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martedì 19 aprile 2016

TOTTI E LA ROMANITA', VISTA DAGLI ALTRI

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A riprova che Totti non è un giocatore qualunque, un dipendente stipendiato dalla AS Roma e quindi il discorso che bene fa l'allenatore Spalletti a non fare distinguo è una panzana, oggi giornali nazionali importanti , come il Corriere e la Stampa, affidano a due loro penne molto seguite, Pierluigi Battista e Mattia Feltri, il commento del duello rusticano tra i due e sul perché il calciatore sia un totem della città.
Ovviamente, c'entra la peculiarità di una città come la capitale, e Battista scomoda addirittura l'antropologia.
Scontatamente, molti romani, a sentire parlare di "ambiente" nocivo, di mollezza, di condizionamenti esterni - e quindi pubblico e radio - che nuocciono alla causa, non ci stanno, si risentono, e mettono l'accento sulla "stranietà" dei quotidiani, nazionali sì, ma originari di Milano e Torino.
Ma Battista è romano...si vabbè, però intanto è juventino, e già questo non lo autorizza a impicciarsi della Roma (lo fanno capire anche a me, nell'infinitesimo piccolo del Camerlengo ! ) , e poi è contaminato dall'aver fatto Carriera (brillante) nel giornalone milanese, per cui che ne sa di Roma e dei romanisti ?
Stupidaggini no ? Eppure facile sentirle e leggerle.
 Sulla vicenda ultima, è abbastanza palese che Spalletti abbia torto, preda com'è stato di una evidente crisi nervosa, spiegabile con la delusione per l'occasione mancata (il pareggio con l'Atalanta, con la possibilità sfumata di accorciare sul Napoli a - 3 ) e con l'aspro confronto avvenuto poco prima negli spogliatoi tra lui e Totti, ma non giustificabile.
Il Capitano ha segnato quasi un giubileo di storia giallorossa, è il giocatore con più presenze, con più gol, quello che ha rinunciato al Real Madrid, e quindi, con ogni probabilità, a vincere Champions e palloni d'oro, perché legato visceralmente alla sua città.
Per questo è stato amato e coperto d'oro d'accordo, ma lo scambio c'è stato, tutto.
Solo un americano, per quanto italo, poteva non tenere conto di tutto questo e gestire così male la fine della carriera tottiana. Spalletti, col suo modo di fare ruvido, di uomo "senza sentimenti", come si autodefinisce lui limitatamente al calcio, non è certo l'uomo giusto alla bisogna, oppure no, per Pallotta magari era il killer ideale, dietro cui nascondersi.
Se questo era il progetto, sta fallendo miseramente.
La Roma arriverà terza, il che è già buono, per come si erano messe le cose a Natale, ma risultato minimo per le ambizioni di inizio stagione, oltretutto incoraggiate dal disastroso approccio bianconero. L'anno prossimo, senza Totti PER COLPA di Spalletti - e della società americana - i giallorossi più autentici - la maggior parte - saranno con i fucili puntati e SOLO un grande campionato, dove lo scudetto deve quantomeno restare nel mirino fino all'ultimo, salverà la panchina al supertosto toscano.
Certo, dopo cinque scudetti filati, possono sperare che la Juve rifiati - aveva già iniziato quest'anno, poi si è ripresa - però non si può nemmeno credere che le milanesi continueranno ad essere così disastrose, mentre il Napoli, se tiene Higuain e arricchisce un po' la rosa, è decisamente tra le papabili.
Spalletti, bravo tecnico, uomo permalosissimo e fumantino, non è uomo per Roma, vedrete.

Finisco con un chiarimento, richiesto da una carissima - pure bella - amica della Roma, sulla mia dichiarata non simpatia per l'uomo Totti, viceversa ammirato come calciatore.
In realtà mi devo esprimere meglio. Il Totti uomo NON lo conosco. Per quel poco che vedo e sento, in realtà è un romano puro, al 100%, con i pregi e difetti dei romani. Spiritoso e generoso, tra i pregi, presuntuoso e spaccone (i romani hanno un senso di superiorità che veramente, con tutti i problemi millenari di questa città, età dell' Impero antico esclusa, non si capisce da dove venga !! E' vero, è tra le città più belle del mondo, ma anche caotica, anarchica, poco vivibile, e i suoi cittadini hanno responsabilità gravi in questo ) tra i difetti.
Ma la mia antipatia è per il calciatore, non per l'uomo. Totti ha doti tecniche superiori, è stato - tecnicamente è ancora - tra i più grandi calciatori di sempre (nel calcio moderno italico, lo metto appena dietro a Baggio e davanti a Del Piero ) , e questo riconoscimento è banale per quanto è unanime. Dopodiché a quanti non romanisti Totti è stato simpatico, apprezzato come uomo di sport ? A differenza dei citati Baggio e Del Piero, a cui si possono aggiungere Maldini, Zanetti, Baresi ( un pizzico meno quest'ultimo) , tra quelli in attività Buffon,  Totti non è il campione di "tutti" ma solo dei romanisti.
Gli atteggiamenti in campo di Totti hanno fatto delirare gli ultrà della Maggica, e, di contrasto, fatto innervosire, quando non infuriare, gli avversari.
Sicuramente, tra i campionissimi, è quello con più espulsioni, e non di rado per falli di reazione.
Ecco, per tutto questo, Totti non mi è stato mai simpatico. Come spesso accade ai più, con l'età, si è calmato, è diventato più saggio ed ironico, ma in 25 anni di professionismo non è stata questa, per lo più, la sua cifra di sportivo.
Questa personale opinione, evidentemente non mi influenza nel giudizio sul campione, sul suo valore "storico" per la squadra in cui ha giocato, e di qui la mia convinzione che, con lui, società e Spalletti stiano sbagliando alla grande



