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mercoledì 14 maggio 2014

"FU DRAGHI A SALVARE L'EURO". E QUESTA NON E' UNA NOTIZIA. "A BRUXELLES VOLEVANO LA TESTA DI BERLUSCONI" NEMMENO QUESTA ORMAI.


Questa cosa la stanno dicendo in troppi, e sempre più dall'estero. Furono i "funzionari europei" a chiedere la testa di Berlusconi e nel novembre del 2011 la ottennero.
Rivelata da Friedman la cosa è stata poi tacitata come pettegolezzo senza prove, anche perché le date non piacevano, con il Presidente Napolitano che contatta Monti già a giugno 2011, quindi quando lo spread ancora non ha iniziato ad incendiarsi. Poi c'è stata l'intervista all'ex premier spagnolo Zapatero, quindi il Financial Times e coevo a quest'ultimo l'uscita del libro di memorie dell'ex ministro del tesoro americano, Tim Geithner, il quale racconta come la proposta fu declinata dagli USA di Obama. 
Oggi, quelli di Bruxelles dicono che sarebbe vero il contrario : gli americani volevano che l'Italia accettasse l'aiuto del Fondo monetario, con tutto quello che ciò avrebbe comportato in limitazioni di sovranità (userei a questo punto il termine "ulteriori", perché comunque ce n'erano e ce ne sono, e di stringenti), e di fronte al rifiuto di Berlusconi, erano loro che lo volevano via da Palazzo Chigi.  
Mi pare evidente che la contestazione europea valga una conferma, o gli uni, o gli altri, discussero alle spalle del governo italiano in carico perché lo stesse cadesse : gli amici occidentali, ponendosi il problema italiano, cosa legittima, volevano decidere il defenestramento del premier eletto, e invece questo aspetto lo è molto meno.
A tutto voler concedere, ci sta anche che i partners europei e americani sollecitino un paese membro, alleato e  amico a cambiare rotta, e, in caso di diniego, avvertire delle possibili conseguenze (il non prestare aiuti). Però sarebbe bene che questo avvenisse alla luce del sole, e questo certo non è stato.
Parimenti, come ha più volte ricordato Facci, non è bello che la stampa faccia finta di non ricordare che incontri tra Napolitano e Monti a giugno 2011 erano poco opportuni, visto che vi era un governo in carica,  con un mandato popolare diretto  (l'ultimo ad averlo avuto, che da Monti a Renzi non è stato più propriamente così) e la crisi dello spread di là da venire. La lettera di Trichet, controfirmata da Draghi, era di agosto. 
In Democrazia queste cose contano. Capisco poi che per Renzino, Jago di Letta, siano magari cosucce, però è un punto di vista troppo segnato da un carattere molto disinvolto.
Per non creare equivoci, non sono "indignato" o "scandalizzato". Queste cose le lascio ai miei amici anime belle. La lotta e la gestione del potere non è un ballo di debuttanti. Però le cose poi vanno raccontate per quello che sono, finendola coi buoni da una parte e i cattivi dall'altra. Ci sono vincitori e vinti.
Personalmente, ritengo che dal 2010 l'Italia dovesse tornare alle elezioni, che dopo la diaspora finiana era palese che  il governo Berlusconi si limitava a galleggiare, coi voti dei "responsabili" di allora ( trattati con disprezzo, mentre quelli di oggi, gli alfaniani, sono i salvatori della patria...mah, a me i voltagabbana non piacciono mai) , ed era particolarmente inadeguato ad affrontare le nubi della crisi economica che fino a quel momento ci avevano lambito ma non ancora travolto.  Al Presidente della Repubblica però le elezioni non piacciono, anche perché noi italiani non ci decidiamo a votare come vorrebbero i politici, e quindi meglio che le cose poi se le "aggiustino" tra loro, come stiamo vedendo dal 2011 ad oggi. 
Resta che allora accaddero cose non lecite, e infatti eseguite al buio. Quanto a Draghi salvatore dell'euro, questo veramente l'avevamo capito da un pezzo e per fortuna da un po' i montiani non fiatano più, che pochi bluff si sono svelati così presto come quello di Mario Monti. Nel giugno del 2012 i mercati erano ancora in fiamme, nonostante il governo dei tecnici, e fu l'altro, il vero "super Mario" a spegnere l'ncendio col suo "whatever it takes". 
Che Dio ce lo conservi.






