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lunedì 19 agosto 2013

GIAVAZZI STAVOLTA SE LA PRENDE CON GLI AVVOCATI. COME SUOL DIRSI " A CHI TOCCA...."

 
Sono un avvocato e sono consapevole di far parte di una corporazione impopolare. Storicamente. Noi ci gloriamo molto di essere i pronipoti di Cicerone o i nipoti di Calamandrei, ma insomma la letteratura e la realtà sono pieni di azzeccagarbugli di manzoniana memoria. Inoltre, al degrado della professione hanno contribuito nel tempo nuovi fattori tra cui la crescente difficoltà (società più complessa, florilegio normativo bulimico, giurisprudenza schizofrenica, dal creativo al "normante"), per cui l'avvocato artigianale è destinato a scomparire, e il numero. Siamo decisamente tanti (troppi). Oltretutto molti mischiano da sempre il proprio ruolo di avvocati con quelli di politici, categoria ancora più invisa della forense. Sono consapevole di tutte queste cose e non mi scandalizzo né m'impermalosisco quando veniamo criticati, individuati come una "casta". In realtà lo siamo come tante altre, e nel nostro mestiere molto meno efficace di quanto magari vorremmo o si creda, schiacciati come siamo dallo strapotere dei magistrati. Che almeno questi ultimi primi si sentivano più costretti a decidere in base alla legge, di cui erano "la bocca", come scriveva Montesquieu. Adesso fior di di giuristi descrivono antiquato questo ruolo, figuriamoci se ci si attengono i diretti interessati. Facciamo battaglie a mio avviso di retroguardia, come quelle sulle tariffe forensi o sulla mediazione, preoccupati che il nostro  portafogli , sia pecuniario che di clienti, si restringa ancora di più. Di recente, la guerra contro l'accorpamento delle sedi giudiziarie, eliminando le sedi più piccole. Magari sono gli stessi amici avvocati che si animano molto, e giustamente, quando, conversando a cena o al bar,  si contesta che sono vari lustri che non si riesce ad abolire le province.
Ovvio che avere uffici giudiziari vicino casa sia piacevole, però se quando si parla di risparmi e tagli, a volte antipatici (dolorosi, non esagererei) , siamo sempre con le forbici in mano per gli altri e arroccati per noi stessi, i risultati poi li vediamo.
Un paese che ha 800 miliardi di spesa pubblica, ogni volta che deve trovare risorse per qualche emergenza o , meglio ancora, riforma, non sa che pensare a dove trovare ALTRI soldi, perché risparmiare non si può mai.
Evidentemente qualcosa non torna.
Tutto questo per presentare l'editoriale odierno di Giavazzi, che sicuramente susciterà più di un malumore nella categoria. 
Per quel che vale, vi assicuro che io leggo regolarmente il professore di economia e il discorso odierno, pari pari, lo ha rivolto ad altre situazioni, denunciando gli stessi problemi e le stesse resistenze.



La ragnatela corporativa

 
Fra il 2008 e il 2011, all'epoca dei tagli lineari del ministro Tremonti, la spesa delle amministrazioni pubbliche (dati Banca d'Italia) è cresciuta di 21 miliardi, un aumento del 2,8%. Escludendo investimenti, interessi, pensioni e altre prestazioni sociali, la spesa è cresciuta, nel triennio, di 9 miliardi, più o meno quanto servirebbe oggi per cancellare l'Imu sulla prima casa e l'aumento dell'Iva. È quindi evidente che i tagli lineari, cioè indiscriminati, non hanno funzionato. Il motivo, come sa ogni imprenditore, è che non si riducono le spese se non si riorganizza l'azienda, chiudendo o riaccorpando uffici e reparti.
È quello che ha cercato di fare il governo Monti, puntando sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. L'esempio migliore è la legge Severino che voleva rendere più efficienti le sedi giudiziarie con la chiusura di 31 tribunali, 31 Procure, 220 sezioni distaccate e 667 uffici del giudice di pace (che vi sia un eccesso di sedi è dimostrato dal Piemonte, con 17 tribunali e 139 uffici giudiziari). Il vantaggio di chiudere un tribunale è che, diversamente dai tagli lineari, la riduzione della spesa che ciò comporta è davanti agli occhi di tutti.

E tuttavia nemmeno questo ha funzionato. Innanzitutto perché la legge Severino è rimasta un caso isolato. Non sono state chiuse caserme inutili, né università giudicate pessime nella valutazione del ministero. Ma soprattutto, mentre dei tagli lineari nessuno si preoccupa, tanto si sa che non verranno applicati, le chiusure di specifiche strutture pubbliche, proprio perché più difficilmente aggirabili, suscitano reazioni violente.
Nel caso dei tribunali sono insorti gli avvocati delle sedi accorpate. E puntualmente, due settimane fa, al momento dell'approvazione della cosiddetta legge sul «Fare», il Senato ha votato un ordine del giorno, firmato da tutti i gruppi della maggioranza, che impegna il governo a modificare la legge Severino entro il 12 settembre, il giorno prima che entri in vigore. Cioè quei tribunali non verranno chiusi mai. L'errore del ministro Severino - che pure è l'unico che ha concretamente cercato di ridurre le spese - è di aver ritenuto esaurito il suo compito una volta ottenuta l'approvazione della legge.

I nostri presidenti del Consiglio trascorrono anche le vacanze e i fine settimana a Palazzo Chigi. Durante la difficilissima battaglia per l'approvazione della sua riforma sanitaria, il presidente Obama trascorreva poche ore alla Casa Bianca. Per mesi ha viaggiato da un lato all'altro degli Stati Uniti cercando di convincere gli americani in ogni città, scuola e associazione che le aziende farmaceutiche mentivano e quella legge era nel loro interesse. La difficoltà infatti non era scrivere una buona legge, ma evitare che la lobby la bloccasse. E oggi, alla vigilia dell'entrata in vigore della legge, quando la lobby è di nuovo tornata in campo per impedirla, ha schierato la sua straordinaria macchina elettorale - il team di esperti e volontari che per due volte lo ha portato alla presidenza - per convincere gli americani con un'operazione capillare.
Crederò che il governo sia impegnato a ridurre le spese quando Letta e Saccomanni si recheranno a Saluzzo, uno dei tribunali accorpati, per convincere i cittadini che togliere l'Imu richiede anche la chiusura di tribunali in eccesso, malgrado le proteste corporative degli avvocati. O a Bari, Messina, Urbino e a spiegare che la chiusura di quelle tre università (in fondo alla classifica dell'Anvur) è nell'interesse dei loro figli. Non è frequentando una fabbrica delle illusioni che ci si costruisce un futuro.

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