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giovedì 17 ottobre 2013

RODOTA' SPONSORIZZA LA LEGALIZZAZIONE DELL'OCCUPAZIONE DEL TEATRO VALLE. E LO VOLEVATE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA...


Sulla retorica della Legalità, con sottotitolo "quando c'è pare" aveva già scritto, e bene, Pierluigi Battista ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/09/qualcuno-si-ricorda-del-teatro-valle.html ) parlando dell'occupazione del Teatro Valle di Roma, che credo vada per il terzo compleanno. 
Sul tema è tornato oggi Luca Mastrantonio, evidenziano che oltre all'aspetto dell'illiceità dell'occupazione di un luogo pubblico, l'impossessamento arbitrario di una parte che dovrebbe spiegare perché "loro sì e altri no" sono i soli che possono fare cultura , c'è un aspetto anche economico, di concorrenza sleale, visto che questi signori ignorano completamente SIAE, Fisco, norme di sicurezza e le bollette gliele paga (perché mai ??) il Comune di Roma.
Ah, tutto questo sotto l'egida autorevole di Rodotà, che afferma tranquillamente la legalità di questa operazione, con tanto di Statuto sottoposto in questi giorni al Prefetto. Noi pensavamo che solo l'amministrazione cittadina di Napoli avesse la malsana idea di sanare l'occupazione abusiva degli alloggi popolari, più spesso effettuata anche tramite minacce verbali (e convincimenti più persuasivi per i duri d'orecchi) della Camorra, che favorisce ovviamente le famiglie degli "amici". Ed ecco che, invidiosi forse della diversità partenopea, cerchiamo di metterci a paro.
E pensare che Rodotà lo volevano presidente della Repubblica...


  "L’allegro mondo del Valle dove le regole non valgono"

 Le origini: Il Teatro Valle si trova nel Rione Sant’Eustachio a Roma L’edificio: La struttura (una sala a ferro di cavallo con loggione e 4 ordini di palchi) venne inaugurata nel 1727 La svolta: Nel maggio 2011, con la dismissione dell’Ente teatrale italiano, il «Valle» interrompe le attività. L’occupazione: Dal 14 giugno 2011 la struttura è occupata dai lavoratori dello spettacolo che chiedono di mantenere l’ente pubblico.

 Il Teatro Valle di Roma, di proprietà del Comune e occupato illegalmente da lavoratori precari e benecomunisti che vogliono trasformarlo in una Fondazione per legalizzarne l’appropriazione, inizia oggi la sua stagione con Un Bès-Antonio Ligabue di Massimo Perrotta. Ma la vera partita non si giocherà sul palcoscenico, dove sono previsti Antonio Latella, Pippo Delbono, Davide Enia, Fausto Paravidino; bensì negli uffici del Prefetto di Roma, che nei prossimi mesi deciderà se approvare lo Statuto della auto-nominata Fondazione Teatro Valle Bene Comune (con una direzione artistica e un comitato di tre garanti, per uno dei quali si era fatto il nome dello scrittore Christian Raimo che, però, ha per ora declinato l’offerta). Il punto non è più solo la (non) liceità di occupare uno spazio pubblico, sottrarlo alle istituzioni per restituirlo, nelle intenzioni dichiarate, alla comunità; con annessa, da destra, la richiesta di uno sgombero invocato da Fratelli d’Italia ma evitato da Gianni Alemanno quando era sindaco e pagava le bollette della luce agli occupanti, mentre il Comune e il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo hanno riconosciuto validità all’esperienza del Valle. La questione è etica e d’ambito economico, riguarda le regole di competizione tra i teatri: sono uguali per tutti o no? E gli errori di sistema, tra diritti d’autore, burocrazia e fisco, vanno superati con nuove leggi o legalizzando le forzature? Il Teatro Valle Occupato propone di far andare al minimo il motore del prestigioso teatro storico nel cuore di Roma — occupato tre anni fa mentre il suo destino era incerto. I soci fondatori hanno versato almeno dieci euro, volontaria è poi la cifra offerta da soci sostenitori, detti «complici», e soci «comunardi» (circa 5mila soci hanno raccolto un capitale sociale di 140 mila euro). Per questa Fondazione, però, il modello è l’autogestione. L’ingresso è addirittura libero, con una «quota di complicità suggerita» di 8 euro: soluzione a metà tra l’obolo sacro e un biglietto mascherato da elemosina (espressione usata da Goffredo Fofi, a sinistra, quando criticò gli occupanti). L’incasso sarebbe gestito secondo una «cooperazione reciproca» che prevede il 2,5 per cento agli autori e un 5 per cento in una cassa-cuscinetto per quelli che non riescono a coprire le spese. Per ogni componente della compagnia ospitata, tra attori, tecnici e altro, è prevista una paga di circa 65 euro. La parte più controversa, tutta politica, riguarda non le entrate ma la riduzione delle uscite: il modello prevede che non si paghino i diritti Siae, gli oneri fiscali per l’agibilità, i vigili del fuoco... le cosiddette «spese vive» che, invece, gli altri teatri sostengono (pur criticandone molti aspetti): siano pubblici come il Teatro Argentina o privati come il Teatro dell’Orologio, entrambi vicini al Valle. Concorrenza sleale? Non è stata rinvenuta da Stefano Rodotà e Ugo Mattei, ispiratori di un’esperienza che ha visto in prima linea anche volti noti come l’attore Fabrizio Gifuni e il cantante Jovanotti. Rodotà va oltre, appoggia questa trasformazione di una pratica sociale illegale, come l’occupazione di un bene patrimoniale pubblico, in una istituzione: «Un modello dotato di un rigore giuridico impeccabile», a difesa della «cultura», bene comune, come la «natura» in Val di Susa.

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