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mercoledì 30 maggio 2018

A SERGE', MA CHE TE SEI OFFESO ??...

Risultati immagini per debito pubblico italiano 2018

La gente si è infiammata parecchio attorno a questo scontro tra Quirinale e i Legastellati, e i toni del confronto, anche tra amici, è pericolosamente teso. 
Avveniva anche ai tempi del cavaliere, tra berlusconiani e anti, ma allora il confronto era raro : i due mondi erano sostanzialmente divisi, non comunicavano tra loro di persona. Il contatto era virtuale, quasi mai fisico.
Nei salotti di sinistra e dintorni, la gente di destra non entrava e se lo faceva aveva la discrezione di tacere, per evitare casini (a casa d'altri, è buona regola rispettare le regole del bon ton e pazienza se questo scrupolo non se lo pongono i padroni di casa, come purtroppo avveniva non infrequentemente) , e viceversa.
Il risultato è che i due mondi non si capivano, e quando erano quelli di destra a prevalere (in 20 anni in realtà si sono alternati in modo paritario, ancorché le vittorie del Cav fossero più nette, quando si realizzavano, e infatti Prodi, pur vittorioso nel 1996 e nel 2006, ha avuto  legislature brevi )  gli altri si interrogavano, arrabbiati e angosciati, sulla disgrazia che gli era toccata di vivere in un paese siffatto.
Poco male, ripeto, perché i cenacoli erano tra consenzienti : tutti a darsi ragione (un po' scemi ? forse, ma poco dai...). 
Con i grillini è diverso, perché tanti di loro erano di sinistra, gente che ha votato i partiti variamente coniugati a gauche, e quindi il contatto può capitare, anzi capita.
E non è piacevole, perché i toni si scaldano subito (del resto, anche all'interno del pd, tra renziani e non, non è che sia un ballo di gala...). 
Personalmente, guardo alla cosa con uno strano distacco.
Sento che mi importa poco, eppure la situazione e grave, come la burrasca di borsa e spread sta lì a dimostrare. 
Mi interrogo sul perché e, al solito, la risposta non è univoca.
Sicuramente sono rassegnato, da liberale.
Il nostro non è stato, non è e non sarà mai un paese liberale. Non lo possiamo essere per motivi storici e sociali, oserei dire antropologici.
L' idea che lo Stato abbia un ruolo di divinità salvifica, che tutto deve prevedere e provvedere, è troppo radicata in Europa in generale e nei paesi meridionali in particolare.
Senso di responsabilità individuale, scarso, fiducia nel merito, meno ancora.
Di qui la lievitazione del welfare, dello stato assistenziale, del tutto gratis a tutti. Chi paga tutto questo ? ma lo Stato ovvio !! E con quali soldi ? E che ce frega, li trovi : facesse paga le tasse ai ricchi ( e quindi non a noi, e chissene se noi siamo il 90% della popolazione, ancorché la cosa dovrebbe far dubitare che una persona possa farsi carico del costo di altre nove...) , oppure se li fa prestare. E infatti lo Stato questo fa, e così facendo siamo arrivati ad avere un debito superiore di oltre il  30% dell'intero prodotto nazionale : 137%. 
La rivoluzione giallo verde cosa prevede al riguardo ? Ma più debito ovvio !! E con maggiore presenza dello Stato nell'economia e in generale nella vita dei sudditi, pardon, cittadini. 
Quindi, l'Italia non è un paese comunista, e meno male, ma non è e non sarà mai un paese decentemente liberale. Ormai lo so e amen.
Ovviamente la rassegnazione non è di grande stimolo a discutere, partecipare, commentare, e si vede dalla drastica riduzione della produzione del blog. Nessuno si inquieterà per questo, ancorché qualche amico lettore è stato carino dal comunicarmi il suo dispiacere. 

