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giovedì 27 novembre 2014

PERCHE' NON E' GIUSTO RICONOSCERE, ORA, LO STATO PALESTINESE. UNA RIFLESSIONE DI BH LEVY



Leggo sempre con interesse le opinioni di Bernard Levy, espresse in modo chiaro ed appassionato, e spunto di riflessione su argomenti  non affatto semplici. E' il caso dell'articolo postato oggi sul Corriere della Sera, riguardante il problema controverso del riconoscimento dello Stato Palestinese che ultimamente alcuni paese europei stanno effettuando, ignorando le proteste israeliane. Lo hanno fatto di recente Svezia e Norvegia, e si accingerebbe a farlo la Francia. Proprio in occasione della discussione parlamentare nel suo paese, Levy spiega perché, ora, in questo momento, non sia la decisione giusta.
Non tutte le osservazioni convincono, anche se non c'è dubbio che il problema di Hamas, e del suo statuto che prevede esplicitamente la distruzione di Israele,   sono un problema enorme, di cui in effetti poco si sente dire da coloro che vogliono "sbloccare" lo stallo (chi volesse e avesse pazienza, che è lunghetto, se lo può leggere : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/08/lo-statuto-di-hamas-meglio-leggerlo-no.html ).
Ovviamente chi ha deciso, come di recente i paesi scandinavi, di fare questo passo, non lo ha fatto certo perché condividesse il programma di quelli di Hamas, anzi, al contrario, pensa di dare forza al più moderato Abu Mazen. Levy non è convinto di questa strategia e spiega, a mio avviso in modo molto efficace, perché.
Buona Lettura  


 
Stato palestinese 
perché è pericoloso il riconoscimento



Da quasi 50 anni sono a favore della soluzione dei due Stati. Ma il riconoscimento unilaterale della Palestina da parte del Parlamento francese sarebbe una cattiva idea, per varie ragioni.
1) Hamas. Il suo Statuto e il suo programma. Il fatto che amministri, in attesa di ulteriori informazioni, uno dei territori costitutivi dello Stato che si vuole riconoscere senza indugio; e il fatto che abbia come dottrina la necessaria distruzione di Israele. Non si può riconoscere, fosse pure simbolicamente, uno Stato dove la metà del governo pratica la negazione dell’Altro. Non si può riconoscere, soprattutto simbolicamente, un governo dove il sogno di metà dei ministri sarebbe di annientare lo Stato vicino.
Si tende la mano al proprio popolo, certo. Lo si aiuta. Si appoggia e si rafforza l’altro partito, quello di Abu Mazen, lo si incoraggia a rompere l’alleanza contro natura che esso ha stretto. Ma il tentativo rimane in sospeso finché l’alleanza non viene rotta, o finché Hamas resta quello che è e si riconosce in uno Statuto che ordina a tutti i musulmani di «uccidere» gli ebrei, cercandoli fin dietro le rocce e gli alberi dove «si nascondono» (articolo 7); finché si dichiara (articolo 13) che «le pretese iniziative» e le «soluzioni di pace» che, come l’attuale progetto francese, dovrebbero «regolarizzare la questione palestinese», vanno «contro» la «fede».
2) Il momento. La spinta mondiale del jihadismo. Il fatto che la società politica, e purtroppo civile, palestinese si mostri di nuovo, al di là della stessa Hamas, poco chiara sul problema. Non parlo di Abu Mazen, che ha condannato l’attentato del 18 novembre, costato la vita a 5 persone, in una sinagoga di Gerusalemme Ovest. Ma parlo dei suoi alleati del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che l’hanno rivendicato. Parlo del jihad islamico e, ancora, di Hamas che l’hanno applaudito. E penso alle migliaia di giovani che, avuta la notizia, sono scesi in piazza per lanciare fuochi d’artificio e rallegrarsene.
Forse un giorno una maggioranza di israeliani riterrà che il modo meno inefficace di proteggersi contro tale situazione sia una separazione netta. Ma sarà una loro decisione, non quella di un Parlamento spagnolo, inglese, svedese o, adesso, francese, che improvvisa una risoluzione raffazzonata, mal impostata e, oltretutto, incoerente. Non si può inorridire per le decapitazioni in Iraq e ritenere trascurabili gli omicidi a colpi di coltello e di ascia in Israele. Non si può, qui, rifiutare la retorica della scusa («i jihadisti partiti per la Siria sono poveri disgraziati, vittime del malessere sociale...») e, là, accettarla («l’assassino è un umiliato, vittima dell’occupazione...»). Non si può, da una parte, rafforzare l’arsenale legislativo che permette, in Europa, di lottare contro la cieca violenza e, dall’altra, votare una risoluzione che equivale a dire «vi ho capito» a coloro che si lanciano tra la folla con automobili-ariete sognando una terza Intifada.
Ci sarà uno Stato a Gaza e a Ramallah. È interesse di Israele ed è diritto dei palestinesi. Ma abbiamo fondate ragioni di immischiarci solo se chiediamo uguali sforzi a una parte e all’altra: dall’Anc sudafricano al Pkk curdo passando per l’Irgun di Begin, la Storia è piena di organizzazioni terroristiche poi rinsavite. Ci si aspetta dai gruppi palestinesi che seguano lo stesso itinerario, ed è anche a questo che devono dedicarsi, in Francia, gli uomini e le donne di buona volontà.
3) Nessun osservatore onesto può ignorare che da entrambe le parti resta del cammino da compiere. Nessun difensore della pace può negare che i torti sono da attribuire sia ai governi di Tel Aviv — che da Rabin a Netanyahu non hanno mai rinunciato alla politica di insediamenti — sia alla direzione palestinese, che oscilla fra l’accettazione del fatto israeliano e il rifiuto di qualsiasi presenza ebraica in terra araba. Ebbene, è proprio quel che negano i sostenitori del riconoscimento unilaterale. È proprio quel che dimenticano quando ripetono che «non se ne può più», che «è urgente smuovere le cose» o che è necessario un «atto forte» capace di «far pressione» e «sbloccare la situazione», e non trovano altro «atto forte» se non quello di imporre a Netanyahu il loro Stato palestinese non negoziato. L’ ultimo rimprovero da fare ai sostenitori del riconoscimento unilaterale è proprio questo: il loro ragionamento presuppone che esista un solo blocco, quello israeliano; un solo protagonista su cui far pressione, Israele; e che, dal campo palestinese, non ci sia da aspettarsi nulla (non muovetevi; non prendete iniziative; soprattutto non chiedete che sia dichiarato caduco, per esempio, lo Statuto di Hamas che trasuda, ad ogni riga, odio per gli ebrei; poiché il vostro Stato lo avete)... Non sappiamo se a prevalere sia l’ostilità nei confronti di Israele, il disprezzo per i palestinesi o, semplicemente, la leggerezza. Ma una cosa è certa. Senza condivisione delle responsabilità, non ci sarà condivisione del territorio; esonerando uno dei due campi dal suo compito storico e politico, si crede di voler la pace, ma si perpetua la guerra.

