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martedì 6 maggio 2014

RENZINO NON REGGE LE CRITICHE E LA BUTTA IN CACIARA


La sensazione è che Renzino si stia innervosendo, sia per le critiche che gli arrivano da un po' tutte le parti - sindacati, opposizione, alleati di governo e fuoco "amico" del PD - sia per l'obiettivo intoppo delle sue riforme, tutte piuttosto impaludate. Questa cosa non può andar bene a chi ha vestito i panni di Jago giustificando la defenestrazione del compagno di partito - che tuttora lo schifa come un monatto - colpevole di procedere troppo lentamente. Italicum, Senato, Job's act, tutte riforme decantate come "fatte" e nessuna è legge. Per carità, non sono cose semplici, ma le bozze che girano non mostrano chiarezza di idee. I compromessi in politica sono spesso necessari, ma da noi diventano troppo spesso pastrocchi dannosi.
La legge elettorale al momento è congelata, ma si sa che non verrà lasciata allo stato attuale, per la riforma del Senato, tra un po' ci saranno più proposte che senatori , e il Job's Act qualcuno dei sindacati lo ha ribatezzato il "Job's Ghost (Fantasma) ". 
Già, i sindacati. Mai c'era stato un segretario del più importante partito della sinistra  che non si era recato al congresso della CGIL. La Camusso fa sapere che se ne farà una ragione ( e già che lo dice, manifesta il tasso acuto di rodimento), che del resto non è la prima volta che un premier diserta il conclave. Vero, peccato che il precedente sia costituito da Berlusconi, un'assenza abbastanza scontata e pertanto ben meno eclatante.  Personalmente, faccio parte dei milioni di italiani che, da tempo , pensano che i sindacati siano più un costo che un beneficio e questo per una loro politica conservatrice, sempre tesa a cercare di piegare la realtà ai desideri. Lo scriveva benissimo non troppo tempo fa Edmondo Berselli ( alcuni dei suoi pensieri in merito li trovate nel link http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2011/11/il-sindacato-che-spedisce-la-classe.html ), che certo non era un liberista (il realtà auspicava per l' Italia il "Mercato Sociale " vigente in Germania).
E quindi per me è musica sentire finalmente un Presidente del Consiglio dire che ascolterà le parti sociali, ma non "concerterà" con loro. Grande offesa per chi ha un certo punto si è convinto che il suo ruolo non era quello di rappresentare istanze ma di co-governare.
Ciò posto, credo abbia ragione Antonio Polito che spiega nel suo articolo odierno come, nel difendersi dalle critiche, Renzino si mostri troppo permaloso (oddio, lo è, e quindi ha   difficoltà a tenere a bada la propria natura ,come un po' tutti ) e nel rispondere degeneri. Osserva l'opinionista come l'Uomo e i suoi non si limitino mai a rispondere nel merito delle critiche, ma si impegnino sempre a denigrare in qualche modo chi le formula. 
Per carità, sicuramente ha ragione il Presidente del Consiglio a dire che le varie corporazioni difendono a denti stretti i loro privilegi - e i sindacati ne hanno eccome ! - però non è che puoi limitarti a questo, anche perché non entrando nel merito delle contestazioni ma buttandola come si dice a Roma "in caciara", fai pensare che ti sensi debole sulla sostanza delle cose.
O peggio, che proprio non ti garba essere contrastato, il che farebbe pensare che hai sbagliato mestiere. 
Ha perso serenità il Toscano, eppure i sondaggi dovrebbero ridargli un po' di sorriso...


Lo stile di Renzi e la denigrazione
Questione di sostanza, non di galateo
 
  Per molti italiani, e non da oggi, il sindacato è effettivamente un fattore di conservazione sociale e di freno al cambiamento. Solo per pochissimi italiani, invece, il signor Piero Pelù merita di essere preso sul serio quando si abbandona alle sue elucubrazioni storico-politiche, soprattutto quando ha un libro in uscita. Eppure, nonostante ciò, a nessuno dovrebbe piacere il modo in cui il presidente del Consiglio e i suoi infaticabili ventriloqui hanno di recente zittito l’uno e l’altro. C’è infatti nello stile polemico di Renzi qualcosa che inquieta perché travalica la questione di stile: un ricorso troppo frequente alla denigrazione. Fateci caso: chiunque muova critiche al governo viene additato come portatore di un interesse personale e poco nobile che spiegherebbe la vera ragione del suo dissenso.La Cgil parla contro il decreto sul lavoro perché gli è stato tagliato il monte ore dei permessi sindacali; il cantante dal palco del Primo Maggio rompe perché ha perso un incarico retribuito a Firenze; i funzionari del Senato, che per dovere d’ufficio devono dare un parere sui decreti, dichiarano i loro dubbi sul bonus di 80 euro solo per vendicarsi della imminente riforma del Senato. E via dicendo. A tutti viene di solito rinfacciato che per il loro lavoro ricevono un compenso, come se fosse un’aggravante.
C’è un’infinità di critiche politiche motivate e spesso giuste che possono essere rivolte ai critici di Renzi (basti pensare ai danni prodotti dal conservatorismo costituzionale). Ma invece di impegnarsi sul terreno della discussione trasparente e nel merito, che accetta la buona fede dell’avversario, sempre più spesso si ricorre a quella che gli americani chiamano character assassination , la denigrazione pubblica: in pratica una forma di gogna mediatica che offre a una piazza sempre più incattivita un capro espiatorio con cui prendersela.
E non è solo una questione di bon ton: il dilagare di questo stile, che a dire il vero non ha inventato Renzi ma che Renzi sta sublimando, rischia infatti di restringere quella che Habermas ha chiamato la «sfera pubblica», e cioè l’ambito in cui gli individui possono esercitare la loro critica contro il potere dello Stato. In un’epoca in cui i Parlamenti non contano più molto, e l’unico vero dibattito pubblico si svolge sui media, l’esito è un impoverimento della qualità della democrazia, che per essere tale ha bisogno di una cittadinanza attiva, informata e vociferante.
Se infatti chiunque dica la sua, magari anche in nome di interessi corporativi o di categoria (come è spesso nel caso dei sindacati, compresi quelli dei giudici e dei prefetti), viene dichiarato non attendibile perché sta solo difendendo un privilegio personale, il nuovo potere è legittimato a non ascoltare più il dissenso, ergendosi a unico e infastidito interprete della «volontà generale».
Non è proprio il modo in cui funzionano le società aperte e liberali. È piuttosto un corto circuito che abbiamo visto spesso all’opera nelle rivoluzioni. Ci auguriamo che non sia a questo che si riferisce il premier quando dice che sta facendo «una rivoluzione» .

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