Nella vexata questio della Catalogna, ho notato con stupore che gli intellettuali a me più noti, come Vargas Llosa, o scrittori noti, come Arturo Perez Revert, sono fortemente ostili all'istanza indipendentista.
Però non avevo ancora letto parole nette e recise come quelle pronunciate da Javies Marias, altro importante rappresentante della cultura di quel paese, scrittore vincitore di molti premi letterari e in odore di nobel per la letteratura.
Naturalmente non posso essere sicuro della fondatezza delle sue affermazioni, però mi suonano, per la maggior parte almeno, con le informazioni radunate in queste settimane.
Sicuramente è impossibile guardare a quelli di Barcellona come a degli "oppressi", come per esempio i Curdi, per fare un esempio di referendum ostacolati di questi giorni.
E anche l'argomento caro ai catalani per cui si sarebbe arrivati a questo punto per la sordità di Madrid alle istanze di maggiore autonomia non convince : hanno una lingua loro, una polizia propria ( che non ha obbedito al governo centrale) ed un saldo fiscale che quelli della Padania sottoscriverebbero all'istante (Salvini parlava di una differenza negativa di 8 miliardi tra dato e ricevuto per la Catalogna, laddove la Lombardia veleggia sui 70...).
Allo stesso tempo la teoria dell'egoismo, il vero motore indipendentista per gli avversari, ha qualche lacuna , almeno sul piano razionale. Cosa assicura i catalani che, separandosi, conserverebbero il livello produttivo che hanno attualmente ?
Al di là del turismo, che va bene per Barcellona ma non per tutta la Catalogna, poi ci sono le imprese che hanno due importanti mercati per i loro prodotti : la Spagna, appunto, e l'Europa, dove accedono senza frontiere perché appartenenti ad una nazione che è membro dell'Unione.
Bene, se si separano, la Spagna intera, non solo la Castiglia, non comprerebbe più nemmeno un bottone dalla Catalogna, e l'Europa sarebbe un mercato tassato, non più free.
Queste cose i ragazzotti che sfilano magari non le sanno, ma i politici sì e quindi come la mettono ?
Pensano probabilmente che di fronte al fatto compiuto l'Europa cederebbe e col tempo anche col resto della Spagna la situazione si normalizzerebbe.
La frenata di ieri, con Puigdemont che "sospende" la dichiarazione di indipendenza fa pensare che i segnali avuti negli ultimi giorni non siano stati rassicuranti e che sia meglio trattare.
La soluzione federale in teoria sarebbe buona, ma più facile da enunciare che da praticare, come ben si è visto anche da noi.
Buona Lettura
EGOISTI E TOTALITARI L’INDIPENDENTISMO SI È
NUTRITO DI BUGIE
Andrea Nicastro
«L’ indipendentismo
catalano è un movimento totalitario per non dire quasi fascista. Si nutre di
bugie e nasce da esigenze egoistiche, sia tra i suoi sostenitori sia tra i
dirigenti politici. Andiamo incontro a giorni pericolosi. Fisicamente e
politicamente. E tutto questo grazie al signor Puigdemont e ai suoi amici».
Anche mentre parla
del fuoco che brucia la Spagna ,
Javier Marías cerca la parola affilata, senza paura. Non ha cellulare, non
risponde alle email, per carattere fugge dai riflettori, sceglie con puntiglio
anche i premi letterari da accettare. Forse è per questo, solo per questo
probabilmente, che non ha ancora vinto il Nobel per la Letteratura. Ama
la parola scritta, non quella parlata. Le interviste sono un supplizio per il
timore di essere frainteso o forse anche solo di veder imbruttita la sua prosa
fatta di frasi lunghissime. Questa volta, però, rischia. Il momento è troppo
importante per non far sentire anche la voce di uno dei più importanti
scrittori di Spagna.
Marías, lei ha
firmato tutti i manifesti degli intellettuali contro la «truffa del referendum»
e contro la «dichiarazione d’indipendenza anti democratica». Non ha proprio
alcuna simpatia per il secessionismo catalano?
«No, certamente no,
perché dovrei? Una parte della popolazione catalana è sempre stata
indipendentista, ma è una minoranza. Anche oggi è così».
