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martedì 1 ottobre 2013

C''E' UN TRISTE PUNTO IN COMUNE TRA DISSENZIENTI E TRADITORI : ENTRAMBI NON SI DIMETTONO MAI




E' assolutamente lecito dissociarsi da qualcosa che non si condivide più. NON lo è farlo rimanendo nel posto che si occupa SOLO GRAZIE alla persona, o al partito, di cui non si approva la linea, la strategia, quello che sia. Insomma non è difficile. Se faccio parte di un'associazione, di un gruppo, di un partito, va bene esprimere il mio diverso parere, il mio dissenso, quello che sia. Dopodiché però l'organizzazione di cui faccio parte DEVE prendere una decisione di azione. Se questa è per me inaccettabile, è giusto che mi dissoci, ma anche conseguenziale che me ne vada. Succede ovunque. E se occupavo delle cariche in virtù della appartenenza che oggi rifiuto (legittimamente) , coerenza e dignità a mio avviso richiedono che le lasci.
Come dice una bella canzone di Irene Grandi ..."Non è facile, ma è tutto qui".
Dopodiché posso essere d'accordo nello stigmatizzare l'attacco verbale violento a chi si dissocia, il termine traditori o peggio, anche se poi c'è modo e modo di farlo. Pierluigi Battista, nel criticare duramente la "caccia  al giuda" messa su da organi di stampa come Il Giornale, mette insieme un po' di tutto, andando da persone come Follini a Fini, che francamente non riterrei paragonabili. Abilmente poi, non cita mai gente come Razzi, Scilipoti (mi ringrazierà l'onorevole per non averlo citato per primo), Di Gregorio, Carlucci...tutta gente che difficilmente possono essere immaginati come qualcosa di diverso da semplici voltagabbana, genia che è sempre esistita e esisterà sempre. 
Insomma, i traditori ci sono, eccome, e poi ci sono quelli che hanno un'idea assolutamente legittima e coerente con la propria storia. E' il caso di Follini (che è vero che poi è finito nel PD, ma in quota ex DC, e ha sempre sostenuto la sua politica centrista), NON di Fini, che si è "evoluto" molto (troppo ?) negli anni.
No, continuo a non essere d'accordo, per una volta potrà ben succedere, con il bravo editorialista del Corsera, di cui riporto l'articolo odierno.


"La caccia infinita ai Traditori" 
 
