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giovedì 8 maggio 2014

I TEST INVALSI. PERCHE' NON CAMBIERANNO I MALI DELLA SCUOLA ITALIANA

 
Arrivano i test invalsi e ritornano immancabili le polemiche, con detrattori feroci (dietro ai quali si nascondono insegnanti paurosi di essere scoperti nella loro crassa medicorità) e fautori assoluti, che vedono in queste verifiche il ponte levatoio per riportare un po' di merito nella piallata ed egualitaria scuola italiana. 
In mezzo, osservatori esperti ed attenti, come Luca Ricolfi, che spiega come i primi abbiano torto,  essendo loro stessi concausa dei mali della nostra istruzione, ma i secondi non abbiano ragione, perché questi test hanno limiti oggettivi e circostanziali.
In realtà, ricorda amaramente il Professore - che oltre ad essere docente universitario, è coniugato ad un'insegnante, Paola Mastracola, che ha dedicato bei libri denuncia  sulla scuola italiana, 

tra cui l'esemplare "Togliamo il Disturbo" che sarebbe già al rogo se il 50% dei genitori e docenti italiani si fossero presi la briga di leggerlo, tanta sarebbe la mortificazione da identificazione - i test Invalsi in tanto sono impostati male, con frequenti alterazioni del risultato (gli insegnanti che aiutano i proprio studenti, e con loro, se stessi...), e poi è discutibile la validità di simili test sul giudizio di preparazione del singolo studente.
Sia nel bene che nel male, che magari un sonoro asino in italiano, incapace di mettere tre parole in croce, scritte od orali che siano, si trova meglio a mettere delle crocette su "vero o falso". 
E poi, questione diffusa a livello sovranazionale, c'è il rischio che la cultura si pieghi ed abdichi all'insegnamento non delle materie ma dei sistemi utili a superare questo tipo di prove. 
Ma soprattutto, è illusorio sperare che attraverso questi test si possa finalmente introdurre un criterio meritocratico nella scuola italiana, soprattutto a livello dei docenti.
Domanda giustamente Ricolfi : cosa potrebbe fare mai il Preside, o Direttore didattico che si voglia, che dai test abbia l'indicazione che quel tale professore è un capra ? Potrebbe mai destituirlo, chiedere di sostituirlo (e perché ad altri studenti dovrebbe toccare quella croce ? ), sospenderlo ? La risposta ovviamente è no. 
I genitori continueranno col passa parola a classificare le scuole, e cercare di entrare in quelle considerate migliori, o meno peggiori, tramite raccomandazioni e altri analoghi sistemi italici. Arriverà il momento in cui la scuola preferita è satura, e gli altri dovranno accontentarsi di quelle meno stimate, e gli insegnanti incapaci potranno continuare tranquillamente a prendere il non meritato stipendio a fine mese. 
Ricolfi , tra i polemisti che seguo, è uno che si sforza ad andare oltre la denuncia , provando a suggerire soluzioni. Qui sembra di capire che la consapevolezza della forza della corporazione da combattere, quella degli insegnanti, scoraggi la ricerca.



I mali della scuola e l’uso sbagliato dei test Invalsi 

Sono cominciate in questi giorni le cosiddette «prove Invalsi», ossia una serie di test sui livelli di apprendimento degli studenti dei vari ordini di scuola, elementari, medie, e superiori. E anche quest’anno, come di consueto, i test vengono avversati da alcuni sindacati, nonché da una parte degli insegnanti e degli studenti. 
 
Per quanto mi riguarda, sono stato sempre favorevole alla valutazione dei livelli di apprendimento, nelle scuole come nell’Università. E, fin da quando i test erano solo agli inizi, ho più volte chiesto che il ministero rendesse pubblici i risultati anche a livello di scuola, anziché tenerli semi-segreti. 