Altro motivo del disincanto è dato dal mio non commettere l'errore degli snob sinistroidi, che guardavano ai berlusconani come a dei minus habens. 
Non la penso come i grillini,  contesto le loro ricette, ma, come bene scrive il professor Panebianco nell'editoriale che segue, non penso siano degli alieni che vengano da Marte.
Io sorrido nel sentire loro rispondere, a chi contesta la dubbia competenza e preparazione dei loro rappresentanti politici, che "almeno sono onesti". Intanto, è da vedere - finché non hai potere, è facile esserlo...- e poi, crocianamente, non pongo l'onestà come requisito primario di una classe governante, bensì la capacità. 
Però il non pensarla come loro non me li fa vedere come dei matti, e non penso che l'Italia andrà in rovina per colpa loro.  Sono passati 8 anni quasi dalla invocata estromissione di Berlusconi da PAlazzo Chigi, il Male per antonomasia. 
In questi 8 anni ha governato prima Monti, coi famosi tecnici che avrebbero finalmente mostrato come si fa, e poi per 5 anni la sinistra targata PD.
Questi 8 anni hanno goduto di un elemento salvifico, vale a dire la presenza di Mario Draghi alla testa della BCE. Attraverso l'adozione del quantitative easing, e quindi di una politica monetaria espansiva quanto mai, l'Europa, e l'Italia in primis, è stata tenuta indenne da ogni speculazione, il denaro è costato pochissimo, i costi del debito ridotti anch'essi al minimo, spread ideale.
Bene, un lustro e mezzo di questo paradiso, il paese guidato "finalmente" da quelli responsabili e il debito pubblico è diminuito ? No, è aumentato ! Dal 120% è passato al 130.
Colpa della crisi, del minor pil, certo. Ma le famose riforme cui ci esortava il nostro benefattore (Draghi, solo lui) sono state fatte ? Qualcosa sì, ancorché contestatissima proprio a sinistra e , of course, dai grillini , come il Jobs Act, ma certo non abbastanza.  
In particolare, a livello di semplificazione burocratica, fiscale, riduzione degli sprechi, quanti progressi sono avvenuti ? 
E quindi, cosa rispondiamo, noi avversari degli ortotteri, alla loro obiezione : " i vostri sistemi non funzionano !! " ? 
Quando il sistema elargiva manciate di benessere, più o meno grande, a tutti, la convivenza era semplice.
Oggi i milioni di persone che vedono il lavoro che continua a languire, le garanzie pure, la convivenza non richiesta con stranieri indesiderati - che certo non vanno ad abitare a monte verde vecchio o al primo municipio, per parlare delle roccaforti isolate del voto perbenista piddino a Roma - , non è disponibile a ragionamenti centrati su progressi fondati su piccoli passi (il pil che cresce dell'1%), sulla promessa che l'Europa cambierà e diventerà più generosa (non è nemmeno probabile , e lo vedremo tra un anno, quando Draghi lascerà la BCE), per non parlare poi delle dissertazioni sui diritti civili : gay, ius soli...cose che vanno bene quando le cosa vanno bene. 

Il fronte cd. sovranista probabilmente non costituisce la maggioranza del paese (del Parlamento sì, che tra 5 Stelle Lega e anche FdI della Meloni stanno al 55%) , ma i non sovranisti sono belli sparpagliati, e indisponibili a costituire una Santa Alleanza anti "barbari".
La proposta del PD ? Scioglietevi tutti o comunque votate noi, voi elettori di Forza Italia, moderati di centro, liberali sconsolati, ma anche fuoriusciti di sinistra che vi opponete all'euroscetticismo....
Adesso avete capito perché Salvini è così convinto di vincere e di fare il pieno con un accordo di non belligeranza elettorale coi grillini ? 

