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lunedì 12 maggio 2014

LE FRONTALIERI DEL SESSO : "IL MIO CORPO E' LA MIA AZIENDA. E IN SVIZZERA E' MEGLIO"



Niente di anomalo, che ormai è statistica pura. Le schiave del sesso, le ragazze che, soprattutto dall'Africa, vengono portate in Italia con l'illusione di un lavoro e poi mandate sui marciapiedi esistono, eccome. Ma sono una minoranza. Il 10% del totale, come documentava un'accurata inchiesta del Corriere della Sera ( trovate tutte le puntate sul link  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/11/sfruttate-e-frustrate-sarete-voi.html ) successiva alla scoperta dello scandalo delle baby prostitute dei Parioli a Roma. Il restante 90% si vende per scelta, perché preferisce avere i soldi in tasca anziché la sola paghetta dei genitori - le minorenni adolescenti -, e 10000 euro al mese anziché i mille scarsi di un call center le grandi.
Può non piacere, ma è così, e i moralisti se ne dovrebbero fare una ragione, rassegnandosi all'essere umano così come è e non come a loro piacerebbe che fosse. 
L'intervista fatta a questa ragazza di 25 anni, che esercita il mestiere in Svizzera, è esemplare e dimostra anche come i paesi veramente civili, e la Svizzera indubbiamente lo è, non sono ipocriti, a differenza del nostro. Lì la prostituzione è un mestiere regolare, dichiarato, controllato - la ragazza dichiara dove esercita e ogni tanto la polizia fa un sopralluogo - e fiscalmente tassato. Anche in Germania è così  e lo Stato guadagna annualmente sui 5 miliardi di tasse. Più o meno i soldi che affannosamente Renzi va cercando di rastrellare per pagare la sua marchetta elettorale ai dipendenti pubblici. 
Familiari e conoscenti non sanno nulla, pensano che la figlia se ne vada oltre confine a fare la cameriera o qualcosa di simile, ed evidentemente non notano ( o fanno finta) il buon tenore di vita che la stessa ora si può concedere. 
La ragazza chiosa dicendo "il mio corpo è la mia azienza". Le femministe degli anni 60 avrebbero applaudito, quelle di oggi sono divise. Come spesso accade, meglio gli originali degli epigoni.
Il servizio come detto è tratto dal Corsera





Il Corriere della Sera - Digital Edition

La mia vita (segreta) da frontaliera del sesso»
Sei giorni in Svizzera e uno in Italia, 
i genitori sanno che lavora in un centro estetico 
 