Ora, però, vedendo come i test funzionano di fatto, vorrei fare un po’ di autocritica. Perché un conto è il sacrosanto principio della valutazione, un conto è il modo in cui è stato calato nella realtà italiana. Un’idea giusta può trasformarsi nel suo contrario se viene applicata male. E questo, mi spiace doverlo scrivere, sembra proprio il caso dei test Invalsi. 

Perché i test sono, o meglio sono diventati, uno strumento discutibile? 

Le ragioni sono almeno quattro. 

Primo: i test distorcono i contenuti dell’insegnamento. Il sapere che i propri studenti saranno valutati con certi strumenti (tipicamente, anche se non solo, quiz a crocette) può portare il docente a orientare l’insegnamento verso il superamento del test, anziché verso una conoscenza ampia e approfondita della materia. Il fenomeno è noto da anni nei Paesi che fanno ampio uso dei test, e ha ricevuto anche un nome: viene chiamato teaching to the test, insegnare in funzione del test. 

Secondo: i risultati dei test sono manipolati. Molti insegnanti, infatti, aiutano direttamente i loro allievi o li lasciano copiare. Il fenomeno è ben noto da anni, ed è così diffuso (specie nelle regioni meridionali) da rendere impossibili i confronti fra territori dotati di differenti livelli di spirito civico. In un Paese come l’Italia l’unico modo di rimediare a questo inconveniente sarebbe di far somministrare i test a personale esterno alla scuola, che non abbia interesse ad abbellire i risultati. 

Terzo: i risultati dei test non sono resi pubblici a livello di scuola. Questo pone un grave limite al diritto delle famiglie di essere informate sulla qualità relativa delle varie scuole. Perché se è vero che non si può confrontare il punteggio medio in matematica di un liceo classico di Treviso con quello di Palermo (a causa delle manipolazioni), è assai meno irragionevole confrontare fra loro le scuole di una medesima città, dove il livello di manipolazione dei test è molto più uniforme. 

Quarto: in alcuni casi i risultati dei test sono usati nella valutazione del profitto individuale, nonostante l’errore di misurazione sia molto grande (un’obiezione, questa, che vale anche per i test d’ingresso all’Università). E’ noto, infatti, che la precisione con cui i test misurano i livelli di apprendimento è molto alta a livello aggregato (per un’intera scuola), mentre è assai bassa a livello del singolo studente. 

Si potrebbe obiettare che, nonostante tutti questi difetti, i test almeno una virtù ce l’hanno: quella di fornire alle scuole un elemento di autovalutazione. Può essere vero, a certe condizioni (valutatori esterni e completa pubblicità dei risultati). E tuttavia qui bisogna cercare di non essere ipocriti. Immaginate che, grazie ai test, una certa scuola scopra di essere indietro, e che il suo dirigente voglia alzare i livelli di apprendimento reclutando buoni insegnanti, più preparati, più motivati, più aggiornati, o queste tre cose insieme. Allo stato attuale della normativa e delle risorse economiche, il nostro povero dirigente non potrà fare praticamente nulla, perché il nostro sistema, pur di evitare abusi e discriminazioni, ha preferito auto-ingessarsi in un meccanismo di chiamate sostanzialmente automatico. 

Ecco perché la difesa acritica dei test mi lascia perplesso quasi quanto l’opposizione, ideologica e pregiudiziale, della casta che di fatto governa la scuola. I problemi dell’apprendimento si possono certo affrontare anche con la valutazione, i test, l’auto-osservazione delle scuole. Ma lasciatemi dire che, visto dal lato dell’Università, ossia del luogo dove tanti studenti arrivano dopo ben 13 anni di studi, il problema dei livelli di apprendimento è molto più semplice e banale di come la burocrazia ministerial-pedagogica lo rappresenta. La maggior parte degli studenti che arrivano all’Università hanno un livello di preparazione in materie fondamentali, come la matematica e l’italiano, sulla base del quale, in teoria – ossia stando ai programmi ministeriali – non sarebbero dovuti entrare nemmeno in un liceo. E infatti diverse Università sono costrette a fare corsi di «allineamento» in matematica, logica, lingua italiana, al solo scopo di limitare un po’ gli enormi danni cognitivi che la scuola ha inferto ai suoi allievi. 

