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martedì 27 maggio 2014

GLI OPINIONISTI E LA VITTORIA DI RENZI : ANGELO PANEBIANCO


Dopo aver detto la mia sul voto , sia in prospettiva nazionale (  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/05/il-referendum-su-renzi-ha-dato-il-suo.html   ) che europea ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/05/in-europa-1-cittadino-su-10-daccordo.html)  oggi ai lettori del Camerlengo si offre una rassegna stampa con le opinioni degli osservatori più qualificati.
Inziamo col Prof. Angelo Panebianco. E' una lettura che suggerisco ai miei cari amici del PD, giustamente euforici e anche un po' alticci per la sbornia di un successo che in questi termini nessuno aveva immaginato. Panebianco ricorda :
1) Le elezioni europee NON sono equiparabili a quelle politiche. Non c'è  intanto il problema del voto utile, sia perché non si incide nella formazione di un governo - nazionale ma nemmeno europeo, di fatto - sia perché il sistema è proporzionale, senza bonus di maggioranza. Insomma, l'occasione buona per mandare messaggi di opinione. Il che non significa che la vittoria sia meno brillante, da parte di Renzi, ma che sarebbe un errore immaginare di trasportare quel 40% sic et simpliciter nello scenario di una elezione politica. Tanto più che l'astensione cresce e NON penalizza praticamente per nulla il PD mentre invece molto il Centro destra, e anche Grillo, stavolta. Non è un caso che la sensibilità a sinistra per la partecipazione popolare al voto si è di molto ridotta da quando hanno scoperto che astensione, per loro, significa spesso vittoria.
2) Le urla grilline hanno aiutato, e anche l'accento messo da Berlusconi sul pericolo Grillo,"peggio di Hitler". Gli elettori spaventati dall'estremismo ortottero hanno pensato bene che se una diga si doveva erigere, allora più efficace era quella del giovane, pimpante e forte neo premier del Consiglio rispetto al declinante, anziano e inguaiato Cavaliere
3) Come si pensava anche nel 2012, quando la convinzione diffusa era che Renzi avrebbe fatto decisamente meglio di Bersani, troppo schiacciato a Sinistra per allargare il bacino di voti ( e così poi fu ), il Toscanaccio è il nuovo Berlusconi in materia di vis attrattiva elettorale. Le elezioni le vince tutte e laddove non lo fa, come le primarie con Bersani, ottiene una sconfitta lusinghiera che non preclude, anzi prepara, la futura rivincita. L'idea degli 80 euro regalati al proprio elettorato, i dipendenti pubblici, è stata una genialata, degna delle mosse pre elettorali di Berlusconi (abolizione della tassa di successione una volta, dell'ICI sulla prima casa un'altra ). Ciò posto, poi bisogna FARE, e su questo ricordo i commenti critici di gente NON ostile pregiudizialmente a Renzi (anzi, tutti ammiratori di quello delle prime Leopolde) ma oggi più perplessi dal suo incipit, fatto di annunci, di sfide roboanti, ma scelte finora deboli, condizionate sicuramente da un Parlamento non precisamente amico. Parlo di Luca Ricolfi, Davide Giacalone, che hanno stigmatizzato la scelta di investire miliardi (che tanto costa la mancia elettorale degli 80 euro) sulla diminuzione del prelievo fiscale su cittadini oltre tutto meno in difficoltà di milioni di altri ( i dipendenti pubblici se non altro sono gli UNICI in ASSOLUTO a poter confidare nello stipendio a fine mese) piuttosto che iniziare a ridurre i costi delle imprese, che alla fine sono quelle che possono contribuire validamente alla crescita e alla riduzione della disoccupazione. 
Gli ultimi a lamentarsi sono stati Alesina e Giavazzi.
La chiosa di Panebianco è perfetta : Renzi "Deve vincere una certa propensione all’improvvisazione, allo slogan brillante che fa apparire di semplice soluzione problemi complessi. Deve fare, per davvero, il tanto che ha promesso e che, ancora, in larga misura, non ha nemmeno cominciato a fare". 



