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sabato 13 dicembre 2014

VERONICA PANARELLO, LA MEDEA DEL XXI SECOLO, VISITATA IN CARCERE



Sarà ingenuità o malafede quella che anima l'onorevole Andrea Vecchio, eletto con Scelta Civica, quando descrive Veronica Panarello, cui ha fatto visita in carcere, con queste parole  :
«un corpicino minuto, tremante, rannicchiato, il viso scarno, i capelli lunghi su una faccia dove gli occhi sgranati dominano sui lineamenti».
Ma questa è Medea !! La madre assassina dei figli per vendetta (ah, di Medea il movente si conosce : voleva punire quel traditore di Giasone, di Veronica no, ma ormai il movente, un tempo caposaldo in un processo per di più indiziario, non preoccupa più nessuno). Come fa l'epigono di una donna così tremenda, come la protagonista della tragedia greca, a somigliare ad un essere fragile, smarrito, debole ?
Questa è una che ha ucciso il figlio di 8 anni "con crudeltà" ! 
Certo, continua a sostenere che è innocente, e adesso c'è pure qualche strano giornalista che inizia a dubitare che gli indizi dell'accusa siano così cogenti. No, stavolta non sono quei soliti rompipalle de Il Garantista, il dubbio se l'è fatto venire una cronista de La Stampa, che segue il caso dall'inizio e dice "le immagini delle telecamere non sono chiare come ci hanno detto". Ma queste sono quisquilie.
Che volete che dica l'assassina ? E ci sarà sempre un giornalista che vorrà distinguersi scrivendo fuori dal coro...
Quello che non deve passare però è il tentativo di far provare compassione per questa donnaccia che si è macchiata del più orrendo dei delitti. E per questo la passaggiata pubblicitaria dell'on. Vecchio va stigmatizzata ! !
Esagero ? Se la metto giù così dura non mi credete ?
Fate bene.


Il Corriere della Sera - Digital Edition


«Mi sento abbandonata, vorrei disegnare»
Visita in carcere alla mamma di Loris: «Mi manca tutto». 
Avanza il cibo e chiede fogli e colori



CATANIA Il cancello di ferro si apre su una cella con la porta spalancata, a vista, un angolo spoglio al piano terra del carcere di Catania, forzata dimora di Veronica Panarello. E pare vuota la brandina appoggiata alla parete, sotto una finestra dalla quale si intravede solo un muro. Poi, una coperta di lana sembra animarsi e compare «un corpicino minuto, tremante, rannicchiato, il viso scarno, i capelli lunghi su una faccia dove gli occhi sgranati dominano sui lineamenti».
Così appare la mamma sospettata di avere strangolato il piccolo Loris ad Andrea Vecchio, deputato eletto a Catania nelle liste di Scelta Civica, imprenditore antiracket, turbato da questa storiaccia, deciso a tentare un faccia a faccia con Veronica.
E lei, dopo essersi stropicciata gli occhi, accetta, fa per alzarsi. Solleva la coperta e compare vestita con un jeans, una maglietta, un pullover, ai piedi un paio di calze a righe orizzontali.
L’onorevole Vecchio la invita a restare seduta, sul bordo del letto, le si avvicina e ascolta le parole, appena un sussurro, un filo di voce: «Sono qui dentro senza colpa, senza avere commesso il fatto... Ho parlato solo con l’avvocato. E con una psicologa, ma io non ho bisogno... Ho solo bisogno di essere creduta. Invece, mi sento abbandonata, abbandonata da tutti. Mi manca tutto. Un giudice dovrà credermi...».
Seduti entrambi, Vecchio su una sedia, dalla finestra compare uno scorcio di cielo, unica luce sulla branda e su un tavolinetto con tre piatti, due di pasta e uno di carne, «quasi non toccati», osserva il parlamentare.
«Mangi Veronica? Posso darti del tu?».
E lei: «Il cibo non è il mio pensiero. Va bene il cibo. Ma non va che io sia qui senza avere fatto niente. Io sono innocente e c’è un assassino libero».
Stop. Argomento vietato. Lo ricorda la direttrice che accompagna il deputato dopo un giro nei reparti. Ma la madre che avrebbe assassinato il figlio lancia un’ultima invocazione: «Sono qua dentro, innocente. Nessuno mi crede, nessuno mi vuole credere. I giornali non riportano tutta la verità».
Al deputato questa ragazza è apparsa «fragile, smarrita, debole, disarmata» e azzarda il quesito più scontato: «Come stai? Come ti senti?». E lei: «Come posso stare qua dentro con il peso che ho?».
«Fai un sorriso?». «Non si può sorridere qua dentro con il peso che avverto».
«Vuoi leggere qualcosa?». «Vorrei disegnare».
«Sei andata a scuola? Cosa hai studiato?». E lei sembra per un attimo rianimarsi e risponde: «Ho frequentato la scuola d’arte. Al secondo anno mi sono fermata. So disegnare, mi piace molto».
«Posso regalarti o posso farti avere un album da disegno, delle matite, dei colori?». La risposta è un cenno di assenso; ora si vedrà se l’amministrazione penitenziaria accoglierà la richiesta. Vecchio osserva gli occhi illuminarsi in un timido sorriso. Pronto a rilanciare il filo della conversazione: «Vedi che hai sorriso...».
Ma le labbra di Veronica si serrano, il sorriso si trasforma in una smorfia di dolore.
«Ti posso abbracciare?», azzarda il parlamentare. Lei ringrazia e avverte il calore di un affetto, il primo dopo tre giorni di detenzione, come dice Andrea Vecchio: «Il suo corpo trema. L’abbraccio è rapido, la saluto, le stringo la mano, le dico solo: “coraggio, fatti forza”».

Felice Cavallaro

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