Quando si rimprovera Renzi di fare troppo promesse, non ci si riferisce, almeno per quanto mi riguarda - ma mi sembra anche la maggior parte dei suoi critici più sereni - alla mancanza di risultati , che dopo nemmeno tre mesi sarebbe pretenzioso e insensato, quanto al velleitarismo e all'avere come priorità lo stupire più che il fare concreto. Scrivevano ieri Alesina e Giavazzi ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/05/dopo-monti-alesina-e-giavazzi-temono-la.html ) che sarebbe utile che il Premier si desse delle priorità e si concentrasse su quelle. Invece ogni volta parte in quarta su tutto, per poi fare i conti con le mille resistenze, politiche, burocratiche e corporative, che da sempre affliggono gli esecutivi di questa Nazione (perdonate, ma la parola Paese non la amo troppo, inflazionata ) anche a causa di un originario vulnus costituzionale, che chissà se si troverà mai la forza di correggere.
Tra le mille corporazioni italiche ostinate e, in questo caso, anche disposte a spostare molto in là il livello dello scontro, da sempre ci sono i tassisti. A Roma tutti i sindaci si sono arresi, accontentandosi veramente di piccolissimi miglioramenti del servizio, non riuscendo MAI a vincere le serrate che le auto bianche hanno sempre messo in campo per impedire l'aumento delle licenze e comunque la possibilità che il pubblico avesse a disposizione nella città una maggiore offerta di auto.
Adesso arriva Uber, colosso di San Francisco, fondata da Travis Kalanick, con la sua particolare offerta : con un clic si può contattare un qualsiasi privato che mette a disposizione la sua auto per fare un pezzo di percorso assieme: tu spendi poco, magari meno del taxi, lui incassa qualcosa e Uber si prende una commissione.
Immaginatevi i tassisti...
Nell'articolo che segue, tratto da La Stampa, il giornalista, Francesco Manacorda, sembra dare per scontata la vittoria dei conservatori, e io mi domando cos'avranno i tassisti più dei commercianti che hanno dovuto subire nel tempo ogni forma di liberalizzazione e concorrenza, che li ha impoveriti quando non distrutti (si pensi ai centri commerciali e ancora di più ai supermercati ).
In fondo, guidare un'auto non è una cosa così speciale...
I tassisti contro Uber: a Milano come a Londra la guerra della modernità
Così l’ultima protesta globale rischia di bloccare le città
Davanti alla Stazione Cadorna, porta d’ingresso alla città
dell’Expo, nemmeno un taxi. I viaggiatori spaesati che da terre assai
lontane sono sbarcati a Malpensa con trolley mastodontici s’infilano
sbuffando nella metropolitana.
All’uscita della Stazione centrale i taxi sono una cinquantina. Rigorosamente fermi. Picchetti autoproclamati non si sa con quali regole, quali gerarchie e quali strumenti di persuasione, guidano il secondo - e forse non ultimo - giorno di sciopero selvaggio contro il nemico immateriale ma concretissimo che si chiama Uber e dispensano ai passeggeri appiedati indicazioni non proprio da Gps: «Prenda la linea rossa della metro e arriva in San Babila. Da lì sono due minuti a piedi». «Ma la rossa da qui non passa!». «Vabbè, prende la gialla e scende in Duomo, è quasi lo stesso».
In piazza della Scala, dove da poco in un centinaio e passa hanno terminato l’assedio a Palazzo Marino e adesso si dirigono verso la Prefettura, l’israeliano Uzi e il figlio tredicenne Ephraim, addosso la maglietta del Maccabi campione, rifiutano di credere che in quella fila di auto bianche e immobili non ce ne sia una che li carichi «Protestano? Ma perché? Non c’è il libero mercato?».
