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mercoledì 20 maggio 2015
SE LE LEGGI SONO FATTE MALE, COLPA DELLA CONSULTA ?
Guido Salerno Aletta è un esperto di cose economiche e giuridiche che scrive spesso sulla pagina del gruppo RI.SA.LI.RE ITALIA, creato da Tommaso Sessa, e che si rivolge a tutti ma principalmente a persone che si riconoscono più facilmente in una filosofia diremmo LIB LAB (e quindi socialisti, innanzi tutto, e poi repubblicani, liberali...insomma, le formazioni laiche di una volta, per intenderci).
Il contributo odierno si concentrava sul problema della ormai arcinota pronuncia della Consulta in materia di pensioni e, in generale, sul nodo costituito dal costo di queste ultime.
Di seguito l'intervento, e quindi il mio commento, postato sulla pagina FB e naturalmente sul blog
Ieri il Consiglio dei ministri ha varato un decreto legge per dare seguito alla sentenza 70/2015 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità del blocco dell’adeguamento al costo della vita delle pensioni di entità superiore al triplo del trattamento minimo. In tanti si sono affrettati a commentarla, esprimendo considerazioni sul merito e sul metodo della decisione, ma anche in ordine alla necessità di una maggiore attenzione alla equità intergenerazionale che verrebbe vulnerata nel momento in cui gli attuali pensionati godrebbero già di trattamenti molto superiori rispetto a quelli di cui beneficeranno in futuro, quando e se andranno in pensione, coloro che oggi versano i contributi. Sono talora giudizi espressi con approssimazione, visto che gli attuali pensionati hanno mantenuto a loro volta la generazione precedente che era stata colpita dalla guerra, ed i milioni di contadini che avevano lavorato per decenni senza nessuna tutela previdenziale. Per decenni l’agricoltura è stata ampiamente sussidiata, potendo usufruire di trasferimenti che incrementavano di oltre il 15% il valore della produzione: tutto il dopoguerra è stato caratterizzato da una forte solidarietà territoriale e sociale. Nessuno poi ha rammentato che nel sistema retributivo, considerato come l’emblema della generosità a differenza di quello contributivo, le retribuzioni sopra i 43 mila euro l’anno vengono falcidiate attraverso un coefficiente di rivalutazione che ne dimezza il valore pensionabile (0,00076923 anziché 0,0011538). Sembrano astruserie, pratiche alchemiche, ma è così che si fanno i conti delle pensioni, con i decimillesimi.
Prima di esaminare il decreto legge appena varato, che si rifà ai vincoli di copertura finanziaria scomodando il tetto del deficit fissato al 2,6% del Pil, per moderare gli effetti della sentenza, occorre ricordare le motivazioni con cui la Corte è intervenuta per giudicare l’accomodamento delle pensioni alla congiuntura economica.
La Corte ha rilevato che il blocco dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita non riveste natura tributaria, in quanto non prevede una decurtazione o un prelievo a carico del titolare di un trattamento pensionistico, e che, mancando il presupposto della natura tributaria della disposizione, viene a mancare il requisito che consente l’acquisizione delle risorse al bilancio dello Stato. In pratica, la disposizione del Salva Italia non forniva, neppure in via indiretta, una copertura a pubbliche spese, ma determinava esclusivamente un risparmio di spesa. ( bè, questa cosa in sé, se fosse vera, sarebbe ampiamente meritoria, ad avviso del redattore !!!).
La Corte ha rammentato poi che nel decreto legge si prevedeva l’azzeramento della perequazione per tutti i trattamenti pensionistici di importo superiore a due volte il trattamento minimo INPS e, quindi, a 946 euro. In sede di commissione parlamentare, il Ministro competente chiarì che la misura in questione non confluiva nella riforma pensionistica, ma che era da intendersi un «provvedimento da emergenza finanziaria». Ripercorrendo l’intero iter di conversione del decreto legge, non è dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate, come previsto dall’art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilità e finanza pubblica».
Secondo la Corte, il blocco dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita è possibile, ma per essere legittimo deve innanzitutto essere motivato. E soprattutto devono essere chiari i nessi con l’equilibrio della gestione previdenziale. Non basta affermare che le finanze pubbliche devono essere in ordine, e che il rapporto deficit/pil di cui si discute a Bruxelles riguarda l’intero aggregato delle Pubbliche amministrazioni, che comprende le gestioni previdenziali. Non solo nel Salva Italia non c’era alcuna evidenza di questa correlazione, ma il rappresentante del governo aveva esplicitamente escluso ogni correlazione tra questa disposizione e la contestuale riforma delle pensioni.