Come facciamo a
saperlo se non c’è stato un referendum legale?
«Lo sappiamo da
tutte le votazioni con garanzie democratiche del passato. Persino due anni fa
alle elezioni catalane si sono contati. Il blocco separatista aveva presentato
il voto come un plebiscito pro o contro l’indipendenza e ha ottenuto il 48%.
Nonostante ciò hanno detto di avere una “chiara” maggioranza per andare avanti
con i loro propostiti. Se negano l’aritmetica, non si può parlare di nulla».
Perché dovrebbero
essere obbligati a rimanere spagnoli?
«Essere
indipendentista è una cosa legittima, ma questo blocco politico ha deciso che
la gente che non è d’accordo con loro semplicemente non conta. Così si sfocia
nella dittatura».
Nega anche il
«diritto a decidere» con cui i secessionisti chiedevano un referendum legale?
«Questo è un altro
trucco. La società catalana ha votato in 35-37 occasioni in questi decenni di
democrazia: elezioni regionali, nazionali, europee in tutta libertà. Non si può
accettare che una parte della popolazione decida di votare, poniamo, sulla
reintroduzione della schiavitù. Non esiste un diritto assoluto a votare. Ci
vuole una maggioranza che desideri esprimersi».
Che cosa deve fare
ora lo Stato spagnolo?
«A un certo punto si
dovrà far prevalere la legge, il diritto e la democrazia. Tutto ciò che stanno
facendo è anti democratico. Lo stesso Parlamento catalano ha annichilito lo
Statuto di autonomia pur di mandare avanti la secessione».
Si arriverà alle
manette?
«Se il governo
decidesse di arrestare Puigdemont in base alle leggi vigenti e se questo
scatenasse una sorta di insurrezione popolare, certo sarebbe grave.
Protesterebbero le frange più fanatiche, ma comunque centinaia di migliaia di
persone. Il mio desiderio è che non ci sia violenza».
Come si spiega
l’insofferenza di una regione tanto ricca?
«Sono ridicoli
quando parlano di popolo oppresso e umiliato, è un insulto per chi davvero
soffre. Per quanto mi consti, non ci sono altre aree del continente che abbiano
un grado di autogoverno comparabile. Anche la lingua catalana è protetta, ha
avuto tanti problemi con Franco, ma è finito quarant’anni fa».
Nessuna ragione,
quindi?
«Il motore
principale mi pare il calcolo politico dei dirigenti. C’è stata grande
corruzione in Spagna e anche i politici catalani sono finiti sotto accusa. Un
modo per evitare la galera è di fare una Repubblica dove la magistratura e la
stampa gli saranno favorevoli. È un’ipotesi azzardata, lo so».
Eppure a Barcellona
si vive l’entusiasmo di costruire un Paese «più giusto» rispetto a una Spagna
autoritaria.
«Non è vero, da sei
anni la Spagna
ha un governo di destra che a me non piace per nulla, ma non è autoritario. E
se anche fosse come dicono, non sarebbe una ragione sufficiente. Per otto anni
abbiamo avuto con Aznar un esecutivo uguale o peggiore dell’attuale, ma tra
Aznar e Rajoy abbiamo anche avuto otto anni di Zapatero che non era affatto
autoritario. È la democrazia, si vota e si cambia» .
Le tasse che chiede
Madrid, però, sono tante.
«Lo dice anche la Lega Nord in Italia
vero? Sono movimenti non solidali, pensano che Roma o Madrid li derubi. Ma il
problema è impostato in malo modo. Il contributo di Barcellona al bilancio del
Paese è alto perché è prospera, ma più tasse ancora arrivano da Madrid perché
più ricca. Per tutti vale il principio di solidarietà che questa gente non è
più disposta a condividere».
Si stanno
ripercorrendo i passi della Guerra Civile?
«Spero di no. Per
ora insulti e offese sono arrivati solo da parte dei catalani verso gli
spagnoli e non viceversa. Nell’ultima settimana, però, sono uscite tantissime
bandiere spagnole sui balconi. Un aneddoto, forse, ma brutto. Se il
nazionalismo spagnolo si svegliasse sarebbe pericoloso. E bisognerebbe
ringraziare il signor Puigdemont ».
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