Ora, non mi si venga a raccontare che tutto ciò dipende da una scarsa capacità di auto-valutazione della scuola. Gli insegnanti che concedono la maturità (e, prima della maturità, la licenza media) ad allievi che non hanno nemmeno lontanamente raggiunto gli standard previsti da questi ordini di scuola, ad allievi che non sono in grado di scrivere o comprendere un testo, ad allievi che hanno cancellato quasi del tutto quel poco di matematica che la scuola ha loro comunque insegnato, ad allievi che sono perfettamente ignoranti in storia, geografia e scienze, questo tipo di insegnanti lo stato penoso dei loro allievi lo conoscono benissimo, perché si vede ad occhio nudo, senza bisogno di alcun raffinato strumento di valutazione. Per alzare i livelli di apprendimento basterebbe che gli insegnanti rispettassero i programmi e non abdicassero al loro ruolo.  
Perciò la domanda è un’altra, tanto semplice quanto drammatica: come mai, in questi lunghi anni di carnevale, è stato permesso tutto questo? 

3 commenti:

  1. MARINA GAZZINI

    C'è molta disinformazione, nonostante o forse proprio perché l'autore come si legge è parte in causa anche se in maniera mediata, in questo intervento. I test invalsi sono perfettibili e hanno molti limiti, ma questi non sono quelli indicati, anche se - è vero - sono quelli percepiti all'interno del mondo scolastico. Non vengono valutati gli studenti, ma non è vero che vengono valutati gli insegnanti in maniera così stringente da far dire a un preside che un maestro è "una capra" (come si legge). Si valutano nel complesso le classi e la capacità di lavoro di una intera scuola. E' chiaro che a un maestro, se ha una classe di asini, non si può chiedere molto e nessuno lo fa. Non è poi vero che il test diventa il metodo di verifica unico e tanto meno di insegnamento: è uno dei tanti momenti. Non è vero che i ragazzi siano così stressati: se adeguatamente informati, sentono lo stress benefico da prestazione non quello inutile. Insomma, davvero basta con questa Italia che chiede a gran voce meritocrazia e che poi pensa che questa si applica solo agli altri. P.S. Mia figlia ha fatto i test Invalsi due giorni fa, le sue maestre non erano affatto contrarie ma molto partecipi. Gli unici preoccupati erano i genitori, questi disgraziati di genitori.

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    1. Perdona MArina ma Ricolfi fa una serie di obiezioni agli Invalsi mentre tu rispondi ad una parte. Io, leggendo il suo articolo, mi sono fatto un'idea diversa dalla tua e cioè che gli INvalsi non sono né il MALE, né la SOLUZIONE. Sia perché perfettibili, come ricordi anche tu, sia perché comunque , nei casi in cui gli stessi facciano emergere criticità a causa della mediocrità degli insegnanti, poi si potrebbe fare ben poco. L'unica difesa che i genitori hanno di fronte ad un professore incapace è cambiare di classe o di scuola il figlio. Dopodiché sicuramente l'avversione agli Invalsi nasce dal timore dei professori di vedere svelate le loro magagne. Per quei prof. , non è un problema di perfettibilità del sistema di valutazione, ma proprio che questo deve sparire.

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    2. MARINA

      Si, ma io infatti non li vedo una soluzione ad alcunché. Sono solo uno strumento valutativo. Solo il fatto che ci sia, stimola a dare di più e a sedersi di meno. Se poi i genitori tanto attenti nel rimarcare il minimo difetto altrui - e qui parlo sia da genitore sia da docente universitario che ormai se li vede imperversare anche lì - imparassero a pretendere qualcosa anche da se stessi e dai loro figli oltre che dagli altri, non sarebbe male.

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