L’ultima battaglia della modernità - o forse contro la modernità - globale non si combatte nelle miniere del Sulcis, ma in pochi chilometri quadrati nel centro di Milano. Prima le uova e i fumogeni lanciati da alcuni tassisti sabato scorso alla festa della rivista Wired, per impedire alla manager di Uber Italia Benedetta Arese Lucini, ribattezzata cortesemente «Benny ’a canaglia», di parlare del suo servizio che con un solo tocco di smartphone consente di trasformare qualsiasi berlina a noleggio con conducente che si aggiri nei paraggi in un similtaxi pronto alla bisogna. Poi due feriti - lievissimi, per fortuna - proprio tra i tassisti che nella notte tra domenica e lunedì hanno cercato lo scontro con gli odiati noleggiatori con conducente o Ncc. E ieri la giornata surreale che svuota le vie dai taxi e popola i tram di manager per concludersi con i toni poco concilianti del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza: le manifestazioni selvagge dei tassisti «possono rivestire anche carattere penale per i profili di interruzione di pubblico servizio» e portare fino alla revoca della licenza «nei casi più gravi».
Ma non è certo con un atto prefettizio che si può domare la rivolta dei tassisti contro Uber. La protesta che monta a Milano - e serpeggia anche a Roma - è già protesta globale. Globale proprio come il colosso di San Francisco e il suo fondatore, Travis Kalanick che ha già rilasciato al Financial Times dichiarazioni destinate ad entusiasmare gli autisti di piazza ad ogni latitudine: «Sono un distruttore di monopoli nato». E l’ultimo passo di Uber che fa scaldare gli animi dei tassisti, Milano compresa, si chiama UberPop e sta ai taxi tradizionali come il nuovo fenomeno Airbnb - il sito che permette di alloggiare nella casa di un privato in tutto il mondo a prezzi stracciati - sta alla Pensione Miramare di Rimini. Adesso, infatti, con un clic si può contattare non solo l’Ncc, ma anche un qualsiasi privato che mette a disposizione la sua auto per fare un pezzo di percorso assieme: tu spendi poco, magari meno del taxi, lui incassa qualcosa e Uber si prende come al solito una commissione. Anche per questo l’11 giugno, quando sotto il Duomo è già prevista la marcia bianca degli anti-Uber, manifestazioni simili sono in programma a Parigi, Madrid e Londra, dove diecimila «cabbies» promettono «chaos, congestion and confusion».
La spinta della modernità fa saltare le regole che non tengono il passo; figurarsi quelle sui taxi che sono state scritte nel ’92, quando i cellulari nemmeno esistevano. Sempre sabato l’assessore comunale milanese alla Mobilità Pierfrancesco Maran, preso in mezzo alle proteste, ha varato una proposta in cinque punti che «vuole garantire l’innovazione e la legalità». C’è scritto che per qualsiasi Ncc «dalla prenotazione all’inizio del servizio dovranno decorrere almeno 90 minuti». Quanto basta per uccidere la concorrenza di Uber ai tassisti sulle corse immediate, relegandola a quelle prenotate con ampio preavviso. Eppure i conducenti di taxi sono tutt’altro che soddisfatti. Raffaele Grassi, che è consigliere comunale, nonché leader di una delle venti e passa sigle sindacali dei balcanizzati conducenti milanesi, spiega che «è una proposta copiata da quella francese. Ma lì chi sgarra rischia un anno di galera. Qui quali controlli si faranno? Non chiediamo la chiusura di Uber, ma vogliamo garanzie sul rispetto delle regole da parte degli Ncc».
Nella guerra che oppone le auto bianche a quelle nere degli Ncc, spesso anche loro piccolissimi imprenditori di se stessi, si attende adesso l’intervento del governo, che non ha certo formule magiche per risolvere lo stallo. Domani il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi ha convocato in Prefettura i sindacati dei tassisti e solo loro. Le convivenze si annunciano difficili, ma anche i confini sono meno netti di quel che possa apparire. L’Ncc che ieri girava in centro a Milano con due vistosi cartelli «Uber? No grazie» sulle fiancate è solo un simbolo dell’inesausta creatività italiana quando si tratta di non prenderle o invece è il segnale che se il colosso californiano coinvolge nella gara al ribasso anche i privati con il requisito minimo di un’auto e una patente anche gli Ncc finora ubercollaborazionisti difenderanno la loro corporazione?