Stavolta, l'evocazione del «tradimento» è soprattutto la proiezione di una grande paura. Liquidare come «traditori», «prezzolati», «mercenari» una parte importante del gruppo dirigente del Pdl, il suo segretario Alfano, i ministri più rappresentativi, ex capigruppo.
Non «alleati» riottosi cui infliggere il metodo rude che ieri è stato menzionato da Angelino Alfano e che prende nome dal trattamento brutale che il giornale super-berlusconiano adoperò nei confronti di Dino Boffo. Ma una parte importante del partito. Una parte che sta osando l’inosabile: non sottomettersi alla corte dei falchi che circonda il sovrano. Non identificare in toto le ragioni dell’elettorato del centrodestra con la sorte del Capo che fa e disfa la tela dei governi. «Traditori»: cioé dissidenti. Forse.
Forse, perché il drappello dei «traditori» sta subendo un’opera di «convincimento» molto avvolgente. Forse, perché arrivare fino allo strappo è impresa molto delicata. Forse, perché i precedenti non militano a favore dell’ottimismo, e per un Gaetano Quagliariello che assicura di voler diventare dirigente di qualche club del Napoli se la sua parabola politica dovesse volgere alla fine, gli altri ministri sanno che il loro dissenso, portato fino in fondo, significherebbe l’inizio di una lunga e solitaria traversata nel deserto.
Forse, dunque. Chissà se riuscirà a reggere l’urto delle invettive, la pattuglia moderata che stavolta, come lo scrivano Bartleby di Melville, è riuscita a dire: «Preferisco di no». Dovranno sentire e subire in queste ore e in questi giorni e, se persiste nel dissenso, nei prossimi mesi, tutta la claque del Capo che deplora chi ha avuto l’ardire di non essere entusiasticamente d’accordo con lui. La caccia all’eretico era un dovere per i devoti che dovevano segnalare i correligionari troppo fiacchi. Nella Rivoluzione francese si ghigliottinavano i «tiepidi», quelli che la folla giacobina considerava troppo poco entusiasti e dunque, secondo il sillogismo rivoluzionario che non consente mediazioni o discussioni, in oggettiva collusione con il Nemico. Nella retorica comunista, dietro il moderato si annidava pur sempre il «nemico del popolo», il «traditore». Il fascismo vedeva complotti dappertutto e dalla Repubblica di Salò fino al neofascismo missino, «Badoglio» era l’offesa suprema che si doveva scagliare contro chi aveva manovrato nell’oscurità per accoltellare alla schiena il «vile traditor». Mutatis mutandis , per carità, adesso le colombe del Pdl si accorgono un po’ tardivamente, un po’ troppo tardivamente, che nel loro partito, pur sotto le diverse denominazioni, il dissenso è semplicemente pericoloso. «Non ci faremo intimidire», ha detto in segno di sfida Alfano. Vuol dire che chi dissente, da quelle parti, deve aspettarsi una poderosa, spietata, tambureggiante campagna intimidatoria. Il «governicchio dei traditori», come l’ha ribattezzato sprezzantemente lo stesso Berlusconi, deve essere schiacciato senza requie.
Così come è stata senza requie la campagna contro chi, all’interno del centrodestra, si è via via ritagliato uno spazio e una visibilità autonomi rispetto alla straripante personalità del leader indiscusso. Marco Follini è stato il bersaglio ghiotto. Più che traditore, era stato lungamente ritratto dai giornali più vicini a Berlusconi come il frenatore professionale, una quinta colonna dentro la falange del centrodestra. Una campagna durissima, in cui gli argomenti di Follini venivano semplicemente ignorati, per dare sfogo a tutte le accuse possibili e immaginabili. E anche Pier Ferdinando Casini, dopo essere stato per anni accarezzato e blandito come il «delfino», come l’alleato un po’ troppo democristiano ma comunque simpatico e gioviale, a un certo punto si è visto dipinto, quando non accettò il diktat della totale berlusconizzazione del suo partito, come un «traditore», uno che aveva sempre lavorato ai fianchi il Capo per indebolirlo e fare un piacere al nemico. Da ultimo Giulio Tremonti. Prima di esalare l’ultimo respiro, il governo presieduto da Berlusconi aveva già indicato il vero responsabile dei fallimenti governativi, dalla politica spietata dei «tagli lineari» alla pervicace negazione di ogni concessone fiscale: Giulio Tremonti. L’estate avvelenata del 2011 che ha preceduto la fine del governo Berlusconi è stata una fiammata di accuse di «tradimento». Un «tradimento» che è poi diventato un complotto su scala europea e internazionale. E anche allora i giornali vicini a Berlusconi si esercitarono nel tiro al bersaglio contro Tremonti. I traditori erano sempre quelli che potevano oscurare l’astro del Capo. I parlamentari del fronte opposto che invece venivano alla spicciolata a difendere i numeri del governo avevano un altro nome, nient’affatto infamante e anzi decisamente altisonante: «Responsabili».
Ma il metodo venne applicato con militare determinazione, con spietatezza e disciplina nei confronti del «traditore» massimo, della personificazione di ogni tradimento: Gianfranco Fini. Il delfino che aveva osato dire «che fai mi cacci?» venne messo a rosolare per tutta l’estate del 2010 in una campagna quotidiana, durissima, martellante sulla casa di Montecarlo, eredità di una nobildonna missina donata al suo partito, messa a disposizione, con molti dettagli ancora oggi non perfettamente chiari, del cognato Tulliani. Ogni giorno. Tutti i giorni, un titolo d’apertura del Giornale . Una rivelazione per volta, un dettaglio alla volta, e la mobilitazione di Walter Lavitola, e le società off-shore in un intrigo che ha dato un colpo micidiale all’integrità politica dell’allora presidente della Camera. Una raffica contro il Fini che pure, anche lui in piena sindrome del «tradimento», aveva definito pubblicamente «puttani» i parlamentari colpevoli del ribaltone. Può essere che la pattuglia dei neo-dissidenti non vada fino in fondo. Ma per i «traditori» si annunciano tempi di ferro e di fuoco. «Non ci faremo intimidire»: chissà.

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