Ho trovato molto interessante l'articolo del Post, quotidiano on line molto ben fatto, che riporta, a sua volta, il servizio dedicato da Il Pais, noto giornale spagnolo, ai "miti", falsi, dell'indipendentismo catalano.
Certo, Il Pais è dichiaratamente contrario però le argomentazioni suonano... Insomma a me hanno convinto.
Buona Lettura
Il País – che è
contrario all'indipendenza – ha smontato alcuni dei più diffusi slogan a
sostegno del referendum che si dovrebbe tenere domenica
Il País ha
elencato e smentito 10 falsi miti sul referendum
per l’indipendenza della Catalogna che dovrebbe tenersi domenica 1
ottobre: per esempio che la
Spagna rubi i soldi dei catalani, i quali sarebbero più
ricchi stando da soli, oppure che la Catalogna indipendente entrerà automaticamente
nell’Unione Europea. Il País – che finora ha preso una
posizione nettamente contraria al referendum, e vale la pena tenerlo a mente –
ha selezionato questi falsi miti dagli slogan e dalla retorica politica usati
dai leader indipendentisti catalani negli ultimi anni: alcuni si possono
considerare falsi miti non perché c’è la certezza che non si realizzeranno mai,
ma perché non c’è certezza che si realizzeranno, come invece sostengono i
favorevoli all’indipendenza. Inoltre, questi non sono naturalmente gli unici
argomenti dei favorevoli all’indipendenza della Catalogna.
1. La guerra del 1714 fu una guerra di secessione
Gli indipendentisti sostengono che la guerra di successione spagnola che fu combattuta all’inizio del Diciottesimo secolo fu in realtà una guerra di secessione della Catalogna dalla Spagna. Secondo questa interpretazione, la sconfitta dell’esercito catalano segnò la fine delle istituzioni autonome della Catalogna sperimentate durante l’Impero Carolingio e l’inizio di un periodo di sottomissione al potere spagnolo.
Le cose però non andarono così, ha scritto il País.
Gli indipendentisti sostengono che la guerra di successione spagnola che fu combattuta all’inizio del Diciottesimo secolo fu in realtà una guerra di secessione della Catalogna dalla Spagna. Secondo questa interpretazione, la sconfitta dell’esercito catalano segnò la fine delle istituzioni autonome della Catalogna sperimentate durante l’Impero Carolingio e l’inizio di un periodo di sottomissione al potere spagnolo.
Le cose però non andarono così, ha scritto il País.
Nel 1700, alla morte
di Carlo II, che era senza un diretto discendente, iniziò una guerra per la
corona di Spagna: si scontrarono Filippo V di Borbone (nipote del re Luigi XIV
di Francia) e l’arciduca Carlo VI d’Asburgo.
Fu una guerra europea che divenne anche una guerra civile: il regno di Castiglia appoggiava i Borbone, mentre il principato di Catalogna stava dalla parte degli Asburgo. Vinsero i Borbone e la Coronela, l’esercito catalano, fu sconfitto.
«Non fu una guerra di una nazione contro l’altra, né d’indipendenza, né di secessione, né patriottica», ha scritto il País, «e le vecchie leggi e antiche Costituzioni catalane furono usate da entrambe le parti come pretesti, slogan, esche e alibi».
Fu una guerra tra due case regnanti per ottenere il potere, e basta.
Fu una guerra europea che divenne anche una guerra civile: il regno di Castiglia appoggiava i Borbone, mentre il principato di Catalogna stava dalla parte degli Asburgo. Vinsero i Borbone e la Coronela, l’esercito catalano, fu sconfitto.
«Non fu una guerra di una nazione contro l’altra, né d’indipendenza, né di secessione, né patriottica», ha scritto il País, «e le vecchie leggi e antiche Costituzioni catalane furono usate da entrambe le parti come pretesti, slogan, esche e alibi».
Fu una guerra tra due case regnanti per ottenere il potere, e basta.
2. La
Costituzione del 1978 è ostile ai catalani
Gli indipendentisti catalani sostengono che sia necessario superarela Costituzione del
1978, ovvero la
Costituzione adottata in Spagna dopo la fine del periodo
storico conosciuto come franchismo, perché sarebbe a loro ostile; inoltre
vorrebbero cambiarla tramite una decisione appoggiata dal Parlamento catalano,
dove i partiti indipendentisti (Junts pel Sí e CUP) hanno la maggioranza dalle
elezioni del 2015.