Vista la capacità veramente magica degli attuali protagonisti di dire tutto e il contrario di tutto in poche ore, senza timore di pagare il minimo dazio ( c'è Mattia Feltri che su LA Stampa si affanna a registrare tutte le contraddizioni delle posizioni assunte dai politici, grillini in testa... fatica inutile di cui il giornalista è assolutamente consapevole) perché gli elettori non si spostano per simili "inezie", magari non si voterà.  Il Presidente Mattarella dimenticherà le reazioni scomposte, fino agli insulti, alla sua posizione sul professore Savona, Di Maio e Salvini dimenticheranno che o Savona o morte, e proporranno un nuovo nome - magari Corttarelli !!!! - che andrà bene e il governo del cambiamento prenderà il largo...
Fino al primo scoglio.
Certo, vorrei essere una mosca e volare al Quirinale : 
A Sergè, ma davvero te sei offeso ?  E nun fa il permaloso, firma qui, che Savona te lo abbiamo tolto...





I politici sovranisti non vengono da Marte

Non muterà presto la fisionomia assunta dalla politica italiana. Le nuove divisioni si incontrano con altre più antiche. Non si tratta di un fuoco di paglia

  di Angelo Panebianco

disegno di Conc

Tutto si svolge secondo copione: i «fautori del cambiamento» cercano di scaricare sul presidente della Repubblica le colpe di un fallimento che è soltanto loro. Una parte ampia del Paese tira un sospiro di sollievo pensando che stava per formarsi un governo il quale, probabilmente — grazie alle sue brillanti idee sulla finanza pubblica e sul che fare in Europa — sarebbe riuscito a distruggere i risparmi degli italiani nel giro di sei mesi. Ma il sollievo può essere solo momentaneo.

Non solo perché ci sarà da affrontare — a breve termine immaginiamo — un cruciale passaggio elettorale. Soprattutto perché, comunque vada a finire, un cambiamento irreversibile si è prodotto in Italia. Sbaglia chi crede, magari pensando alla vicenda del quasi governo Conte, che i partiti antisistema avranno un rapido declino. Poiché la storia non insegna mai niente ai più, è un fatto che in questo errore sono caduti in tanti, tutte le volte che un movimento anti establishment è entrato nell’area del potere: «Lo manovreremo come ci pare e, poi, quando non servirà più, lo getteremo via». In genere, chi ha pensato questo è stato manovrato e poi gettato via.
Non cambierà presto la fisionomia assunta dalla politica italiana. Dureranno le grandi divisioni che ora la attraversano. E dureranno i politici emergenti che le hanno cavalcate con successo.

Le nuove divisioni che hanno ridimensionato, o appannato, la tradizionale distinzione sinistra/destra (quella che un tempo, ad esempio, opponeva l’Ulivo prodiano al Polo delle libertà berlusconiano) hanno per oggetto le regole del gioco politico-istituzionale (quale sarà il «tasso di liberalismo» che conserverà la nostra democrazia?), la collocazione internazionale, l’immigrazione. Queste novelle divisioni, oltre a influenzarsi a vicenda, si incontrano con altre divisioni molto più antiche (come quella Nord/Sud) disseminando ovunque cariche esplosive.

Le forze emergenti sono culturalmente ostili alla democrazia rappresentativa (liberale). Oggi come in passato, quando si evoca la «democrazia diretta», si sta in realtà auspicando una qualche forma di Führerprinzip, di «principio della supremazia del capo». La polemica contro i «competenti» (come hanno osservato Alberto Alesina e Francesco Giavazzi su questo giornale), nonché la contrapposizione fra il popolo innocente e le élites criminali, sono aspetti di questa sindrome.