Se anche i laziali tifano Totti

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Ieri sulla Tiburtina, appesa allo spartitraffico, c’era la foto d’un ragazzo morto in incidente stradale ornata da un mazzo di fiori e da una maglietta di Francesco Totti. Altari così, un po’ laici un po’ sacrileghi e anche decisamente sacri, a Roma non sono infrequenti. 
 
Il rapporto del campione e della città è ormai evoluto a una spiritualità strana e commovente per cui, sempre ieri, a una delle radio in cui si dibatte tutto il giorno di romanismo, si è sentito dire che «non si può fare questo a ’sto ragazzo, ve lo dico da laziale». Lo scandalo è tale da assumere imprevedibili aspetti bipartisan, e il dispiacere che gonfia l’orgoglio è sconfinato oltre i territori puramente agonistici. «Dobbiamo riempire la curva così ti spieghiamo cos’è Roma», dice un altro in collegamento col mitologico e cattivissimo Marione. «Ti spieghiamo», si intende all’allenatore Luciano Spalletti, stranamente impegnato a ridisegnare la leggenda al ribasso, proprio ora che la leggenda dovrebbe prendere piano piano il posto del calciatore. E chi si aspetta per pregiudizio una geremiade sbrodolata e irrazionale, sbaglia. Marione e i suoi colleghi delle instancabili radio sportive sono attenti a contenere le inevitabili derive complottistiche. Uno ci prova: «Devo usare una parola grossa: politica. Qui c’è dietro un disegno che porta la società verso una precisa direzione, e ci sono mass media che reggono questo gioco». Adesso non esageriamo, gli rispondono. Un secondo si lancia in complicate analisi azionarie: «Ma scusate, Totti non è socio di minoranza?». «Si, perché?». «Vabbè, allora è tutto chiaro, il compito è quello di distruggere l’immagine di un socio di minoranza potenzialmente molto scomodo». «Ma no, dài, ha quote minime... Non c’entra niente...». 
 
E infatti quando poche settimane fa la questione era stata chiara, la marginalizzazione di Totti decisa dal nuovo allenatore, Roma pareva divisa in due, chi sosteneva l’inadeguatezza al campo, se non per pochi minuti, di un fuoriclasse avviato ai quarant’anni (li compirà a settembre), e chi invece lo voleva più al «centro del villaggio», il punto destinato ai monumenti. Ora Totti guadagna quasi il plebiscito perché, come accennato sopra, la vicenda è andata oltre i moduli, le pagelle, la propensione al gol, la tenuta atletica, adesso ha a che fare con il sentimento intimo e inviolabile di un popolo. «The King of Rome will never die» - il Re di Roma non morirà mai - è la parola d’ordine diffusa da decine di microfoni. I tifosi nemmeno parlano di secondo posto in classifica, di qualificazione diretta in Champions League, parlano di «un uomo solo contro l’ingiustizia», di «senso di malinconia per il tramonto della Storia (il maiuscolo è nostro, ma alla radio si coglieva)», di «mancanza di riguardo per il cuore di milioni di persone». Ecco, di mezzo si è messo il nuovo marziano, l’allenatore Spalletti che maltratta il Re, una specie di Ignazio Marino della panchina le cui colpe vanno oltre i risultati - fin qui per la squadra molto buoni - e investono piuttosto l’idea millenaria di grandezza, anche applicata al calcio, che Roma conserva di sé. «E’ tornato perché evidentemente aveva dei conti da regolare», dicono gli ascoltatori. E poi: «Se non sai chi siamo, che cosa abbiamo nel cuore, per te non c’è futuro». Nel cuore c’è la speranza che la favola si concluda come era scritto: Totti è rimasto a Roma per venticinque anni, sebbene altrove avrebbe vinto di più, perché le coppe e gli scudetti non sono la cosa più importante; ed è questo che Spalletti non ha capito.  

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