Gli indipendentisti catalani sostengono che sia necessario superare
Il País sostiene
che ci siano diverse cose sbagliate e false riguardo a questo punto. Anzitutto
ci sarebbe un problema di rappresentatività nel modo tramite il quale gli
indipendentisti vorrebbero modificare la Costituzione : gli
indipendentisti nell’attuale Parlamento catalano sono stati votati da 1,9
milioni di persone, pari al 47,7 per cento del totale dei votanti;
la Costituzione del 1978
fu appoggiata da 2,7 milioni di catalani, pari al 91,09 per cento dei votanti. La Catalogna fu, insieme
all’Andalucía, la comunità autonoma spagnola ad appoggiare con la maggioranza
più ampia la Costituzione ,
alla cui scrittura parteciparono tra l’altro catalani molto importanti. Secondo
il País, inoltre, il testo votato non si può considerare in
nessun modo quello di uno “stato ostile” ai catalani, ma tipico di uno stato
profondamente decentralizzato.
3. La
Autonomia ha fallito
Gli indipendentisti sostengono che i quasi 40 anni di autogoverno – ovvero la decentralizzazione del potere disegnata conla Costituzione del 1978
– siano stati un fallimento; dicono che oggigiorno sarebbe in corso un nuovo
processo di centralizzazione del potere, e che quindi l’autonomia debba
essere trasformata in indipendenza.
Gli indipendentisti sostengono che i quasi 40 anni di autogoverno – ovvero la decentralizzazione del potere disegnata con
Il País sostiene
che non sia corretto parlare di fallimento. Nel 1979, un anno dopo l’adozione
della Costituzione, fu adottato un nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna
che tra le altre cose stabilì «un sistema di autogoverno senza precedenti nella
storia della Spagna»: fu recuperata la lingua catalana, il cui uso era stato
vietato durante il franchismo, si fecero passi avanti sulla corresponsabilità
fiscale e si ridistribuirono le competenze tra stato e comunità autonoma. Nel
2006 fu approvato un nuovo Statuto di Autonomia, che dava ulteriori poteri alla
Catalogna, anche se poi molte sue parti furono dichiarate incostituzionali dal
Tribunale costituzionale spagnolo con una sentenza molto contestata. Il País sostiene
che nonostante quella sentenza, e nonostante le diverse leggi
centralizzatrici introdotte dal Partito Popolare del primo ministro Mariano Rajoy
dal 2012 a
oggi, il grande livello di autogoverno delle comunità autonome spagnole sia una
cosa ormai consolidata: migliorabile, ma comunque notevole se comparato con
altri stati del mondo.
4. La
Spagna è uno stato autoritario
Gli indipendentisti hanno accusato in diverse occasioni il governo spagnolo di comportarsi in modo autoritario: l’ultima volta è successo meno di una settimana fa, dopo le perquisizioni e gli arresti effettuati dalla Guardia civile spagnola negli edifici del governo catalano a Barcellona, accusato di continuare a organizzare il referendum sull’indipendenza nonostante fosse stato definito illegale dal Tribunale costituzionale spagnolo. L’account Twitter del governo catalano aveva scritto cose tipo: «I cittadini sono convocati per l’1 ottobre per difendere la democrazia da un regime repressivo e intimidatorio»; oppure: «Pensiamo che il governo spagnolo abbia oltrepassato la linea rossa che lo separava dai regimi autoritari e repressivi».
Gli indipendentisti hanno accusato in diverse occasioni il governo spagnolo di comportarsi in modo autoritario: l’ultima volta è successo meno di una settimana fa, dopo le perquisizioni e gli arresti effettuati dalla Guardia civile spagnola negli edifici del governo catalano a Barcellona, accusato di continuare a organizzare il referendum sull’indipendenza nonostante fosse stato definito illegale dal Tribunale costituzionale spagnolo. L’account Twitter del governo catalano aveva scritto cose tipo: «I cittadini sono convocati per l’1 ottobre per difendere la democrazia da un regime repressivo e intimidatorio»; oppure: «Pensiamo che il governo spagnolo abbia oltrepassato la linea rossa che lo separava dai regimi autoritari e repressivi».
Come scrive il País,
non c’è ragione di pensare che la
Spagna non sia uno stato democratico. In Spagna esistono lo
stato di diritto e la separazione dei poteri; il paese fa parte di tutte
le convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti umani e le libertà
politiche delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea; Freedom House ha dato un
punteggio di 95/100 al rispetto dei diritti civili e politici in Spagna, lo
stesso dato attribuito alla Germania. Né il governo catalano né uno dei gruppi
indipendentisti della regione hanno mai fatto ricorso a tribunali
internazionali per denunciare delle violazioni dei diritti, né tantomeno lo
stato spagnolo è mai stato condannato per questo tipo di violazioni.