Il diffuso rigetto nei confronti della democrazia rappresentativa, delle sue regole, e delle istituzioni liberali che la sorreggono, è il frutto di una trentennale, martellante, propaganda che ha dipinto la politica rappresentativa come un verminaio, il concentrato di tutte le lordure e le brutture, e i suoi esponenti come gente per la quale vale l’inversione dell’onere della prova: è ciascuno di loro che deve dimostrare di non essere un corrotto. Il lavaggio del cervello a cui il «circo mediatico- giudiziario» ha sottoposto per decenni tanti italiani, ha funzionato. Complice la tradizionale debolezza della cultura liberale, molti si sono convinti che questo è, a causa della politica, il Paese più corrotto del mondo o giù di lì, e che bisogna innalzare (per ora solo metaforicamente; in seguito, si vedrà) la ghigliottina. È l’ostilità alla democrazia liberale che spiega i tentativi di «superare» la rappresentanza moderna (i rapporti fra la Casaleggio Associati e i parlamentari grillini richiederebbero più attenzione). Ed è sempre l’ostilità alla democrazia liberale e alle sue guarentigie a spiegare la furia giustizialista dei vincitori e del loro seguito. Pensate alla proposta di abolire la prescrizione nei reati. Neanche ai fascisti era mai venuto in mente di sottoporre tanti poveri disgraziati alla tortura di provvedimenti giudiziari senza data di scadenza.

La seconda divisione investe la collocazione internazionale dell’Italia. Sul versante dell’Europa come su quello dell’alleanza atlantica. Non è probabile che un governo grillo-leghista (o solo grillino o di centrodestra a dominanza leghista) che eventualmente si formi dopo le prossime elezioni decida formalmente di uscire dall’euro o dalla Nato ma certamente ci sarebbero azioni tese ad allentare il più possibile il legame fra l’Italia e i nostri tradizionali ancoraggi internazionali. Perché è quanto prescrive la visione «sovranista» dell’interesse nazionale. Una volta deciso — e fatto credere a tanti italiani — che i nostri mali siano stati causati dall’Europa non resta infatti che la strada della contrapposizione. E pazienza se la posizione negoziale italiana risulterebbe, al tavolo europeo, debolissima (Sergio Fabbrini, Sole 24 ore). Pazienza anche se in questo modo l’Italia non potrebbe avere voce in capitolo quando si trattasse di correggere tutto ciò che non va (ed è molto) nella costruzione europea.

Anche sul secondo versante, quello atlantico, si preannuncerebbero tempi duri. Forse la Nato ricorrerebbe a una qualche forma di cordone sanitario (Maurizio Molinari, La Stampa) in funzione anti italiana quando dovesse vedersela con l’orientamento filorusso (e antiatlantico nella sostanza anche se non nella forma) di un importante stato membro.

Da ultimo, l’immigrazione. Genera ovunque conflitti ma l’aggravamento di questa divisione è anche il frutto degli errori commessi dai governanti del passato. Soprattutto, da coloro che hanno confuso il messaggio cattolico sul dovere dell’accoglienza con i doveri di chi governa una democrazia, coloro che non hanno capito che la società aperta non si difende senza una seria e rigorosa politica dell’immigrazione. Gli stessi che, di fronte alla sfida islamica, hanno pensato che l’integrazione dei musulmani si favorisca venendo a patti con i fondamentalisti. Mentre richiede l’esatto contrario.

Forse gli uomini nuovi riusciranno a imporre, prima o poi, i cambiamenti che hanno in mente. O forse non ci riusciranno. Forse assisteremo alla riscossa (in forme oggi imprevedibili) di chi si oppone al disegno sovranista. In ogni caso, ci si tolga dalla testa l’idea che si tratti di un fuoco di paglia o di un acquazzone estivo. Non è l’invasione degli Hyksos (gente arrivata nell’antico Egitto da chissà dove). Li abbiamo allevati noi.

