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sabato 22 febbraio 2014

NELLA SQUADRA DI RENZI SI GIOCA AD UNA SOLA PUNTA : MATTEO.



Molte le analisi e i commenti conseguenti alla scelta dei ministri del nuovo governo Renzi.  Scelgo quella di Polito  di cui condivido diverse considerazioni. Alla fine della fiera, i renziani "puri" sono solo due, e nessuno   in ministeri chiave : Delrio non è nemmeno ministro, ma vicesegretario...di fatto il consigliere del Premier; Del Bosco, alle riforme costituzionali, dove evidentemente la partita si gioca altrove e più precisamente sull'asse Arcore - Firenze. Al ministero più importante, quello dell'economia, ancora un tecnico, Padoan, e vedremo se tra i due sarà possibile un feeling. Agli interni è rimasto Alfano, agli esteri è stata fatta fuori la Bonino per la Mogherini che renziana non è (e nemmeno esperta della materia...un azzardo in piena bagarre per la vicenda dei Marò). Alla Giustizia, altro settore delicatissimo, pare che Renzi volesse Gratteri, un ex pm. Roba da togliere il saluto per un mesetto agli amici del PD Riccardo e Massimiliano ! Poi, secondo le solite indiscrezioni, proprio Napolitano avrebbe spiegato a Renzino che non era il caso di esagerare, ed è stato scelto un uomo di migliori "garanzie", Andrea Orlando, uno dei cd. "giovani turchi" dei Democrats. Comunque sia, come avevamo già considerato ieri, appena conosciuta la squadra, nessun Top Player e sulla fedeltà al "Mister" non c'è da scommettere. Alla fine, l'unica punta vera è proprio lui, Matteo. E' lui che ha fatto un triplo carpiato, togliendo la sedia a Letta per subentrargli nello STESSO parlamento, con voti e maggioranze non certo d'acciaio. In questo scenario, e alla fine con un esecutivo che non è   quello che avrebbe scelto se avesse goduto di altra forza contrattuale, derivante da una netta vittoria elettorale, Renzi si gioca la partita più importante.
Siccome in ballo ci siamo anche noi, speriamo la vinca.
Ma non sarà affatto facile.
Buona Lettura

Esuberante debolezza"
 

Alla fine, seppure non per la via maestra elettorale, il sindaco d’Italia è davvero arrivato. I due sindaci anzi, visto che a Palazzo Chigi Matteo Renzi avrà al suo fianco Graziano Delrio. Il nuovo governo è una fotografia dell’ansia di novità del premier. Ma è anche la misura dei limiti di un esperimento che risente del mondo antico in cui è nato: un Parlamento privo di una maggioranza elettorale, una coalizione variopinta composta di nove sigle, un’Europa in cui siamo ancora osservati speciali. È finalmente ricco di donne, raggiungendo standard da Paesi nordici; ed è affollato di gente nuova, anche se in qualche caso sembra di seconda fila. Ma, allo stesso tempo, il premier ha dovuto cedere su due punti per lui simbolici. Il primo è Alfano, il dioscuro di Letta: resta nel governo che si voleva «delettizzare», seppure perdendo i galloni di vice; il secondo è il Tesoro, dove non va un uomo di Renzi, ma un uomo delle istituzioni finanziarie, quel Pier Carlo Padoan la cui carriera all’estero è stata considerata indispensabile, come fu con Grilli e Saccomanni, per sedere ai tavoli dove si decide e si parla inglese.
Si può insomma dire che la vera innovazione del «Renzi 1» è Renzi stesso, il più giovane premier, per giunta extraparlamentare, dall’Unità d’Italia a oggi, e uno dei più ambiziosi. È lui la forza gravitazionale su cui si basa il governo, perché se cade lui cade anche l’ultima chance della legislatura e si fanno male in tanti. Dunque solo lui può dare anima a un esecutivo che per il resto non ha né più voti né più star di quello di Letta.
Soprattutto è da sperimentare la troika economica, un po’ troppo assortita, con un’esponente di Confindustria allo Sviluppo e uno delle Coop al Lavoro, dove dovrebbe nascere la riforma chiave per aprire il cuore dei burocrati di Bruxelles. Ed è una vera e propria scommessa la scelta di cambiare nel pieno della crisi dei marò il ministro degli Esteri, sostituendo una delle italiane più note nel mondo, Emma Bonino, con una delle migliori giovani del Parlamento, Federica Mogherini, che dovrà ora imparare un mestiere nuovo e complicato.
Non a caso il parto è stato tra i più laboriosi di sempre. Lo si è capito da quanto tempo il premier ha passato nello studio del capo dello Stato, che per la Costituzione ha il potere di nominare i ministri. E lo si è capito dai nomi che non hanno resistito al vaglio, come quello di un procuratore della Repubblica, Gratteri, alla Giustizia.
Quanto durerà? Almeno fino alla riforma del Senato, ora saggiamente legata all’entrata in vigore della nuova legge elettorale. Ma non dipende solo da Renzi. Berlusconi ha in mano la seconda maggioranza, quella che deve fare le riforme. Il gioco è dunque a due. Speriamo non sia doppio.

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