1 commento:

  1. A me pare che l'occidente e l'Europa in particolare, stiano sottovalutando gravemente e pericolosamente ciò che sta avvenendo nel mondo islamico. L'impressione è che trattino il dossier mediorientale con un armamentario politico ideologico che poteva essere valido nei primi anni 90, quando Arafat e Rabin si stringevano la mano nel prato della Casa Bianca e la maggior parte dei paesi chiave era governato da dittature feroci ma laiche con cui si sapeva come trattare. Lo scenario mediorientale ora è drasticamente cambiato, l’Islam politico ha sostituito nelle speranze e nelle aspettative delle popolazioni mussulmane le vecchie ideologie laiche. Tutte le volte che si va ad elezioni, invariabilmente vincono i partiti islamici. E l'Islam che vince è quello più conservatore e intransigente, cosa che non è certo sfuggita ai vari leader arabi, tanto è vero che persino quel bandito di Gheddafi da ultimo sventolava il Corano!. Esemplificativa di questo è l'escalation nelle parole di Erdogan. Giusto ieri, al vertice della di cooperazione islamica, ha ribadito che l'America non è stata scoperta da Colombo ma dai mussulmani e si è scagliato contro l'occidente che ha occultato le prove di ciò perchè vuole sminuire le "grandi conquiste nella scienza, storiche e militari del mondo islamico". Ha accusato l'ONU di essere succube dell'occidente (sic) e nemico del mondo islamico. Infine ha invitato tutti i paesi mussulmani a unirsi in una grande coalizione mondiale per liberare la Palestina dal "mostro israeliano" e abbattere Assad. La riscrittura della storia è funzionale, lo è sempre stata, alla retorica revanscista e vittimistica araba. Tuttavia, e questo è l’aspetto nuovo e preoccupante che cambia drasticamente il tradizionale scenario mediorientale, non è solo il fallimento delle ideologie laiche che fa aderire una cosi grande massa di popolazione all’islam politico, ma l’idea (la tentazione) che sta prendendo piede soprattutto nei giovani, che forse adesso, per la prima volta dalla celebrata “cacciata dei crociati”, l’occidente e Israele possano finalmente essere sconfitti sui campi di battaglia. Le vittorie dell’ISIS, la sua irresistibile e feroce avanzata e la sostanziale incapacità dell’occidente di fermarla, gli Stati Uniti colpiti a casa loro (ti ricordi il tripudio delle piazze arabe all’indomani dell’11 Settembre?) e costretti sostanzialmente ad andarsene da Afghanistan e Iraq, e infine Israele che fallisce nella missione di distruggere Hamas (e precedentemente Hezbollah in Libano), tutto ciò concorre a convincere che uniti sotto la bandiera dell’Islam si vinca. Cade il tabù dell’invincibilità di Israele e della supremazia militare occidentale.
    Ora, inserendo il conflitto arabo israeliano in QUESTO contesto, non in quello del 1995, come si fa a non vedere che non si tratta più di una disputa territoriale in cui si discute sui quali debbano essere i confini? Hamas, e bene hai fatto a ripostarne lo statuto, ritiene e da sempre che la Palestina sia terra Mussulmana e l’esistenza d’Israele una profanazione della stessa. Ora, poteva essere indotta a trattare sotto la minaccia della forza militare, ma dato che constata che: 1) tutte le volte che Israele distrugge anche pesantemente una parte dei suoi armamenti e infrastrutture queste le vengono puntualmente ripristinate dagli aiuti internazionali occidentali (questo autunno stanziati 5 mld di dollari per la “ricostruzione” di gaza),lasciando stare quelli sottobanco dal Quatar 2) stravince la battaglia dell’informazione mediatica, grazie ad una stampa ideologica e irresponsabile 3) tutte le varie organizzazioni jiaidiste e non, dal Maghreb al medio oriente passando per l’Africa, si stanno coagulando sotto la bandiera dell’Isis, e persino la Turchia (paese NATO) parla un linguaggio mai sentito prima. Bene, viste tutte queste cose, perché mai Hamas dovrebbe trattare per la formazione di due Stati?

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