L’ex ministro Usa: funzionari europei
ci proposero di far cadere Silvio

Geithner: ovviamente dissi a Obama che non potevamo starci

REUTERS
Tim Geithner, ex ministro del Tesoro Usa
inviato a new york
Nell’autunno del 2011, quando la drammatica crisi economica aveva portato l’euro ad un passo dal baratro, alcuni funzionari europei avvicinarono il ministro del Tesoro americano Geithner, proponendo un piano per far cadere il premier italiano Berlusconi. Lui lo rifiutò, come scrive nel suo libro di memorie appena pubblicato, e puntò invece sull’asse col presidente della Bce Draghi per salvare l’Unione e l’economia globale.
«Ad un certo punto, in quell’autunno, alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i presti dell’Fmi all’Italia, fino a quando non se ne fosse andato». Geithner, allora segretario al Tesoro Usa, rivela il complotto nel suo saggio «Stress Test», uscito ieri. Una testimonianza diretta dei mesi in cui l’euro rischiò di saltare, ma fu salvato dall’impegno del presidente della Bce Mario Draghi a fare «tutto il necessario», dopo diverse conversazioni riservate con lo stesso Geithner.

I ricordi più drammatici cominciano con l’estate del 2010, quando «i mercati stavano scappando dall’Italia e la Spagna, settima e nona economia più grande al mondo». L’ex segretario scrive che aveva consigliato ai colleghi europei di essere prudenti: «Se volevano tenere gli stivali sul collo della Grecia, dovevano anche assicurare i mercati che non avrebbero permesso il default dei paesi e dell’intero sistema bancario». Ma all’epoca Germania e Francia «rimproveravano ancora al nostro West selvaggio la crisi del 2008», e non accettavano i consigli americani di mobilitare più risorse per prevenire il crollo europeo.

Nell’estate del 2011 la situazione era peggiorata, però «la cancelliera Merkel insisteva sul fatto che il libretto degli assegni della Germania era chiuso», anche perché «non le piaceva come i ricettori dell’assistenza europea - Spagna, Italia e Grecia - stavano facendo marcia indietro sulle riforme promesse». A settembre Geithner fu invitato all’Ecofin in Polonia, e suggerì l’adozione di un piano come il Talf americano, cioè un muro di protezione finanziato dal governo e soprattutto dalla banca centrale, per impedire insieme il default dei paesi e delle banche. Fu quasi insultato. Gli americani, però, ricevevano spesso richieste per «fare pressioni sulla Merkel affinché fosse meno tirchia, o sugli italiani e spagnoli affinché fossero più responsabili». Così arrivò anche la proposta del piano per far cadere Berlusconi: «Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente, ma per quanto sarebbe stato utile avere una leadership migliore in Europa, non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello. “Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani”, io dissi».

A novembre si tenne il G20 a Cannes, dove secondo il Financial Times l’Fmi aveva proposto all’Italia un piano di salvataggio da 80 miliardi, che però fu rifiutato. «Non facemmo progressi sul firewall europeo o le riforme della periferia, ma ebbi colloqui promettenti con Draghi sull’uso di una forza schiacciante». Poco dopo cadde il premier greco Papandreu, Berlusconi fu sostituito da Monti, «un economista che proiettava competenza tecnocratica», e la Spagna elesse Rajoy. A dicembre Draghi annunciò un massiccio programma di finanziamento per le banche, e gli europei iniziarono a dichiarare che la crisi era finita: «Io non la pensavo così».
Infatti nel giugno del 2012 il continente era di nuovo in fiamme, perché i suoi leader non erano riusciti a convincere i mercati. «Io avevo una lunga storia di un buon rapporto con Draghi, e continuavo ad incoraggiarlo ad usare il potere della Bce per alleggerire i rischi. “Temo che l’Europa e il mondo guarderanno ancora a te per un’altra dose di forza bancaria intelligente e creativa”, gli scrissi a giugno. Draghi sapeva che doveva fare di più, ma aveva bisogno del supporto dei tedeschi, e i rappresentanti della Bundesbank lo combattevano. Quel luglio, io e lui avemmo molte conversazioni. Gli dissi che non esisteva un piano capace di funzionare, che potesse ricevere il supporto della Bundesbank. Doveva decidere se era disponbile a consentire il collasso del’Europa. “Li devi mollare”, gli dissi». Così, il 26 luglio, arrivò l’impegno di Draghi a fare «whatever it takes» per salvare l’euro. «Lui non aveva pianificato di dirlo», non aveva un piano pronto e non aveva consultato la Merkel. A settembre, però, Angela appoggiò il «Draghi Put», cioè il programma per sostenere i bond europei, che evitò il collasso.

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