ANALISI CRITICA DI UN SUCCESSO
di ANGELO PANEBIANCO 
 

Non prevista dai sondaggi né, probabilmente, dallo stesso Matteo Renzi, l’entità del successo del Pd modifica il quadro politico. Scelte e strategie dei protagonisti cambieranno, forse radicalmente. Per mettere nella giusta luce quel successo, e per soppesarne i possibili effetti, occorre leggere con attenzione i risultati elettorali.
Sono necessarie due premesse. Non bisogna dimenticare il carattere sui generis delle elezioni europee. Anche se i loro effetti politico-istituzionali sono assai rilevanti (determinano la composizione del Parlamento europeo e le coalizioni che vi si formano), per il grosso degli elettori — non solo italiani — resta confusa, poco chiara la posta in gioco. Ciò spiega la bassa affluenza al voto (nel nostro Paese è stata del 58,6%) e il fatto che le campagne elettorali si concentrino sulle questioni «interne», con pochi, retorici, riferimenti all’Europa. Per i più, le Europee sono un sondaggio che misura le forze dei partiti: si vota pro o contro il governo. In questo senso, Beppe Grillo aveva ragione quando diceva che queste sono elezioni «politiche». Ma con una particolarità: gli elettori sono liberi dai vincoli che li condizionano nelle elezioni nazionali, «non votano con il portafogli», non mettono in gioco i propri interessi, fanno meno calcoli di convenienza. Per conseguenza, se si recano alle urne, sono più propensi a votare «in libertà». Confusione sulla posta in gioco, bassa affluenza, e meno vincoli di convenienza, rendono le elezioni europee non confrontabili con le Politiche. Raramente gli esiti delle prime anticipano gli esiti delle seconde.
La seconda premessa è che, per valutare i risultati, le percentuali di voto dei vari partiti possono essere ingannevoli. Occorre considerare anche il numero dei voti ottenuti da ciascun partito. Proprio guardando al numero di voti raccolti, il successo del Pd di Renzi appare imponente. Se confrontato con i risultati delle elezioni politiche dello scorso anno. Nonostante la più bassa affluenza (58,6 % contro il 75,2% delle Politiche del 2013 per la Camera dei deputati) e i minori vincoli che incombono sugli elettori, il Pd di Renzi prende 11 milioni di voti e rotti contro gli 8 milioni e mezzo raccolti un anno fa dal Pd di Bersani alla Camera. Non ha sfondato il tetto dei 12 milioni e rotti (massimo risultato della sinistra post-comunista del 2008) ma vi si è avvicinato.
Si può ipotizzare che Renzi abbia attirato due diversi tipi di elettori: quelli convinti dalla sua proposta e quelli che lo hanno individuato come la «diga» utile per fermare l’avanzata dei grillini. Se si guarda all’ottimo risultato del Pd nel Nord (dove la propensione al voto per quel partito è tradizionalmente scarsa), si capisce che l’effetto diga deve essere stato potente: la paura del grillismo ha innescato una mobilitazione a favore di Renzi.
Il principale sconfitto è Grillo. Sulla carta, le Europee erano, per lui, le elezioni ideali. Propensione alla protesta (soprattutto al Sud) e «voto in libertà», secondo le aspettative, avrebbero dovuto premiarlo. Invece registra una perdita di 3 milioni di voti rispetto alle Politiche di un anno fa (5,8 circa contro gli 8,7 circa del 2013). La politica è imprevedibile, e il futuro di qualunque partito sarà deciso sia da ciò che farà quel partito sia da ciò che faranno i suoi avversari, ma, considerando solo i risultati delle Europee, possiamo ipotizzare che i 5 Stelle, dopo il boom del 2013, siano entrati nella fase del declino.
Grillo è riuscito a fare paura a tanti. Renzi dovrebbe ringraziarlo: difficilmente, senza lo spauracchio del grillismo, avrebbe potuto ottenere un così lusinghiero risultato. Da ultimo, Berlusconi e il centrodestra. Il Popolo delle libertà, alle Politiche del 2013, ricevette 7,3 milioni di voti circa. Se si sommano i voti ottenuti alle Europee da Forza Italia e dal Nuovo centrodestra di Alfano, la perdita è assai forte (oltre 2 milioni di voti in meno rispetto al 2013). Però, aggiungendo i voti della Lega e di Fratelli d’Italia (la vecchia coalizione di centrodestra), si arriva circa al 30%. Niente di comparabile ai fasti di un tempo ma abbastanza per suggerire che, probabilmente, nelle prossime elezioni politiche, si tornerà a una «normale» competizione fra Pd e centrodestra (con Grillo come terzo incomodo).
Ma occorre fare due precisazioni. La prima gioca a favore della destra e la seconda contro. La precisazione a favore è che, plausibilmente, le astensioni hanno colpito soprattutto a destra. Il che dice che la destra, sulla carta, ha ampie possibilità di recupero. La precisazione contro è che una sommatoria di forze, eterogenee e distanti su questioni cruciali (come l’euro), non fa una proposta politica credibile. Alla destra occorrerà molto lavoro per dare vita a una sintesi politica di cui, al momento, non si vede la possibilità. Verosimilmente, il trionfo di Renzi e la necessità del centrodestra di ricompattarsi per tornare ad essere competitivo dovrebbero agevolare le riforme (legge elettorale e Senato).
Sul vincitore, Renzi, ricadono, come è giusto, i compiti più gravosi. Apparentemente, nulla può fermarlo. Potrà inaugurare il semestre italiano di Presidenza della Ue da una posizione di forza e di prestigio, dovuta alla vittoria e alla posizione conquistata dal suo partito nel Parlamento europeo. Inoltre, ha azzittito coloro che lo accusavano di non essersi sottoposto a una prova elettorale. In più, ha annichilito i suoi avversari interni di partito. Torneranno ad agitarsi alle prime difficoltà ma ora devono tacere e obbedire.
Al momento, Renzi ha un solo vero nemico da cui guardarsi: se stesso. Deve vincere una certa propensione all’improvvisazione, allo slogan brillante che fa apparire di semplice soluzione problemi complessi. Deve fare, per davvero, il tanto che ha promesso e che, ancora, in larga misura, non ha nemmeno cominciato a fare. 

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