All’uscita della Stazione centrale i taxi sono una cinquantina. Rigorosamente fermi. Picchetti autoproclamati non si sa con quali regole, quali gerarchie e quali strumenti di persuasione, guidano il secondo - e forse non ultimo - giorno di sciopero selvaggio contro il nemico immateriale ma concretissimo che si chiama Uber e dispensano ai passeggeri appiedati indicazioni non proprio da Gps: «Prenda la linea rossa della metro e arriva in San Babila. Da lì sono due minuti a piedi». «Ma la rossa da qui non passa!». «Vabbè, prende la gialla e scende in Duomo, è quasi lo stesso».
In piazza della Scala, dove da poco in un centinaio e passa hanno terminato l’assedio a Palazzo Marino e adesso si dirigono verso la Prefettura, l’israeliano Uzi e il figlio tredicenne Ephraim, addosso la maglietta del Maccabi campione, rifiutano di credere che in quella fila di auto bianche e immobili non ce ne sia una che li carichi «Protestano? Ma perché? Non c’è il libero mercato?».
L’ultima battaglia della modernità - o forse contro la modernità - globale non si combatte nelle miniere del Sulcis, ma in pochi chilometri quadrati nel centro di Milano. Prima le uova e i fumogeni lanciati da alcuni tassisti sabato scorso alla festa della rivista Wired, per impedire alla manager di Uber Italia Benedetta Arese Lucini, ribattezzata cortesemente «Benny ’a canaglia», di parlare del suo servizio che con un solo tocco di smartphone consente di trasformare qualsiasi berlina a noleggio con conducente che si aggiri nei paraggi in un similtaxi pronto alla bisogna. Poi due feriti - lievissimi, per fortuna - proprio tra i tassisti che nella notte tra domenica e lunedì hanno cercato lo scontro con gli odiati noleggiatori con conducente o Ncc. E ieri la giornata surreale che svuota le vie dai taxi e popola i tram di manager per concludersi con i toni poco concilianti del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza: le manifestazioni selvagge dei tassisti «possono rivestire anche carattere penale per i profili di interruzione di pubblico servizio» e portare fino alla revoca della licenza «nei casi più gravi».
Ma non è certo con un atto prefettizio che si può domare la rivolta dei tassisti contro Uber. La protesta che monta a Milano - e serpeggia anche a Roma - è già protesta globale. Globale proprio come il colosso di San Francisco e il suo fondatore, Travis Kalanick che ha già rilasciato al Financial Times dichiarazioni destinate ad entusiasmare gli autisti di piazza ad ogni latitudine: «Sono un distruttore di monopoli nato». E l’ultimo passo di Uber che fa scaldare gli animi dei tassisti, Milano compresa, si chiama UberPop e sta ai taxi tradizionali come il nuovo fenomeno Airbnb - il sito che permette di alloggiare nella casa di un privato in tutto il mondo a prezzi stracciati - sta alla Pensione Miramare di Rimini. Adesso, infatti, con un clic si può contattare non solo l’Ncc, ma anche un qualsiasi privato che mette a disposizione la sua auto per fare un pezzo di percorso assieme: tu spendi poco, magari meno del taxi, lui incassa qualcosa e Uber si prende come al solito una commissione. Anche per questo l’11 giugno, quando sotto il Duomo è già prevista la marcia bianca degli anti-Uber, manifestazioni simili sono in programma a Parigi, Madrid e Londra, dove diecimila «cabbies» promettono «chaos, congestion and confusion».
La spinta della modernità fa saltare le regole che non tengono il passo; figurarsi quelle sui taxi che sono state scritte nel ’92, quando i cellulari nemmeno esistevano. Sempre sabato l’assessore comunale milanese alla Mobilità Pierfrancesco Maran, preso in mezzo alle proteste, ha varato una proposta in cinque punti che «vuole garantire l’innovazione e la legalità». C’è scritto che per qualsiasi Ncc «dalla prenotazione all’inizio del servizio dovranno decorrere almeno 90 minuti». Quanto basta per uccidere la concorrenza di Uber ai tassisti sulle corse immediate, relegandola a quelle prenotate con ampio preavviso. Eppure i conducenti di taxi sono tutt’altro che soddisfatti. Raffaele Grassi, che è consigliere comunale, nonché leader di una delle venti e passa sigle sindacali dei balcanizzati conducenti milanesi, spiega che «è una proposta copiata da quella francese. Ma lì chi sgarra rischia un anno di galera. Qui quali controlli si faranno? Non chiediamo la chiusura di Uber, ma vogliamo garanzie sul rispetto delle regole da parte degli Ncc».
