Il Maestro Battista, le cui dimissioni dalla Camera Penale di Roma non hanno certo comportato una diminuzione del tempo, la passione, l'impegno civile nel seguire le cose della giustizia (ma nessuno aveva dubbi su questo : l'uomo è un combattente, non un Cincinnato, che pure aveva i suoi perché ).
Ed è da lui che vengono quotidianamente segnalazioni interessanti sul pianeta che particolarmente ci interessa, per il suo grave stato di malato cronico (non vogliamo dire terminale).
In questo caso, quella che ha postato sul suo profilo è la riflessione di Carlo Nordio, procuratore capo di Venezia, che giustamente Battista definisce "imperdibile".
Che un alto magistrato, per di più Pubblico Ministero, stigmatizzi il potere senza responsabilità del proprio ufficio, il grande rischio di ARBITRIO che ne consegue, fa effetto grande.
Per non parlare, sempre in considerazione del pulpito, del biasimo per l'appellabilità delle sentenze di assoluzione, in spregio ad ogni elementare logica in merito a quel "ragionevole dubbio" che va superato per consentire una decisione di condanna.
Ma che Nordio sia un magistrato fuori dal coro, lo si sapeva da tempo.
Io rimasi perplesso, ai tempi del procedimento per il MOSE di Venezia, per il trattamento riservato a Galan, ex governatore veneto, che mi suonava un po' simile a certi manettarisimi che Nordio ha sempre condannato...Il proseguio della vicenda ha però dimostrato che il procuratore capo sia stato infine coerente coi suoi principi : niente processi mediatici, niente spifferi dalla procura ai giornali, niente eccessi di custodia cautelare, niente intercettazioni selvagge...
Quindi si può fare...
Giustizia: responsabilità civile; il magistrato che sbaglia va rimosso più che multato |
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Il Messaggero, 18 maggio 2015
Dopo soli due mesi dalla sua promulgazione, la legge sulla responsabilità civile dei magistrati finisce già davanti alla Corte Costituzionale. Lo ha deciso un giudice civile di Verona, lamentandone l'indeterminatezza e il rischio che possa condizionare il corso e l'esito dei processi. È presumibile che questa iniziativa sia seguita dalle inevitabili polemiche dovute alla singolarità del problema. Si dirà che i giudici contestano una legge che li riguarda personalmente, e che il conflitto sarà risolto in famiglia, cioè da altri giudici. Al che sarà facile rispondere che solo un giudice può giudicare un altro giudice, o una legge che riguarda i giudici, esattamente come solo un chirurgo può operare un altro chirurgo. E la querelle continuerà.
Il problema è serio perché l'Italia è l'unico Paese al mondo in cui esista un potere senza responsabilità. Prendiamo il pubblico ministero. È il capo della polizia giudiziaria, e quindi dirige le indagini con una discrezionalità che può sconfinare nell'arbitrio, conferendogli attribuzioni impensabili. Ad esempio, solo spedendo un'informazione di garanzia, può condizionare la vita politica di un parlamentare, di un governo e magari di una legislatura. Una simile forza dovrebbe essere bilanciata da una responsabilità equivalente; negli Stati Uniti, ad esempio, è controllata dalla volontà popolare, perché il District Attorney viene eletto dai cittadini.
Invece da noi il Pm gode delle stesse garanzie di indipendenza e autonomia del giudice, e quindi non risponde a nessuno. Può imbastire processi lunghi, costosi e fantasiosi. Alla fine dirà che l'azione penale è obbligatoria, e che ha solo fatto il suo dovere. Se dal pubblico ministero passiamo al giudice, il problema è anche più serio. L'Italia è l'unico Paese con un processo accusatorio dove un cittadino assolto possa essere riprocessato e condannato in una sequenza infinita. I casi sono noti, e sarebbe doloroso farne i nomi. Questa è una follia logica, perché se la condanna può intervenire solo quando le prove a carico resistono a ogni ragionevole dubbio, bisognerebbe ammettere che i magistrati che avevano assolto erano degli imbecilli. A parte questo, in una simile catena di sentenze, che negli anni hanno coinvolto decine di magistrati, chi avrà sbagliato e chi no? Difficile dirlo. Ancor più difficile distinguere tra responsabilità dei giudici togati e di quelli popolari, che, in corte d'assise, hanno gli stessi poteri dei primi. Faremo causa anche a loro? Chissà.
Di fronte a problemi così complessi, governo e parlamento hanno risposto in modo emotivo. Condizionati dallo slogan del "chi sbaglia paga", invece di incidere sulle cause degli errori giudiziari - come ad esempio l'irresponsabile potere dei pubblici ministeri - hanno preferito agire sull'effetto intimidatorio delle sanzioni, privilegiando peraltro quelle pecuniarie. Scelta inutile, perché ci penserà l'assicurazione; e irragionevole, perché la toga inetta o ignorante non va multata, va destituita.
L'aspetto più singolare di questa vicenda è stata tuttavia la reazione dei magistrati. Alcuni hanno minacciato lo sciopero, altri forme più blande di protesta, tutti hanno, apparentemente, mugugnato. Alla fine non è successo nulla, salvo il rinvio alla Consulta della parte più ambigua della legge: quella che appunto consente, o pare consentire, di far causa allo Stato (e quindi al giudice) prima che la causa sia definitivamente conclusa, con l'effetto automatico di paralizzare i processi. Perché il magistrato denunciato si potrà astenere, passando il fascicolo al collega, e questo a un altro, e così per l'eternità.
Era dunque ovvio che sarebbe finita come ha disposto il giudice di Verona, e come certamente nei prossimi giorni disporranno decine di tribunali. La legge sarà forse parzialmente abrogata dalla Corte, e comunque la montagna avrà partorito un topolino. I magistrati impreparati o inetti tireranno un sospiro di sollievo. E come dice Shakespeare, quando il principe sospira, il popolo geme.
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