E' un concetto noto, alla pari di quello per il quale da una situazione di crisi nasce sempre un'opportunità (ottimista), quello per il quale quando si crea un vuoto, sicuramente qualcuno o qualcosa lo riempirà.
In Italia, da tempo, il vuoto politico legislativo è riempito dai magistrati. I risultati sono pessimi ma tant'è.
Nel mondo, l'Europa è declinante da tempo. Il collettore principale era il benessere diffuso, una ricchezza che non conosceva pari nel mondo, se non negli USA, ma con molti benefit gratuiti in più (il welfare europeo, la settimana corta, so tutte robe che gli yankes si sognano !).
Da un decennio questo benessere si è molto affievolito, ancorché si stia sempre meglio qui che nella maggior parte del globo ( e infatti si vede dai milioni di disperati che affrontano di tutto pur di venire in paesi che, per lo più, non li vogliono).
Al declino del benessere, è seguito quello del sentirsi occidentali.
Non parliamo dell'utopia europeista, gli Stati Uniti d'Europa, quella roba lì, che magari in tanti hanno capito che "nun è cosa".
Ma proprio il sentimento di appartenenza ad una Nazione è in crisi, con il rigurgito di regionalismi vicini al tribalismo tanto vituperato dei vicini paesi arabi ed africani.
La Catalogna è l'esempio del giorno, con una regione che nei decenni ha raggiunti livelli di autonomia impensabili per altre realtà pure federali e che pure non gli basta, rivendicando l'indipendenza, come se i catalani fossero degli oppressi, tipo i curdi.
Ma ce ne sono parecchi di esempi simili in Europa ed Ernesto Galli della Loggia li elenca per concludere preoccupato che un'Euroapa siffatta, debole, imbelle, senza identità, è un vuoto facile da riempire. Russi, cinesi ed arabi sono pronti ed attivi.
E magari scopriamo che il tristo motto italico dei secoli bui, "Franza o Spagna purché se magna", si è propagato strisciante per tutto il vecchio continente.
Altro che Unione Europea...
Senza senso di identità, di appartenenza ad una comunità, la UE resterà solo un affare dove tutti pensano di trarre vantaggi economici superiori ai costi.
Non sono precisamente il collante migliore o le fondamenta più solide che si possano immaginare.
Buona Lettura
IL DECLINO DEGLI STATI EUROPEI
di Ernesto Galli della Loggia
Quelli che sto per citare sono certamente fenomeni di
natura nuova e assai diversa tra di loro. Ma le grandi rotture storiche nascono
per l’appunto così: da una molteplicità di cause quasi sempre nuove,
all’apparenza slegate, che a un tratto per qualche ragione si sommano convergendo
verso un solo risultato. Ora, ho l’impressione che qui in Europa — in
particolare nella sua parte occidentale — proprio una cosa del genere potrebbe
forse oggi essere in incubazione: una rottura storica. Una rottura che va
producendosi sotto i nostri occhi ma senza che noi ce ne rendiamo conto.
Si tratta solo di un’impressione, come ho detto, suffragata
da null’altro che da indizi, e alla quale concorre di certo in misura notevole
l’atmosfera che si respira intorno a noi: un’atmosfera di declino, di sfilacciamento,
dove si mischiano assenza di prospettive individuali e pubbliche, vincoli
sociali non più accettati né riconosciuti, classi dirigenti incolte e
inconsapevoli del proprio ufficio, ceti sociali privi d’identità — il tutto
all’insegna di una crescente inquietudine destinata a rafforzarsi se si pone
mente, per l’appunto, ai fenomeni di cui dicevo all’inizio.
Innanzi tutto alla diffusa presenza in molti Paesi di
combattive minoranze più o meno «nazionali» che ambiscono a staccarsi dallo
Stato di cui finora facevano parte per costituirne un altro per conto loro.
Non
si tratta solo della Catalogna, come si sa.
Un po’ dappertutto nell’Europa occidentale — dai Paesi
Baschi, alla Bretagna e alla Corsica, al Fronte fiammingo in Belgio, alla
Scozia, alle Isole Fær Øer in Danimarca, fino al più casereccio autonomismo
leghista di casa nostra — sono sorti e prosperano movimenti del genere, mentre
si nota un diffuso appannarsi del senso di appartenenza allo Stato unitario
tradizionale.
Gli antichi cementi ideali di questo si sono un po’ dovunque
grandemente indeboliti, e così un po’ dovunque gli effetti della
globalizzazione, uniti a quelli della crisi economica e alla liquefazione della
Ue, stanno producendo un rilancio in chiave difensiva della dimensione locale
subnazionale.