Nella guerra che oppone le auto bianche a quelle nere degli Ncc, spesso anche loro piccolissimi imprenditori di se stessi, si attende adesso l’intervento del governo, che non ha certo formule magiche per risolvere lo stallo. Domani il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi ha convocato in Prefettura i sindacati dei tassisti e solo loro. Le convivenze si annunciano difficili, ma anche i confini sono meno netti di quel che possa apparire. L’Ncc che ieri girava in centro a Milano con due vistosi cartelli «Uber? No grazie» sulle fiancate è solo un simbolo dell’inesausta creatività italiana quando si tratta di non prenderle o invece è il segnale che se il colosso californiano coinvolge nella gara al ribasso anche i privati con il requisito minimo di un’auto e una patente anche gli Ncc finora ubercollaborazionisti difenderanno la loro corporazione?
MARIA LUISA TULLI
RispondiEliminaSono moglie di tassista: o meglio, di ingegnere meccanico che dopo anni di lavoro all'estero ha osato tornare in Italia per sposarmi....ovviamente non ha trovato neanche uno straccio di lavoro! Dunque abbiamo investito tutti i nostri risparmi in una (carissima...) licenza di taxi, che lui guida da ormai 2 anni (peraltro con grande soddisfazione...vedi come è relativo il concetto di realizzazione sul lavoro!!!). Allora, posso dirti che guidare l'auto, in questo lavoro, è il minimo: il vero lavoro è comprendere i flussi, gli orari, gli spostamenti di questa città. Se vuoi una risposta alle tue domande, per quello che ho visto in questi 2 anni è: grande unità, grande solidarietà. Insomma, è una vera corporazione tipo quelle del medioevo, o anche un piccolo Rotari. Si aiutano tantissimo tra di loro, anche se non si conoscono ed anche per cose che non riguardano il lavoro. Il piccolo Market è schiacciato dall'ipermercato perché è solo, qui a Roma ci sono 8.000 tassisti al grido di tutti per uno ed uno per tutti. Dal punto di vista più pratico o "giuridico", ora che conosco la questione, non sono assolutamente d'accordo che si tratti di libero mercato: è comunque il Comune che ha rilasciato la licenza, è il Comune che fa gli esami per stabilire chi abbia i requisiti per fare il tassista, è il Comune che stabilisce i turni, è il Comune che stabilisce le tariffe, è il Comune che stabilisce i giorni di riposo di ciascun tassista. Sarebbe libero mercato se oggi mio marito potesse lavorare oltre le 13.30; ma il turno di oggi era quello dalle 6.00 alle 13.30, punto e basta! Sarebbe libero mercato se potessimo andare tutti al mare a ferragosto, invece lui riposerà a luglio. Sarebbe libero mercato se lui potesse concordare le tariffe per la corsa con i clienti: ma c'è il tassametro. Insomma, il tassista non opera veramente in un libero mercato, perchè questo presuppone scelte o strategie in grado di determinare il proprio guadagno o incidere sui costi, ma così non è! Tutto questo perché il tassista, a differenza di Uber, svolge un pubblico servizio (si chiama "servizio di trasporto pubblico non di linea) che è obbligato a garantire con certe forme e certi termini.. Quindi: abbasso Uber e viva i tassisti!
Francamente non condivido la sostanza delle osservazioni di Maria Luisa, però il commento , ben scritto, illustra bene le ragioni della corporazione difesa e merita una risposta meditata, che seguirà.