lunedì 28 maggio 2018

COSI' PARLO' MATTARELLA

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Ero a cena con degli amici quando uno di loro mi dà la notizia : Conte aveva rinunciato all'incarico di Premier designato e il Presidente Mattarella aveva convocato per lunedì (oggi) al Quirinale Cottarelli, uno dei vari uomini che in Italia si sono cimentati, con risultati scarsini (non per colpa loro), della cd. spending review, vale a dire la razionalizzazione della spesa pubblica per ridurla evitando sprechi e cercando di ottimizzare risorse più ridotte. 
Un vero colpo di scena, ancorché si fosse visto che il nodo gordiano sul ministero del Tesoro si andasse stringendo sempre di più.
O Savona o morte, era la francamente poco comprensibile posizione di Salvini, coi grillini dietro più per necessità di alleanza che per convinzione.
Allora morte (del nascituro governo) ha risposto l'uomo del Colle.
Cosa accadrà ora, francamente è difficile da prevedere.  In teoria, si tornerà a votare.
Se è vero - io penso di sì, ancorché sia lecita la discussione sul tema - che il Presidente della Repubblica può rifiutarsi di avallare la scelta dei ministri indicati dal Premier designato (così come  può non accettare l'indicazione di quest'ultimo fatta dai partiti che pure soli prospettano una possibile maggioranza parlamentare), è sicuramente vero che lo stesso poi non possa non prendere atto che il Parlamento eletto non sia in grado di esprimere altre maggioranze di governo e di conseguenza scioglierlo indicendo nuove elezioni. 
Ma andrà così ? Veramente i grillini, dopo essere stati ad un passo dal loro primo governo, non tenteranno altre mosse ? Certo, oggi il forno del PD sembra chiuso e sprangato, ma di fronte alla concretissima ipotesi di un nuovo voto ? I democratici rischiano moltissimo con un voto ravvicinato, oltretutto in un momento in cui la guida del partito è in aperta discussione. Non comanda più renzino ma al suo posto non comanda nessuno... E le liste stavolta chi le fa ? 
Bel casino.
Altrove non stanno un granché meglio, tranne forse Salvini, l'unico confortato dai sondaggi di crescere comunque vada, specialmente a spese di Forza Italia.
Il mio amico - oltretutto affezionato lettore - di ieri sera mi riferiva di sondaggi su La 7 che darebbero in sensibile flessione anche i 5 Stelle, forse a causa della delusione degli elettori di non vederli in grado di essere autonomi, e quindi in ogni caso costretti, con questa legge elettorale, ad alleanze che parti diverse del loro elettorato vivono con forti mal di pancia ( entrambi i "forni" scontentavano molti).
Questo è vero, ma allo stesso tempo credo che molti di loro continueranno a pensare che i poteri forti, quelli legati ai mercati finanziari e al condizionamento eurogermanico, impediscano ai loro beniamini di cambiare le cose, e si ribelleranno continuando a sostenere la propria parte ad oltranza (lui lo vedo tra questi, per esempio).
Vedremo nei prossimi giorni, ma personalmente credo che i 5 Stelle non fletteranno. 
Comunque, del futuro, incerto quanto mai, ci occuperemo nei prossimi giorni.
Oggi mi soffermo sul duello rusticano che si è consumato per schierarmi a mia volta.
Non che lo debba fare necessariamente, anzi, penso che entrambe le parti in gioco abbiano le loro colpe, ma non di ugual misura.
 Leggendo il discorso di Mattarella, che di seguito trovate nella versione integrale, francamente ritengo che se arroganza ci sia stata, questa non veniva dal Quirinale.
Sappiamo benissimo che spesso in passato, specie nella seconda repubblica, i Premier abbiano accettato di fare compromessi e rinunciato a ministri che pure avevano scelto. Da ultimo, Renzi , con Gratteri ( il niet di Napolitano in questo caso fu tra le poche cose veramente buone del vecchio presidente) , e si sa bene che Berlusconi più volte si scontrò coi diversi inquilini del Colle, finendo sempre per accettare dei punti di caduta comuni. 
Salvini no, e questo nonostante l'alternativa fosse un leghista doc e attualmente importante come Giorgetti, il vice capo della Lega.
Incomprensibile, anche ai grillini che, complottisti per DNA, vedono, comprensibilmente, una strategia ben poco leale da parte del socio leghista. 
"Vuole tornare alle elezioni, Berlusconi l'ha convinto che stavolta il centro destra prenderà il 40% e a quella soglia, con le vittorie giuste nei collegi uninominali, avranno la maggioranza assoluta in Parlamento...".
Come tutte le dietrologie, è verosimile.
Ma perché rinunciare al certo - diventare ministro degli interni ADESSO, essere socio imprescindibile, ancorché col 18% dei voti, del nuovo governo ADESSO - per l'incerto ? 
E se Berlusconi, tornato candidabile, trainasse diversamente Forza Italia , cambiando gli attuali equilibri del centro destra ? Ci credo poco, penso che il cavaliere abbia veramente fatto il suo tempo nella mente degli italiani, ma chi può esserne sicuro ? 
E poi, c'è chi pensa invece ad un accordo di desistenze tra Lega e 5 Stelle in modo da rafforzarsi entrambi e tornare al Quirinale dicendo : vedi ? abbiamo vinto ancora noi e solo noi possiamo governare, quindi stavolta o ci fai fare come diciamo oppure dimettiti.
Non è fantapolitica. Semplicemente, a questo punto le ipotesi valgono tutte.
Resta che, da testimone piuttosto attento della vita politica del mio paese, trovo veritiera la descrizione dei fatti accaduti compiuta da Mattarella nel suo discorso.
L'ipotesi di impeachment mi farebbe ridere, se non fosse che il clima è abbastanza avvelenato - l'ho intravisto anche dal vagamente animoso scambio di idee visto ieri sera tra commensali amici ma divisi dalle adesioni politiche - e l'idea di settimane di crisi istituzionale così grave, coi mercati ad infuriarci addosso, spegne ogni sorriso accennato. 
Certo, se fosse un thriller, la storia attuale del nostro paese sarebbe appassionante.
Ma non è un giallo, è vita vera, e allora la prospettiva cambia e non in meglio. 