Risulta quindi assai strano il fatto che ora di tutto si discuta, tranne che del bilancio dell’Inps e delle relazioni tra la finanza pubblica e le gestioni previdenziali, senza considerare che le pensioni sono pagate prevalentemente con i proventi dei contributi dei lavoratori iscritti mentre il bilancio dello Stato versa all’Inps solo le somme relative alle prestazioni assistenziali, come le indennità di accompagnamento, le integrazioni al minimo pensionistico, o le pensioni di invalidità. Ci sono dei casi particolari in cui talune gestioni autonome, strutturalmente deficitarie, sono state disciolte per legge e trasferite all’Inps, con l’accollo degli squilibri annuali allo Stato: nel Fondo pensione dei lavoratori dipendenti (FPLD) figurano, con separata evidenza, le gestioni deficitarie dei telefonici, dei trasporti, degli elettrici e dei dirigenti dell’INPDAI. Dall’ultimo rendiconto dell’INPS risulta che nel 2013 il FPLD è stato in attivo per 4,4 miliardi, mentre le altre gestioni erano in passivo, ripianato dallo Stato con appositi versamenti. Da sola, la gestione ex INPDAI mostrava un rosso di 3,8 miliardi. Tra l’altro, alla fine del 2013 risultavano iscritti al FPLD 12,7 milioni di lavoratori ed erogate 8,8 milioni di pensioni. Alla gestione INPDAI afferivano invece 34 mila iscritti e 126 mila pensioni, con una spesa di 6,3 miliardi di cui 3,8 a carico dello Stato. Né va dimenticato che sul versante opposto, di tanti assegni integrati al minimo su cui ci si straccia le vesti per la irrisorietà dell’importo, sono beneficiari da decenni tanti baby-pensionati. Del Fondo dei parasubordinati, in attivo smagliante, è meglio tacere, visto che i Co.co.co. sono stati solo una furbata legislativa. Occorre chiarezza, come ha chiesto su queste colonne Paolo Savona.
Sono finiti gli anni in cui in Italia prevaleva la solidarietà tra le categorie sociali ed i territori, in cui si poteva dare tutto a tutti. Ora c’è il rischio opposto, quello di togliere anche il giusto, in omaggio ad una malintesa solidarietà generazionale che invece indulge all’astio. Peggio ancora è la fretta: non ha giustificato gli errori del Salva Italia, varato dal governo Monti dopo appena una settimana dalla fiducia, e non giustificherebbe ora una semplificazione del messaggio, per conquistare il consenso in vista delle elezioni regionali.
La Corte ha mandato un messaggio preciso: nelle decisioni legislative servono chiarezza e razionalità. Servono motivazioni ineccepibili e presupposti concreti. L’equità, soprattutto quando ci sono dei sacrifici da chiedere, deve essere misurabile. Il rigore non può essere una scorciatoia per far confiscare i diritti dei cittadini: ci deve essere un tetto al deficit, ma le fondamenta su cui è costruito devono essere ben solide.
Apprezzo molto questo intervento, perché spiega con discreta brevità (in genere non la principale dote del bravo autore) e chiarezza i perché della pronuncia della Corte Costituzionale in materia. Il legislatore può anche fare le cose, ma deve farle BENE, spiegando perché certi provvedimenti siano legittimi, non limitandosi a dire "Roma brucia !". Peraltro il problema delle pensioni, che hanno un costo elevatissimo e con una sperequazione rilevante tra i pensionati di oggi e quelli di domani , resta ed è grande. Il sistema retributivo è un lusso che non ci potevamo e non ci possiamo permettere. Dopodiché capisco quei pensionati che dicono che loro si sono regolati (per esempio non risparmiando perché confidavano in una pensione pressoché pari allo stipendio percepito) su quella che era la previsione di legge, e oggi si troverebbero in grave difficoltà di fronte a provvedimenti "retroattivi", peraltro in genere mai legittimi. Resta che gli attuali versatori di contributi si trovano penalizzati da un crescente livello di versamenti (chi li fa, ovvio...), un'età pensionabile lontana, una pensione, se e quando sarà, bassa, e certo non paragonabile a quella dei loro genitori e nonni (che però l'avranno spesa anche per aiutarli...). Insomma, un bel casino.
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