclude la svedese — che peraltro cosa sta a significare? Il peccato? — sono enigmatiche nel loro…”.
“Luca?”.
“Sì, Andrea?”, dico, pendendo dalle labbra del Maestro.
E lui con la sua voce roca: «Non mi rompere i cabasisi».
Clic.
Ecco. Ho avuto la mia spintarella.
Musica».
Sono passati degli anni. Qualcuno dice «tanti» anni. Andrea ha scritto altri libri con lo stesso personaggio e noi li abbiamo portati sullo schermo. Tutti.
Le ultime andate in onda hanno sfiorato il 40 per cento di share. Un risultato straordinario se si tiene conto che non abbiamo mai smesso di salire nel gradimento del pubblico, non ci siamo mai «seduti» e abbiamo conquistato anche il mercato estero trionfando in tanti Paesi.
Scrivo questo non per incensare me e tutti quelli che lavorano al progetto televisivo, ma per sottolineare una cosa. Nonostante tutti gli episodi di Montalbano girati, nonostante io abbia interpretato per tanti anni questo personaggio, dopo aver letto Un covo di vipere, con la sua trama epica, con i suoi misteri, i suoi straordinari personaggi ammantati di un fascino antico, con le vicende umane che vi si raccontano e con il suo terribile tragico finale, dopo aver letto Un covo di vipere, dicevo, non vedo l’ora di ricominciare.

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