Scontro frontale, e del tutto sorprendente, quello scagliato
dal PD renziano contro Visco, governatore uscente – ma fino a ieri in aria di
riconferma – di Bankitalia.
Quando si dice che la forma è sostanza, si pensa proprio a
cose come questa.
In fondo, che Visco sia un personaggio contro il quale si
possano porre obiezioni quantomeno di poca efficienza, con tutti i casini delle
banche italiane di questi anni, ci sta eccome.
E probabilmente, approfittando della fine del mandato, non
era e non è sbagliata l’idea di dare un segno di discontinuità, senza però
grida e polveroni.
Al Quirinale però non la pensavano/pensano così e nemmeno
Padoan, il ministro più importante del governo. Visco andava confermato. Toccava rassegnarsi no ?
No, renzino può pure fare corsi di Yoga e di autocontrollo
quanto vuole, ma poi quello che è resta : un presuntuoso arrogante, che dialoga
per poi fare di testa sua.
E sceglie strade improbabili, come questa inedita mozione parlamentare, laddove la nomina del Governatore è faccenda tra Quirinale e Palazzo Chigi. Un vero conflitto istituzionale.
Ma del resto, l'uomo è questo.
Dicono che l'abbia fatto per ragioni elettorali, per far vedere che lui non c'entra nulla coi poteri forti, e non guarda in faccia nessuno.
E infatti...Guardate chi è stato inserito nella commissione d'inchiesta sulle banche : Francesco Bonifazi.
Chi è costui, si chiederanno i fortunati ... Ce lo spiega Mattia Feltri : " fiorentino, quarantuno anni, tesoriere
del Partito democratico, è amico di vecchia data di Maria Elena Boschi con la
quale lavorò, nel decennio scorso, allo studio dell’avvocato Tombari. Maria
Elena Boschi è figlia di Pier Luigi Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria,
ora fallita, e per il cui fallimento sono stati chiesti 576 milioni di
risarcimento, quindici dei quali (quasi sedici) al medesimo Pier Luigi Boschi.
Bonifazi a Firenze ha uno studio legale di cui è socio Emanuele Boschi,
fratello di Maria Elena e pertanto figlio di Pier Luigi.
Dunque, se vi foste persi per strada, Bonifazi indagherà sul padre del
socio, nonché padre dell’amica e compagna di partito "
Questo è renzi. Gli altri non sono meglio, anzi, direte.
E magari avete pure ragione.
Ma questo, converrete con me, vuol dire che siamo messi male male...
Gentiloni all’oscuro E Padoan: «Dimmi che non è vero»
di Francesco Verderami
L’ hanno visto furibondo, attaccarsi al telefono e urlare
con Gentiloni: «Dimmi che non è vero». Abituato ai ritmi e ai riti del Fondo
monetario, nonostante gli anni passati sull’ottovolante accanto a Renzi, il
ministro dell’Economia non ci voleva credere: «Non ci credo, Paolo, non ci
credo».
Padoan aveva trovato il premier già impegnato ad attutire
l’effetto deflagrante della mozione con cui il segretario del Pd stava tentando
alla Camera di affossare Visco. Nemmeno il capo del governo ci credeva: era
stato tenuto all’oscuro di tutto. E come Palazzo Chigi, erano stati colti in
contropiede anche il Colle, Bankitalia, l’Eurotower e persino Berlusconi.
Tutti d’altronde, nei giorni scorsi, si erano ritrovati
concordi nel voler procedere alla riconferma di Visco a Palazzo Koch. Al punto
che il presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche, Casini, attendeva
l’ufficialità del rinnovo prima di procedere con le audizioni. Può darsi che la
mossa di Renzi fosse dettata dall’obiettivo di rompere in pubblico un accordo
che — come sempre accade — era stato costruito nella riservatezza. Può darsi
che così volesse spezzare l’accerchiamento su un nome contro il quale si era
speso. Può darsi davvero che nel governo solo il sottosegretario Boschi sapesse
dell’iniziativa...
Sta di fatto che, resosi conto dell’operazione, il primo
atto di Gentiloni era stato chiamare Mattarella, a cui spetta peraltro la
nomina del governatore su proposta del Consiglio dei ministri.
Il muro alzato
dal Quirinale a fronte della mozione del Pd non lasciava adito a
fraintendimenti: nessuna rabberciata correzione del testo parlamentare avrebbe
fatto cambiare idea al capo dello Stato. Semmai il blitz avrebbe finito per
evocare — nelle febbrili conversazioni che si sarebbero succedute a stretto
giro tra istituzioni nazionali e internazionali — lo spettro degli attacchi di
Andreotti a Baffi e Sarcinelli.
Il ricordo di quel drammatico passaggio, superato il senso
di stupore collettivo, motivava una risposta immediata e altrettanto
collettiva: «Bankitalia non si tocca».
Anche perché il fatto che fosse stato il
partito di governo a muovere contro il governatore, esponeva sui mercati il
sistema italiano, di per sé fragile. Perciò l’atteggiamento era ritenuto
«irresponsabile», l’«ennesimo tentativo» di vendicarsi per l’ affaire Banca
Etruria. «Ennesimo» siccome il primo era stato la nascita della Commissione
d’inchiesta, voluta da Renzi malgrado il Quirinale — a più riprese — lo avesse
esortato a non procedere.
Il punto è che il segretario del Pd è stanco di dover pagare
il conto, «di vedere scaricati su di me e sul governo che ho presieduto i
problemi bancari nati molti anni prima, sul finire dello scorso decennio,
quando le banche andarono fuori dai parametri senza che le autorità
intervenissero». Un’accusa pesante che mira a Visco e va anche oltre. «Sta a
vedere che finiremo per rompere le scatole pure a chi sta salvando l’Italia»,
disse in quel frangente il centrista Cicchitto, alludendo a Draghi. Nel tempo,
la natura e la portata politica della Commissione d’inchiesta avevano perso
l’impatto iniziale. La scelta di Casini come presidente della bicamerale era
stato un chiaro segnale di appeasement .
Ieri invece la fiammata, il «colpo al santuario», come il
leader del Pd definisce Bankitalia. Una posizione che a suo giudizio lo allinea
al sentimento popolare e che annuncia una campagna elettorale aggressiva: «Se
Gentiloni vuole riconfermare Visco faccia pure». È l’estremo tentativo di
togliersi una scomoda etichetta. Perché nell’immaginario collettivo le banche
sono il tallone d’Achille di Renzi, come le tv lo erano per Berlusconi. Una
condizione che l’ex premier considera «ingiusta e insopportabile».
Ma il blitz ha un costo, mostra il leader democrat isolato
rispetto ai vertici istituzionali. E il rischio che l’ establishment
internazionale — dalle cancellerie europee fino all’Eurotower — lo consideri
inaffidabile, può segnare la sua corsa verso le urne.
«Quando si tocca
l’impianto elettrico è prudente assicurarsi di togliere prima la corrente»,
commentava ieri il leghista Giorgetti, che pure non lesina critiche a Visco. Il
problema per Renzi non è se il governatore verrà confermato, il problema è come
gli ha mosso guerra.
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