La quale, rispetto al sentimento difensivo su scala nazionale —
facilmente risucchiato a destra verso lidi identitari reazionari — ha il
vantaggio di potersi presentare con sembianze comunitario-democratiche, e
dunque di apparire molto più accettabile.
Ma su una siffatta statualità europea, già indebolita
dall’autonomismo e dal localismo, nonché corrosa da una crescente perdita di
legittimità (e che probabilmente lo sarà sempre di più in futuro), si stanno
rovesciando gli effetti di due fenomeni nuovi, uno più inquietante dell’altro
perché minacciano di inquinare surrettiziamente il meccanismo del consenso
elettorale.
Il primo è rappresentato dal lavorio sotterraneo ma non
troppo a cui sembra dedicarsi ormai come prassi la Russia di Putin, al fine di
orientare secondo i propri interessi la vita politica interna dei Paesi che
essa giudica di suo «interesse». Un lavorio che ha avuto una prima clamorosa (e
parrebbe ormai accertata) manifestazione nell’hackeraggio dei sistemi
informatici messo in opera durante le elezioni americane dello scorso anno. Ma
che molti elementi portano a credere che possa più o meno ripetersi o essere
permanentemente all’opera in un certo numero di situazioni chiave, avvalendosi
anche di altri e, diciamo così, più semplici e convincenti strumenti. La
recentissima nomina dell’ex cancelliere tedesco Schröder a presidente di
Rosneft (il maggiore produttore russo di petrolio), dopo la sua virtuale messa
a libro paga del Cremlino già da anni, dà un’idea dei metodi spregiudicati che
Putin è disposto a usare per estendere e consolidare l’influenza russa. E che è
difficile pensare usi solo in Germania.
Su una linea analoga, mirante per così dire a «lavorare» dal
di dentro gli equilibri della vita pubblica e politica europeo-occidentale,
molti indizi indicano che si stia muovendo anche una parte del mondo arabo.
Agendo su molti tavoli, avvalendosi anch’essi delle proprie enormi
disponibilità finanziarie nonché di apposite «Fondazioni», spesso dall’esibito
fine «caritatevole» e «non profit», alcuni Paesi islamici inquadrano e
organizzano i fedeli delle comunità emigrate in Europa, incamerano quote
massicce di partecipazioni industriali e finanziarie, acquistano immobili ,
catene di magazzini, grandi alberghi e interi isolati delle città del
continente. C’è bisogno di sottolineare come, anche senza pensare a usi
esplicitamente corruttori di una tale influenza economica, essa tuttavia
rappresenti/possa rappresentare in quanto tale un formidabile strumento di
pressione dai mille possibili risvolti?
Infine, in modo analogo specialmente in ambito economico si
muove nella misura che sappiamo anche la Cina , la quale «per esempio» ha già messo gli
occhi, e in qualche caso anche le mani, su quel delicatissimo ganglio del
sistema europeo degli approvvigionamenti di materie prime che sono i porti del
continente.
Da tutto quanto ho appena detto è difficile evitare di
trarre due conclusioni, perlomeno indiziarie. La prima è che sulle società
dell’Europa occidentale, in specie sulla loro vita pubblica, sta cominciando a
gravare l’ipoteca di un potenziale, ambiguo condizionamento esterno sempre più
vario e penetrante. La seconda concomitante conclusione è che nella stessa area
si è messo in moto — in parte consapevolmente voluto, in parte no — un processo
di erosione dal di dentro dell’intero sistema della sovranità, e dunque un
progressivo indebolimento della statualità.
Gli Stati di questa parte del
continente, insomma — ricchi oltre ogni misura di tutto: di saperi, di agi, di
fortune di ogni genere, di una qualità di vita eccezionale, quanto poveri però
di un particolare spirito combattivo — danno la crescente impressione di
costituire compagini fragilissime con cui gli stessi loro cittadini
s’identificano ben poco, e dunque alla fin fine accaparrabili da chiunque
disponga di decisione e mezzi nella misura necessaria.
E magari sappia anche
condurre le cose in maniera non traumatica.
Non si tratta di alcuna «guerra di civiltà» sia chiaro, è
tutta un’altra faccenda.
È semplicemente un problema di «pieno» e di «vuoto»,
di un «pieno» che tende a riempire un «vuoto». Nessuna «guerra di civiltà»,
dicevo. Ma a proposito di «pieno» e di «vuoto» è impossibile non considerare
che mentre dietro il «pieno» si stagliano i profili di due grandi tradizioni
teologico-politiche — quella dell’ortodossia russa della Terza Roma da un lato,
e quella dell’ Islam dall’altro — dietro il «vuoto», invece, c’è solo la
progressiva evanescenza della coscienza cristiana dell’Occidente europeo.
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