Mattarella: "Ho agevolato in ogni modo la nascita del governo, ma devo tutelare i risparmi degli italiani" 

Le parole che hanno scatenato le critiche di M5s, Fdi e Lega, con i grillini e Giorgia Meloni che arrivano ad invocare l'impeachment

Mattarella: "Ho agevolato in ogni modo la nascita del governo, ma devo tutelare i risparmi degli italiani"

Dopo aver sperimentato, nei primi due mesi, senza esito, tutte le possibili soluzioni, si è manifestata - com'è noto - una maggioranza parlamentare tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega che, pur contrapposti alle elezioni, hanno raggiunto un'intesa, dopo un ampio lavoro programmatico.

Ne ho agevolato, in ogni modo, il tentativo di dar vita a un governo.

Ho atteso i tempi da loro richiesti per giungere a un accordo di programma e per farlo approvare dalle rispettive basi di militanti, pur consapevole che questo mi avrebbe attirato osservazioni critiche.
Governo, Mattarella: "Svolgo ruolo di garanzia, devo essere attento ai risparmi degli italiani"

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Ho accolto la proposta per l'incarico di Presidente del Consiglio, superando ogni perplessità sulla circostanza che un governo politico fosse guidato da un presidente non eletto in Parlamento. E ne ho accompagnato, con piena attenzione, il lavoro per formare il governo.


Nessuno può, dunque, sostenere che io abbia ostacolato la formazione del governo che viene definito del cambiamento. Al contrario, ho accompagnato, con grande collaborazione, questo tentativo; com' è del resto mio dovere in presenza di una maggioranza parlamentare; nel rispetto delle regole della Costituzione.

Avevo fatto presente, sia ai rappresentanti dei due partiti, sia al presidente incaricato, senza ricevere obiezioni, che, per alcuni ministeri, avrei esercitato un'attenzione particolarmente alta sulle scelte da compiere.