La condizione è che almeno una volta la settimana passi il confine. E lei lo fa, in un viaggio che è anche quello tra la sua vecchia vita e la nuova che ha deciso di costruirsi in Svizzera, dove lavora come prostituta. «Ci vuole coraggio», conferma Stella, una bella ragazza di 25 anni. Ultimamente sempre più italiane scelgono di andare in Svizzera per prostituirsi. Molte di loro sono frontaliere, come Stella (nome di fantasia). «Non voglio che si pensi alla solita storia di degrado», premette lei che, pur pretendendo assoluta privacy, ha scelto di raccontarsi proprio per sfatare alcuni luoghi comuni, come quello secondo cui chi si prostituisce lo fa perché sfruttato o per estremo bisogno. «Io ho iniziato perché ero affascinata dai guadagni facili: non ho pudicizia o remore morali, ho un bell’aspetto e credo che i soldi facciano la felicità. Non ho iniziato per fame, piuttosto ero affamata di denaro».
Nella sua famiglia — una normale famiglia del Nord Italia —, non ne è mai girato moltissimo «ma non mi è nemmeno mai mancato niente. Dopo le superiori ho trovato un lavoro come impiegata: i famosi mille euro al mese con cui riesci a vivere a stento. Come molti della mia età, mi sentivo senza prospettive». Parla della sua come di «un’attitudine» e a fargliela realizzare «è stato un uomo, molto più grande di me, che ho frequentato quando avevo 20 anni. Una volta, senza un perché, mi ha pagata. Da lì ho capito che potevo guadagnare con qualcosa che mi piaceva e ho cominciato a lavorare sporadicamente come escort».
Qualche mese fa, la decisione di venire in Svizzera: «Ho un appartamento e lavoro come massaggiatrice: significa che scelgo io con chi arrivare fino in fondo. Qui mi sento tutelata: pago le tasse, la burocrazia non è lenta e sibillina come da noi, le cose funzionano e quando chiedi un permesso, che ti serva per lavorare come cameriera o come prostituta, per loro non fa nessuna differenza. Non mi sono mai sentita giudicata ma, anzi, protetta. La polizia sa dove esercito, fanno dei controlli. Ogni tanto penso alle ragazze che in Italia lavorano per strada: se una di loro sparisce chi se ne accorge?». A differenza di molte altre, Stella non immagina di fare questo lavoro per un tempo limitato: «Non ragiono così, non lo stabilisco in partenza. Preferisco vivere alla giornata». In ogni caso, non lo sente come un problema: «Anzi, vedo questa mia nuova vita come una rivincita. Una rivincita rispetto al precariato, rispetto al non avere nemmeno 20 euro in tasca da spendere come mi pare. Io oggi guadagno come un magistrato. Anzi, forse a un magistrato potrei anche offrire qualcosa da bere».
Le idee sono chiare e la parlantina è svelta anche quando il discorso passa allo sfruttamento: «Il mio corpo è la mia azienda, tutto qui. Se c’è qualcuno sfruttato quello è il cliente che deve pagare per avere l’illusione di stare con me. Io gli vendo fumo, fumo rosa». Nessuno svilimento. Stella piuttosto si sente «soddisfatta, ho una sensazione di potere. Certo, ho anche un ego spropositato». Che comunque, ribadisce, nel suo lavoro aiuta. E aiuta anche ricordarsi che prima, nella sua vita precedente, quella da impiegata, «vivevo come uno zombie, sbuffando a ogni carta che dovevo compilare, senza sbocchi e di certo senza potermi comprare un paio di scarpe di Chanel».
Per la sua famiglia lavora in un centro estetico. Nessun timore che possano scoprire la verità? «La privacy per chi fa il mio mestiere è fondamentale. Anche i miei clienti hanno tutto l’interesse nel mantenerla: da me vengono persone importanti, imprenditori, politici, autorità. Sta più a cuore a loro che non si sappia nulla». Persone eleganti e perbene, giura: «Almeno nel 90% dei casi. Con loro parlo molto. In genere si crea un rapporto simile a quello che si ha con un’amante». Visto che quasi tutti hanno una moglie e dei figli. Ricorda solo un incontro sgradevole: un uomo le ha detto che lei non aveva voce in capitolo visto che era quella sfruttata... «Accompagnandolo alla porta gli ho fatto notare che forse doveva sentirsi lui quello sfruttato, visto che gli avevo appena chiesto 400 franchi per un massaggio». Ma è solo un episodio, assicura.
Da questa sua «avventura ben retribuita» sono dunque esclusi i genitori e gli amici di sempre. Se sua mamma sapesse? No, impensabile, non capirebbe. «È impossibile che possa farlo. Anche le altre ragazze italiane che conosco alle famiglie dicono di lavorare in un ristorante o in un bar. Nessuna dice la verità». Immaginandosi lei mamma, se un domani sua figlia dovesse confessarle che fa la prostituta, capirebbe? «Difficile, bisogna esserlo per esprimersi. Però credo che se la vedessi felice e realizzata la appoggerei. È una professione che ha la sua dignità». Di solito lavora per tre mesi e poi se ne concede uno di «gran ferie». Ha almeno tre clienti al giorno, ma arriva con facilità a 5 o 6. I guadagni preferisce non quantificarli, ma siamo oltre i diecimila euro al mese. Mentre racconta, torna alla sua vecchia vita, ma stavolta il confine lo passa solo con i ricordi: «Mi fa sorridere l’idea che un tempo ero quella che leggeva reportage come questi, adesso ne sono la protagonista». Un giorno potrebbe scrivere un libro, riflette, su questo suo «facile escamotage per vivere bene, dal momento che il mezzo per vivere bene sono i soldi». Comunque la si pensi, stride un po’ parlare di lieto fine. Eppure Stella giura: «Non ho mai dormito sonni tanto tranquilli come da quando ho preso in mano così la mia vita».

Chiara Maffioletti

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