5. La Spagna
ci ruba i soldi
L’idea chela Spagna
“ruba” i soldi della Catalogna, sostanzialmente ridando indietro molti meno
soldi di quelli che riceve, risale al 2012, quando fu diffusa dal governo
dell’indipendentista Artur Mas. Allora si disse che la Catalogna contribuiva
con 16,4 miliardi di euro al bilancio della Spagna, cioè l’8,4 per cento del
PIL catalano: troppo, sostenevano gli indipendentisti.
L’idea che
In realtà i numeri
diffusi dal governo catalano, scrive il País, si sono poi
dimostrati più bassi, soprattutto dopo la crisi economica: non così lontani
dalle percentuali trasferite in media da altri territori prosperi verso i
governi centrali a capo dei loro stati federali, e nemmeno così lontano dalle
stesse proposte catalane. In alcuni periodi storici il contributo della
Catalogna al PIL spagnolo è stato anche più basso di quello di altre regioni
della Spagna: per esempio, secondo i dati ufficiali diffusi dal
governo spagnolo, nel 2014 la
Catalogna è stata la seconda comunità autonoma
contribuente netta (con il 5 per cento del suo PIL) dietro a Madrid (9,8 per
cento). C’è anche da tenere conto che calcolare con precisione
quanto torni indietro indirettamente a una regione che ha
versato un contributo allo Stato è molto difficile: questo perché per
esempio le tasse catalane finanziano il governo centrale, i ministeri e il
Parlamento che legiferano anche per la Catalogna , oltre che l’esercito che
protegge l’intero paese. Quantificare questa somma di denaro non è per
niente facile.
6. Da soli saremo più ricchi
Gli indipendentisti catalani sostengono che da soli, quindi staccati dalla Spagna, sarebbero più ricchi.
Già oggila Catalogna è una delle comunità autonome più
ricche del paese, insieme a Madrid, Paesi Baschi e Baleari, e ha un PIL
pro-capite simile a quello di alcune tra le regioni più avanzate d’Europa.
Una Catalogna indipendente aumenterebbe il suo PIL e migliorerebbe i suoi servizi pensionistici e sociali, sostengono gli indipendentisti.
Gli indipendentisti catalani sostengono che da soli, quindi staccati dalla Spagna, sarebbero più ricchi.
Già oggi
Una Catalogna indipendente aumenterebbe il suo PIL e migliorerebbe i suoi servizi pensionistici e sociali, sostengono gli indipendentisti.
Il problema, scrive
il País, è che questa interpretazione minimizza i costi che
deriverebbero dall’indipendenza: «la perdita delle sinergie economiche e degli
stimoli intellettuali ottenuti dal fatto di appartenere all’ampio spazio
economico europeo» sono difficilmente quantificabili, ma dovrebbero essere
presi in considerazione. Il ministero dell’Economia spagnolo ha stimato
che l’eventuale secessione ridurrebbe il PIL catalano di una cifra compresa tra
il 25 e il 30 per cento rispetto a quello attuale; uno studio del ministero
degli Esteri, meno catastrofico, parla di un calo del 19 per cento del PIL. Non
è comunque possibile dire cose certe su questo tema.
7. Abbiamo diritto a separarci
Nella “Ley del referéndum de autodeterminación vinculante sobre la independencia de Cataluña”, cioè la legge approvata il 6 settembre dal Parlamento catalano che regola il referendum, c’è scritto chela Catalogna ha il «diritto
imprescrittibile e inalienabile all’autodeterminazione», in senso «favorevole
all’indipendenza». Non è proprio così.
Nella “Ley del referéndum de autodeterminación vinculante sobre la independencia de Cataluña”, cioè la legge approvata il 6 settembre dal Parlamento catalano che regola il referendum, c’è scritto che
È vero che il
diritto internazionale riconosce il principio di autodeterminazione dei popoli,
ma non inteso come diritto alla secessione, quanto piuttosto diritto del
popolo, o di una parte di esso, a essere cittadino e potersi realizzare
politicamente, a partecipare alla vita democratica delle istituzioni del
proprio paese. Il diritto alla secessione viene riconosciuto solo in alcuni
specifici casi, per esempio dove c’è un dominio coloniale, un’occupazione
militare di una forza straniera e dove vengono compiute gravi e sistematiche
violazioni dei diritti umani. Nel resto dei casi il diritto internazionale fa
prevalere la “garanzia del confine”, ovvero l’integrità territoriale dello
stato, sulle esigenze di autodeterminazione.
Ci sarebbe anche la possibilità di organizzare direttamente un referendum, ma il voto dovrebbe essere organizzato dal governo spagnolo e il risultato non sarebbe comunque vincolante (si parlerebbe di un referendum consultivo).
