Scorrevo l'articolo su Repubblica scritto da Guido Crainz a commento del rapporto Censis per l'anno in corso. Affrontava l'argomento di COME gli italiani stiano reagendo alla crisi ed emergerebbero dati contraddittori (il che non è poi strano : noi esseri umani SIAMO contraddittori ) : da un lato una certa inerzia, non ancora rassegnazione , la protesta, soprattutto tra i giovani, è montante, dall'altra l'adozione di strategie vecchie e nuove per resistere. Insomma, iniziativa poca, però si cerca di tenere botta, attraverso tre strumenti principali : Risparmio, Rinuncia, Rinvio.
Nessuna di queste tre cose è di per sé negativa, anche se la parola "rinuncia" è qualcosa che nella società dei consumi e dell'edonismo suona come una malattia. Però certo non sono cose propedeutiche alla ripartenza di un'economia, che infatti langue.
Sul risparmio poi mi sa che bisogna intendersi...secondo me per risparmio non s'intende la predisposizione nota degli italiani, nati durante la guerra e subito dopo, a risparmiare per poi acquistare cose importanti. Questa caratteristica è andata persa specie con la generazione dei nati negli anni 70. Credo il Risparmio sia quello al quale, in questi due anni si è largamente ATTINTO per sopperire alle difficoltà crescenti, per pagare tasse più elevate e nuove, aiutare i figli in difficoltà...
Leggo che la gente si vende i gioielli di famiglia, "l'oro" , risparmiato appunto, o lasciato in eredità dai propri genitori e nonni : beni rifugio che uno non pensava mai di dover toccare.
Comunque, gli italiani sono arrabbiati, preoccupati ma non ancora furibondi, perché sperano che "finirà".
Come, perché ? Qualcuno ricorda il bellissimo film "Shakespeare in Love "? L'impresario , il bravissimo Geoffrey Rush, di fronte agli infiniti problemi (mancanza di soldi, attori che non ci sono, William che non finisce l'opera e i mille altri che accompagnano e precedono la messa in scena ) rassicura sempre il suo interlocutore dicendo che alla fine "tutto andrà a posto " e alla domanda, ovvia, "in che modo ? " la risposta disarmante è "Non si sa, è UN MISTERO ".
Ecco, gli italiani sperano che alla fine le cose si risolveranno, e tutto tornerà come prima. Chi ci deve pensare ? ma lo Stato ! chi se no ?
Ecco l'articolo di Crainz
Buona Lettura
“Tra risparmio e rinuncia ecco l’Italia del Censis”
COS’È accaduto al
Paese in un anno, come quello che si va a concludere, dominato dal “problema
della sopravvivenza”? Come ha reagito a una crisi “perfida”, alimentata da
“fenomeni enormi” (dalla speculazione internazionale alle difficoltà
dell’Europa)? Ma anche da “eventi estremi” (le dinamiche dello spread e il
pericolo di default) e da una progressiva crisi della sovranità, non solo in
Italia? Queste domande scandiscono fin dall’inizio il rapporto annuale del
Censis, e vi è sullo sfondo la consapevolezza delle drammatiche condizioni di partenza:
occorre “guardarci dentro con severità”, aveva annotato il rapporto del 2011,
per porre fine al “disastro antropologico” degli ultimi anni, ad una lunga
confusione ed impotenza di governo, e ad un deperire che ha riguardato sia la
nostra realtà che la nostra immagine internazionale. Aveva poi aggiunto,
evocando l’insediamento appena avvenuto del governo Monti: sul piano politico e
istituzionale qualcosa si è mosso, occorre ora prestare attenzione alle
dinamiche sociali di un Paese che appare stanco, quasi incapace di “desiderio”.
Oggi il Censis pone al centro non tanto l’assenza di
reazioni istituzionali e sociali di fronte ai “tempi cattivi” quanto la
divaricazione fra questi due livelli. La distanza cioè fra la strategia di
rigore del governo – non puramente “tecnica” ma anche “politicamente
straordinaria” – e le “affannose strategie di sopravvivenza” dei cittadini, non
coinvolti sino in fondo dall’operare delle istituzioni. L’agire politico, in
altri termini, “non ha avuto lo spessore per generare forza psichica
collettiva”, e “non è scattata la magia dello sviluppo fatto da governo e
popolo”: ma senza questa “magia” è difficile immaginare una vera ripresa. Ed è
difficile scongiurare gli opposti e speculari rischi del “maturare di poteri
oligarchici” e di un populismo gonfio di rancore.
A confermare la necessità di un’inversione di tendenza
concorrono i dati sulla percezione della crisi e delle sue cause: con la
corruzione politica al primissimo posto, seguita a distanza sia dal debito e
dagli sprechi pubblici sia dall’evasione fiscale (e meno diffuse sembrano poi
essere le pulsioni anti-europee). Né lo “slittamento etico” coinvolge solo i
partiti, ma sembra progressivamente allargarsi a parti crescenti del corpo
sociale.
Di fronte alla crisi, infine – e alla crisi della politica – la rabbia
sembra il sentimento prevalente, mentre paura e senso di frustrazione appaiono
più diffusi della volontà di reagire (pur nel crescere di forme di protesta,
soprattutto fra i giovani).
Si passi poi dalla percezione della crisi ai dati reali, e
si scorrano quindi le cifre relative alle divaricazioni sociali e
all’impoverimento complessivo, con un reddito medio della famiglie sceso negli
ultimi anni sino ai livelli del 1993. Con pesanti segnali di “smottamento” dei
ceti medi, particolarmente accentuati nelle fasce più giovani. Con preoccupanti
indicatori generali, relativi alle dinamiche e alla qualità dei consumi, e con
alcuni squarci più specifici (negli ultimi due anni, ad esempio, quasi due
milioni e mezzo di famiglie hanno venduto oro e altri oggetti preziosi).
Eppure la crisi ha segnato in profondità il Paese ma non lo
ha piegato. Qui – secondo tradizione e vocazione – lo sguardo del Censis si
rivolge più decisamente alla società e tenta di scandagliarne più da presso i
comportamenti, le pulsioni, le opzioni.
E registra così le “tre R”, risparmio,
rinuncia, rinvio, ma non anche la quarta, e cioè rassegnazione. Nel sobbollire
di elementi negativi, osserva infatti il rapporto, “i tempi cattivi avrebbero
potuto diventare pessimi” se non fossero intervenute dinamiche sociali
significative, “spinte di sopravvivenza” articolate e differenziate: esse
rinviano da un lato a tratti precedenti della nostra storia (dal ruolo della
famiglia alle solidarietà sociali e territoriali), e dall’altro alla capacità
di sperimentare in modo flessibile e intelligente vie nuove, di trovare
posizioni e collocazioni inedite. Con una crescente propensione alla dimensione
internazionale sia sul terreno degli studi che su quello del lavoro. E con il
modificarsi dei percorsi formativi – in rapporto stretto con le dinamiche
dell’occupazione – o delle strategie micro-economiche ed economiche messe in
atto.
Su questo terreno il Censis sembra talora intrecciare gli
auspici e le speranze alle analisi disincantate, ma appare però convincente
l’asse generale del rapporto. Risulta fondata, in altri termini, la preoccupata
sottolineatura della divaricazione fra l’agire delle istituzioni e un Paese
seriamente provato ma ancora capace di reagire. Ed è fondatissima l’esigenza di
tenere insieme “il rigore istituzionale e la popolare voglia di sopravvivenza”.
La riflessione sulle politiche messe in atto e su quelle da mettere in cantiere
non può che partire da qui.
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