In queste ore Tsipras dovrà spiegare perché un intervento dal costo di 8 miliardi non andava bene, tanto da meritare il referendum che ha visto il trionfo dell'OXI (avete fatto caso l'assonanza col noto antinfiammatorio ? in effetti ci sarebbe quasi quasi anche un'attinenza di merito...), vale a dire un sonoro NO alla proposta europea, mentre ora lui chiede l'autorizzazione al parlamento greco di presentare un progetto di risanamento dal costo di 12 miliardi...., toccando tutte le voci sulle quali finora si era mostrato restio (pensioni baby, spese militari, tasse sulle isole...). Non vorrei essere nei suoi panni.
Intanto Alessandro Fugnoli spiega, nel suo sempre interessante intervento settimanale sulla rubrica Il Rosso e il Nero, come la cattiva Germania non sia esattamente un paese liberista, anzi, storicamente ha sempre prediletto uno statalismo dirigista e tuttora sono loro gli inventori dell'ossimoro "economia sociale di mercato", dove il primo termine per lo più prevale sul secondo. Quindi quello tra Germania e Grecia non è esattamente uno scontro di "civiltà", con i crudeli neoliberisti selvaggi da una parte e gli umanisti solidali (nei propri confronti...) dall'altra. Il che non vuol dire, e quanto andiamo scrivendo e riportando da tempo lo dimostra, che i cattivi e i buoni siano individuabili in maniera netta, manichea.
Però ci sono delle leggende metropolitane da sfatare. Quella del "liberismo selvaggio" in Europa in generale, e in Germania in particolare, è una di queste.
Buona Lettura
SCHREBERGARTEN
Questione greca e scontro di
civiltà
Le città del mondo sono fatte
di case, strade, piazze, fabbriche e parchi ma sono anche piene di spazi
interstiziali, quelli che i francesi chiamano terreni vaghi perché la loro destinazione
è indefinita. Lungo le ferrovie urbane, intorno alle fabbriche abbandonate, tra
un casermone e l’altro della banlieue, queste aree amate dai topi e dalle
vipere sono utilizzate generalmente e gioiosamente dai cittadini come
discariche, luoghi di oscuri traffici o di insediamenti abusivi.
Non in Germania. I terreni
vaghi sono meticolosamente censiti e messi a
reddito. I comuni pubblicano ogni anno un elenco di
questi spazi ed esaminano le numerose domande dei richiedenti, che sono
cittadini singoli o, più spesso, ordinate associazioni di cittadini muniti di
regolare tessera di riconoscimento. I richiedenti pagano un canone annuale e
ovviamente, essendo in Germania, non sono liberi di fare in questi terreni
quello che credono, ma devono ripartire lo spazio loro assegnato secondo
precisi criteri.
Non più di un terzo (la
grandezza media del lotto è di 300 metri quadrati)
può essere adibito a orto, un terzo va tenuto a prato e un terzo deve avere una
finalità ornamentale (piante o fiori). Data l’assenza di balconi nelle case
tedesche, i cittadini pagano volentieri per potere sfogare il loro amore per
fiori e piante e fare più bella la loro città.
Dei tedeschi si può dire tutto,
ma non che siano dei neoliberisti selvaggi. Dalle gilde medievali alla
fondazione dello stato assistenziale da parte di Bismarck fino
all’assoggettamento della grande industria da parte del nazionalsocialismo la
Germania si è caratterizzata sempre per uno stato dirigista e regolatore e per
una fiorente e ordinatissima società civile in cui anche gli amici che si
trovano al bar hanno un presidente, un segretario e un tesoriere. Anche la
Bundesrepublik si è sempre ispirata all’ideologia ordoliberale dell’economia
sociale di mercato, un ossimoro in cui l’accento è sempre caduto sul sociale
più che sul mercato.
Suona dunque un po’ eccessivo
che la distanza tra la Merkel e Tsipras sia spesso presentata e vissuta come
uno scontro di civiltà tra il neoliberismo selvaggio da una parte e la dignità,
la solidarietà e la speranza dall’altro. Suona ancora più eccessivo se si
considera che l’ultimo piano Juncker (che Tsipras avrebbe probabilmente firmato
se non avesse capito che la sua maggioranza non l’avrebbe sostenuto) vedeva
alla fine una distanza tra le parti su tre soli punti riguardanti un ammontare
complessivo di 600 milioni di euro (anche meno secondo alcune fonti). Il
neoliberismo selvaggio e l’Europa dei banchieri chiedevano di togliere alle
isole lo sconto sull’Iva, di abbassare le spese militari e di fare partire da
subito la riforma delle pensioni. Il fronte della dignità e della speranza
voleva mantenere l’Iva più bassa nelle isole, non tagliare le spese militari e
fare partire la riforma delle pensioni da ottobre. I punti sull’Iva e sulle
spese militari, per inciso, erano considerati irrinunciabili dai Greci
Indipendenti di Kammenos, la formazione di destra alleata di Syriza.
Con il successo del referendum,
Tsipras si è rafforzato non nei confronti dei creditori ma nei confronti del
suo fronte interno. L’approvazione parlamentare dell’accordo con i creditori,
molto problematica prima del referendum, è oggi garantita da una delega
praticamente in bianco dell’intero sistema politico greco, che si è impegnato a
ratificare qualsiasi accordo Tsipras porti a casa.
Il referendum a sorpresa ha
però irrigidito, non indebolito, il fronte dei creditori. È in particolare in
Germania che il sentimento antigreco si è rafforzato nei partiti, nella stampa
e nell’opinione pubblica. Curiosamente, la forza politica più schierata in
favore dell’espulsione della Grecia dall’euro è la Spd, che spera in questo
modo di vellicare la pancia dell’elettorato e di mettere in difficoltà ancora
maggiore la Merkel.
Se Tsipras si farà consigliare
da Juncker (come sembra già evidente dall’attenuazione delle richieste sul
debito) e presenterà una proposta di riforme più seria (come è probabile) la
decisione di spingere per un accordo o per la rottura definitiva spetterà a
quel punto solo alla Merkel, che dovrà valutare entro domenica sera se fidarsi
o meno di Tsipras.
Avremo così la terza domenica
di totale incertezza e il terzo lunedì da brivido. La nostra scommessa (su cui
puntare qualche call, non certo il portafoglio) è che la Merkel decida per
l’accordo. Questo le costerà molto del suo capitale politico ma non,
probabilmente, la cancelleria.
Se così sarà, da lunedì
cominceremo a preoccuparci più della Cina che della Grecia.
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