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lunedì 5 maggio 2014

E GENNY A CAROGNA RACCONTA LA SUA VERSIONE


A sentirlo, sembra (nonostante le foto, specie questa di sopra, scattata nella partita di champions contro l'Arsenal...) un giovanotto alla fine tranquillo Gennaro De Tommaso, ormai per tutti Genny 'a carogna, nome, dice lui, ereditato dal padre per motivi di sfortuna (non sapevo ci fosse questo nesso dialettico tra i due vocaboli) , intervistato dal Mattino di Napoli. 
Toni pacati, ancorché fermi, nel raccontare la sua verità che è :
- nessuna trattativa con le forze dell'ordine
- semplice colloquio con i colleghi della Fiorentina per decidere di non tifare visto che c'era un ragazzo "sparato" e in pericolo di vita 
- nessuna imposizione agli altri tifosi in questo senso
- nemmeno nessua pretesa in ordine alla disputa o meno dell'incontro
- la maglietta con su scritto "Speziale libero" non vuole essere un'offesa al poliziotto ucciso e quindi alla famiglia di lui, ma solidarietà ad uno di loro che ha subito un'ingiustizia e che sta cercando di ottenere la revisione del processo. 

Questa è la versione di Genny, che non collima non solo con quanto riportato dai giornalisti che, si sa , inventano (il che è anche vero, sicuramente alterano ) ma anche dalle testimonianze lette in rete da tifosi che c'erano. Per esempio l'intimazione a non tifare viene confermata dai supporter napoletani, gente venuta non solo da Napoli e che in serata stessa sarebbe dovuta tornare a casa per andare a lavorare il giorno dopo.
Quanto al fatto che non si poteva urlare, tifare, cantare per una partita mentre un giovane era in fin di vita (per fortuna le condizioni di Ciro Esposito sembrano migliorare), questo sarebbe anche apprezzabile, ma come gesto spontaneo, e comunque alla fine della partita, a vittoria ottenuta, che fine hanno fatto questi sentimenti di cordoglio e rispetto ? 
Badate, non biasimo il fatto che il Napoli e i napoletani abbiano festeggiato la vittoria a fine partita. E' accaduto in passato in situazioni assolutamente tragiche. Rimarco a Genny la contraddizione e mi pongo la domanda : se avesse vinto la Fiorentina cosa sarebbe accaduto ? 
Penso di poter dire che "per fortuna" ha vinto il Napoli, e quindi non lo sapremo mai.
Meglio così.

Di seguito, l'intervista richiamata nel post


Mattino logo

Genny 'a carogna racconta la sua verità: «Nessuna trattativa con le forze dell'ordine»

Il capotifoso: i colpi di pistola non si erano mai visti, non potevamo più tifare. Speziale? Un segno di amicizia per una persona che cerca giustizia
di Daniele De Crescenzo
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NAPOLI - «State sbagliando: non è di me che dovete preoccuparvi, ma del ragazzo che è stato ferito»: Genny ’a carogna, o meglio Gennaro De Tommaso, parla pacato. Non si difende. Attacca. Trovarlo non è difficile: tra Forcella e piazza San Gaetano, dove è nato, lo conoscono tutti.



Jeans e giubbino, mani in tasca e viso affranto, offre un’ immagine che non ti aspetti. A cominciare dal nome: non è suo, raccontano nei vicoli, lo ha ereditato dal padre, e non indica cattiveria, ma sfortuna. Non è vero, dice, che a suo carico sabato ci fosse un Daspo, una diffida con obbligo di firma: il provvedimento, spiegano quelli della curva A, è scaduto da tempo.

Seduto tra gli amici su una panchina del centro storico non è facile riconoscere Genny, anche se la sua immagine impazza sul web. Il ragazzo pacato che difende le ragioni sue e dell’intera Curva A somiglia poco a quello che ha sbalordito milioni di italiani in diretta tv. Lo abbiamo visto tutti con la maglietta che inneggia al condannato per l’uccisione di un poliziotto, mentre con le braccia alzate e coperte di tatuaggi sembra dare il via alla partita tenendo in pugno i sui compagni. E quindi la squadra. E quindi le forze dell’ordine. E quindi una capitale assediata. Ma lui smentisce categoricamente che tutto questo sia successo. E racconta una storia completamente diversa. A volte confusa, lacunosa. Ma che esclude assolutamente ogni patto con la squadra e con le forze dell’ordine.

Come è andata veramente sabato a Roma?
«Quelle che sono state scritte sono tutte sciocchezze. Hamsik è venuto da noi solo per rassicurarci sulle condizioni del nostro amico, per dirci che stava meglio, che poteva farcela. Lo stesso messaggio che ci hanno dato le forze dell’ordine. Noi abbiamo parlato con tutti con calma e rispetto, senza minacce o provocazioni. Non c’è stata alcuna trattativa tra la Digos e la curva partenopea sull’opportunità di giocare o meno la partita. Il resto sono invenzioni dei giornalisti».

Quindi nessuna trattativa?
«Ovviamente no. Quello che è successo sabato è inaudito, non era mai accaduto che qualcuno sparasse ai tifosi. Di tutto questo sembra non importare niente a nessuno. Ma a noi sì, a noi interessa. Ed è per questo che abbiamo deciso di rinunciare alla coreografia che avevamo organizzato e che ci era costata quindicimila euro. E la stessa cosa hanno fatto anche i supporter della Fiorentina. Come avremmo potuto srotolare gli striscioni, e cantare, e ballare quando uno di noi era in fin di vita? Ci siamo rifiutati di farlo. Ma non abbiamo minacciato nessuno e non abbiamo detto di non giocare. Né avremmo avuto il potere per farlo. Noi non possiamo decidere nulla».

E quella maglietta che inneggia all’assassino di Raciti, non è un gesto di sfida?
«No, anzi. L’unica cosa importante di questa storia ormai è diventata la maglietta che io e gli altri tifosi indossiamo. ”Speziale libero” c’è scritto. Ma attenti: la maglietta è in onore di una città dove abbiamo tanti amici e nei confronti di un ragazzo che sta chiedendo attraverso i suoi legali la revisione del processo. È una richiesta di giustizia, non un’offesa contro una persona deceduta o contro i suoi familiari».

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