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sabato 8 novembre 2014

SPIGARELLI RISPONDE AL PRESIDENTE GRASSO SUL CASO CUCCHI : LO STATO ITALIANO TORTURA




Valerio Spigarelli è stato un bravo Presidente delle Unione Camere Penali (in molti sospettiamo fortemente che verrà rimpianto), penso sia un bravo avvocato - chi lo conosce assicura di sì - ed è un bravissimo giornalista, ancorché non lo faccia per mestiere.
Efficare, chiaro ed appassionato, coinvolge e ti fa capire.
Bellissimo il suo articolo su Il Garantista di oggi, che prendendo spunto dal caso Cucchi e dalla retorica frase del Presidente Grasso - "Chi sa parli !", risponde : "Io so, e parlo, e dico che lo Stato tortura" , e spiega che tanto non serve, perché quello che bisognerebbe fare lo sanno, e non lo fanno. In primis, la legge introduttiva del reato di Tortura. 
Non è l'unica denuncia, e Grasso, procuratore della Repubblica, sa fin troppo bene di cosa parla Spigarelli : Cucchi non è un caso disgraziato. E' solo quello per il quale, grazie alla forza disperata della sorella, l'appoggio di qualche politico, i media si sono mobilitati, e quindi la gente, "il popolo", normalmente menefreghista assoluto della condizione dei carcerati, ha deciso che per Cucchi era stata perpetrata una drammatica ingiustizia. Il che è evidentemente vero. Quello che quella gente, normalmente manettara gli altri giorni della settimana, dimentica è che similari ingiustizie sono purtroppo frequenti nelle nostre carceri.
E lo stesso presidente del Senato, in altre occasioni, ha sproloquiato in senso giustizialista, perché così voleva l'audience. 
So' brutte cose, che richiedono specchi di legno la mattina quando ci si alza. 

Il Garantista

Caro Grasso, io so e parlo: so che lo Stato ha torturato e tortura

grassocucchi2
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«Chi sa parli», dice il presidente del Senato sul caso Cucchi. Sembra un invito alla delazione, più che una invocazione a rompere i muri di omertà che i servitori dello Stato erigono quando è proprio lo Stato, come nel caso Cucchi, ad essere il principale indiziato di un crimine.
Un monito da maresciallo burbero a capo di una stazione di confine che entra nel bar del paese e le canta chiare a tutti i concittadini, tanto lo sa che non servirà a niente, che nessuno dirà nulla, che i figli non accuseranno i padri, che è solo tutta scena ma almeno così l’onore è salvo.
E invece no, io parlo. Parlo e dico al maresciallo, e a tutti i sepolcri imbiancati che hanno detto la loro sul caso Cucchi, che io so.
So che non è vero che in Italia non si tortura, intanto e per prima cosa. 
So, come lo sa lo Stato, che torturò i sequestratori di Dozier, durante gli anni del terrorismo e non solo non ha mai accertato le responsabilità, ma non ha neppure chiesto scusa. So, che torturò Triaca, altro terrorista, e per sovrappiù lo condannò per calunnia quando quello denunciò le torture subite.
So che se ne torturarono molti di terroristi in quel tempo. So che c’era un funzionario dello Stato talmente bravo a torturare che era stato soprannominato De Tormentis. So che quel funzionario agiva con altri appartenenti allo Stato che, ben prima degli americani ad Abu Ghraib, perfezionarono la tecnica del water boarding. So che quei funzionari adattarono ai terroristi quello che si faceva nei confronti dei sequestratori, o dei rapinatori.
E lo so perché lo Stato torturò Giuseppe Gullotta, che terrorista non era, nella identica maniera, e poi lo condannò all’ergastolo per un delitto mai commesso, confessato sotto tortura.
So che lo Stato non smise di torturare dagli anni settanta, perché lo fece a Genova nel 2001, a Bolzaneto in particolare, e lo dicono tutti, ma pure a Napoli, un anno prima, e questo non lo dice nessuno.
So che lo Stato aveva la sua Caienna, all’Asinara, e oggi la mostra come se fosse archeologia carceraria ai turisti in gita senza dire che lì si imponeva, tra le tante altre vessazioni, la regola del silenzio ai detenuti, terroristi, mafiosi, sequestratori. Senza dire, ai turisti raccapricciati dalle grate che oscurano il cielo nei cortili del passeggio, che sono le stesse grate dei cortili dei Cie di oggi, ove si sottopone ad un trattamento degradante persone che non hanno commesso reati.
So che lo Stato ha torturato a Sassari i detenuti, e non era il secolo scorso, in maniera brutale, scientifica, animale e anche a Novara. So che lo ha fatto nella civilissima Ferrara, e  non era neppure il primo decennio del terzo millennio. Io so, anche, che chi ha responsabilità istituzionali invece di commentare sentenze che ancora non si conoscono dovrebbe rammentare ai parlamentari italiani che devono impedire che si torturi di nuovo facendo il loro mestiere di legislatori, cioè introducendo il reato di tortura.
Ciò che servirebbe a prevenire condotte come quelle che hanno fatto crepare Cucchi e Aldrovandi, che hanno umiliato i ragazzi a Bolzaneto e a Napoli. Io so anche che il giorno dopo una assoluzione, o il giorno dopo una condanna, i magistrati che sono coinvolti nel caso non possono comportarsi come i personaggi dei romanzi di Tom Wolfe: devono mantenere rispetto per le forme del sistema giudiziario, non fare passerelle inutili sui media; non preannunciare iniziative improbabili che poi devono ridimensionare, fino a smentirle, il giorno dopo; non cercare il consenso di fronte alla indignazione; non andare in pensione ostentatamente per dimostrare un dissenso rispetto all’atto collegiale che hanno appena sottoscritto.
Facessero il loro mestiere, i magistrati, che prescinde dal consenso per definizione, che si chiami caso Cucchi oppure caso Berlusconi non cambia. Se la procura di Roma voleva indagare su altre persone rispetto agli imputati, e persino su quelli fare indagini integrative, non era il caso di farlo a mezzo stampa, lo so io, lo sanno tutti.
Io so, infine, e tutti i giuristi degni di questo nome lo sanno, che  
è tortura «qualsiasi atto con il quale sono inflitti ad una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche… per qualunque motivo basato su di una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale», questo secondo la Convenzione che l’Italia ha sottoscritto ventitré anni fa, e che dunque quello che viene attualmente discusso in Parlamento è cosa diversa.
Io so che i giuristi in questo Paese di fronte al caso Cucchi dovrebbero strepitare perché il reato di tortura, quello vero, rischia di non essere mai introdotto, non stare lì a strologare sulle intercettazioni che si potevano comunque fare, o le indagini fatte male, o le assoluzioni che non piacciono.
Io so che dovrebbero indignarsi per una legge che non c’è, prima di tutto, perché senza di quella in Italia si continuerà a torturare. Io so che fino ad oggi la tortura non è reato perché ci sono apparati dello Stato che non vogliono che questo avvenga, perché lo temono il reato di tortura, quello vero, poiché sanno perfettamente che anche in Italia si tortura.
Io lo so, ma non è una maniera pasoliniana di dire, io lo so perché su ognuno dei fatti che ho citato ci sono prove, perché ognuna delle opinioni che ho espresso è fondata sul diritto positivo; io non chiedo delazioni, non ce ne è bisogno, è tutto chiaro.

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