8. Non usciremo dall’Unione Europea
Gli indipendentisti sostengono che
Come ha scritto
il País, dal 2004
a oggi tutti i presidenti della Commissione europea –
Romano Prodi, Jose Manuel Barroso e Jean-Claude Juncker – hanno sostenuto il
contrario: se un territorio di uno stato membro smette di esserne parte, perché
diventa indipendente, i trattati dell’Unione Europea non potranno continuare ad
essere applicati automaticamente a questa parte di territorio. Se vorrà
diventare membro dell’Unione Europea, il nuovo stato dovrà fare formale
richiesta, secondo quanto prevede l’articolo 49 del Trattato sull’Unione
Europea: significa che la sua candidatura dovrà essere accettata da tutti gli
attuali stati membri, quindi anche dalla Spagna, che però potrebbe non essere
d’accordo in caso di dichiarazione unilaterale di indipendenza della Catalogna.
C’è poi un’altra
questione. Per come è fatto oggi il sistema internazionale, uno stato per
essere tale deve avere un ampio riconoscimento internazionale (un’entità può
definirsi stato in maniera unilaterale, ma se non viene riconosciuto dagli
altri non può avviare relazioni diplomatiche, non può entrare a far parte
di grandi trattati internazionali, e così via). Come disse lo scorso 25 marzo
Artur Mas, ex presidente catalano, «se non ti riconosce nessuno, le
indipendenze sono un disastro». Un passaggio fondamentale per ottenere questo
riconoscimento è l’ONU. Per ammettere un nuovo stato nell’ONU, questo deve
essere raccomandato dal Consiglio di Sicurezza, dove ci sono cinque stati con poteri
di veto tra cui la Francia ,
che non sembra troppo incline a favorire spinte separatiste in un altro
paese europeo. La candidatura deve poi essere approvata dai due terzi
dell’Assemblea generale, organo che rappresenta tutti gli stati membri dell’ONU.
È difficile dire come potrebbe finire tutto questo, visto che ci sono altri
stati europei che sono soggetti a spinte indipendentiste e che probabilmente si
opporrebbero a un riconoscimento della Catalogna indipendente, per non
alimentare gli autonomismi o indipendentismi locali.
9. Il referendum dell’1 ottobre è legale
Il governo catalano sostiene che il referendum dell’1 ottobre sia legale e il vicepresidente catalano Oriol Junqueras ha aggiunto che non è contrario al Codice penale.
Ma non è vero, dice il País.
Il País aggiunge
anche un’altra cosa: sostiene che le due leggi approvate dal Parlamento
catalano per realizzare il referendum – quella del 6 settembre e un’altra
dell’8 settembre – siano illegali, anzitutto per questioni procedurali:
sono state votate dal Parlamento catalano senza la maggioranza dei due terzi
richiesta per la modifica dello Statuto di Autonomia della Catalogna, e senza
avere ottenuto il parere preventivo del Consell de Garanties Estatutàries, il
tribunale costituzionale della Catalogna, l’organo che controlla la legalità
delle leggi approvate dalla comunità autonoma. La Ley del referéndum sarebbe
illegale anche per il suo contenuto: una legge ordinaria non può infatti
autoproclamare che «prevale gerarchicamente» sullo Statuto di Autonomia e sulla
Costituzione, e non può stabilire un’autorità elettorale con la
sola maggioranza assoluta.
10. Votare è sempre democratico
Uno degli slogan usati nella campagna degli indipendentisti è: «Referendum è democrazia», ma non esiste alcun automatismo che leghi questi due concetti.
Uno degli slogan usati nella campagna degli indipendentisti è: «Referendum è democrazia», ma non esiste alcun automatismo che leghi questi due concetti.
Il referendum è
stato ampiamente usato in passato dai regimi autoritari, tra cui quello di
Franco in Spagna, che nel dicembre 1966 ne fece ricorso per approvare l’allora
nuova Costituzione. Inoltre nel programma elettorale di Junts pel Sí, la
coalizione al governo in Catalogna, non si parlava di referendum per
l’indipendenza: non ci sarebbe nemmeno un mandato elettorale su cui fare leva.
Affinché un referendum sia democratico, scrive il País, deve
tenersi in un paese democratico rispettando le norme costituzionali di quello
stato: una cosa che non sta avvenendo con il referendum sull’indipendenza
catalana.
Ciao signore e signora
RispondiEliminaL'onestà e la sincerità sono le due cose che mancano sui siti. Sono Simon Durochefort un creditore francese. Sono di nazionalità francese. Offro prestiti a persone serie che possono ripagarmi con un tasso di interesse del 3% all'anno. I miei termini di prestito sono molto chiari e semplici. Grazie per avermi contattato per ulteriori informazioni: simondurochefort@gmail.com