EliminaCATERINA SIMON
RispondiEliminaMah...io sono liberale, e come tale sono contraria a tutti i monopoli, però ti devo dire che questa questione dei tassisti mi sembra una specie di questione di principio, una fissa, una battaglia puramente simbolica che cade in un mare costituito da rendite di posizione lavorative, previdenziali, statali e sindacali. Vabbè, liberalizziamo i taxi, e con ciò? Che cosa sposta? Non solo nell'architettura generale del sistema italiano non cambierà nulla, ma si sarà presa una categoria di livello economico medio-basso, e magari non molto simpatica, e la si sarà resa più povera, tutto qui. Un paradosso! Poi, tra l'altro, non è che i tassisti, lasciando adesso perdere lo specifico della faccenda della UBER, abbiano tutti i torti: alla fine questa è gente che ha comprato una licenza dal comune a determinati patti, l'ha pagata trai 150.000 e i 200.000 euro, facendo un mutuo, ovvio; col tempo si sarebbero venduti la licenza e assicurati una rendita per la vecchiaia (visto che le pensioni degli autonomi non sono certo quelle dei garantiti, giusto per tornare a bomba.) . Ora si cambiano le regole e ci si scandalizza se a quelli girano le palle e si sentono fregati. All'improvviso si scoprono tutti liberali, il punto è che, per parafrasare un detto un po' volgare ma efficace, si tende a fare i liberali col.... degli altri. Lo stesso è stato fatto a suo tempo con le farmacie dalle tanto propagandate "liberalizzazioni" di Bersani, che infatti un liberale non è. Lì si è creato un mercato "concorrenziale" costituito dalle parafarmacie e dai corner dei supermercati. Peccato che le attività imprenditoriali, per essere effettivamente in concorrenza, debbano essere regolate dalle stesse norme, altrimenti il piatto della bilancia si piegherà, inevitabilmente, a favore di una delle parti. Nel caso specifico infatti, oltre al fatto che le regole non erano affatto le stesse, dato che i nuovi soggetti non erano sottoposti ad alcun vincolo di orari e turni né ad ispezioni di alcun genere da parte degli Ordini professionali e delle ASL, alle farmacie rimase l'onere di anticipare, per conto della Regione, il costo dell'assistenza farmaceutica al cittadino. Un mare di soldi che le farmacie anticipavano tutti mesi e che le Regioni restituivano con i noti tempi della pubblica amministrazione. Ora, il sistema si reggeva perché le farmacie potevano contare su una liquidità e su affidamenti bancari garantiti dal fatto di essere l'unico esercizio autorizzato alla vendita dei farmaci. Nel momento in cui però questa garanzia è venuta meno, la liquidità è ovviamente diminuita e le banche hanno chiuso il credito, mettendo in crisi un'attività fiorente e sicuramente di qualità. Nessuno piangerà per i farmacisti, erano fin troppo ricchi, si dirà con una certa dose di soddisfazione, ma il punto non è questo. A me sembra che queste liberalizzazioni "a macchia di leopardo" oltre a non giovare affatto alla popolarità del pensiero liberale, di fatto in realtà lo tradiscano. Se si "liberalizzano" solo alcune categorie lasciando intonsi interi settori della società, non si sarà fatto altro che rendere MENO e non più concorrenziali alcune attività, ingenerando tra l'altro la sensazione di creare figli e figliastri, con una conseguente sensazione di ingiustizia nelle categorie toccate e un progressiva sfiducia nella ricetta liberale.
Anche le considerazioni di Caterina sono acute e ripropongono il problema in parte evidenziato da Maria Luisa : da noi le liberalizzazioni sono un po' selvagge, non perché si liberi effettivamente il mercato ma perché si aggiunge concorrenza in regime di disparità di regole. Allo stesso tempo - ma ripeto, mi riservo una risposta più approfondita - siamo sinceri : il mercato NON piace a nessuno, e tutti vorremmo operare "protetti". E' umano, però non liberale. Il che non vuol dire che un'idea diversa di società sia per questo peggiore (per me sì, ma è il mio punto di vista), semplicemente che io preferisco l'altra.
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