Questo pomeriggio il professor Conte - che apprezzo e che ringrazio - mi ha presentato le sue proposte per i decreti di nomina dei ministri che, come dispone la Costituzione, io devo firmare, assumendomene la responsabilità istituzionale.

In questo caso il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia, che non ha mai subito, né può subire, imposizioni.

Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell'Economia.

La designazione del ministro dell'Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari.

Ho chiesto, per quel ministero, l'indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l'accordo di programma. Un esponente che - al di là della stima e della considerazione per la persona - non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell'Italia dall'euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell'ambito dell'Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano.

A fronte di questa mia sollecitazione, ho registrato - con rammarico - indisponibilità a ogni altra soluzione, e il Presidente del Consiglio incaricato ha rimesso il mandato.

L'incertezza sulla nostra posizione nell'euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende. L'impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali.
Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane.

Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende. In tanti ricordiamo quando - prima dell'Unione Monetaria Europea - gli interessi bancari sfioravano il 20 per cento.

È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri - che mi affida la Costituzione - essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani.

In questo modo, si riafferma, concretamente, la sovranità italiana. Mentre vanno respinte al mittente inaccettabili e grotteschi giudizi sull'Italia, apparsi su organi di stampa di un paese europeo.

L'Italia è un Paese fondatore dell'Unione europea, e ne è protagonista.

Non faccio le affermazioni di questa sera a cuor leggero. Anche perché ho fatto tutto il possibile per far nascere un governo politico.

Nel fare queste affermazioni antepongo, a qualunque altro aspetto, la difesa della Costituzione e dell'interesse della nostra comunità nazionale.

Quella dell'adesione all'Euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani: se si vuole discuterne lo si deve fare apertamente e con un serio approfondimento. Anche perché si tratta di un tema che non è stato in primo piano durante la recente campagna elettorale.

Sono stato informato di richieste di forze politiche di andare a elezioni ravvicinate. Si tratta di una decisione che mi riservo di prendere, doverosamente, sulla base di quanto avverrà in Parlamento.

Nelle prossime ore assumerò un'iniziativa.

giovedì 3 maggio 2018

MEGLIO RENZINO CHE DI MAIO ( E I DEMOCRISTI COMUNISTI )

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Ho avversato il Renzi arrogante e prepotente premier, padrone di un parlamento ereditato dal Porcellum. 
Ho votato NO al suo referendum, ché se avesse presentato i quesiti separatamente mi sarei regolato diversamente, distinguendo, e sono stato contento degli insuccessi elettorali successivi, fino alle elezioni del 4 marzo.
Alle politiche, confidavo invece in una tenuta del PDR, che so, un 25% simil Bersani del 2013, poco giù di lì. Perché alla fine della fiera, meglio il toscano che quelli della ditta o i vetero democristiani alla Franceschini, personaggio che disprezzo profondamente per un'opportunismo spinto oltre il pur conosciuto malcostume della politica. 
Con tutti i limiti del caso, Renzi veramente almeno un po' si avvicina ad un'idea Liberal della sinistra, clintoniana e/o blairiana, mentre gli altri sono sempre lì, a parlare solo di disuguaglianza, ti tasse da far pagare a tutti, di occupazione, senza mai suggerire ricette concrete e plausibili per realizzare il vasto programma che si propongono.
I grillini sono peggio. E non è un caso che certa sinistra tutto sommato non veda disdicevole una commistione con i pentastellati mentre Renzi si oppone con forza.
E allora DAJE RENZINO !! 
Meglio te, direbbe il mio amato Indro (Montanelli, per i giovani)

LaStampa.it


Renzi: “Il mio Pd non può essere la sesta stella dei grillini”

Guerini e Rosato in pista per sostituire il reggente tra dieci giorni

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CARLO BERTINI

Alle otto di mattina Matteo Renzi corre con le sue scarpe da jogging lungo le Cascine, auricolare iper attivo. Alle otto di sera, nella sua posizione di pendolare all’americana, corre in auto verso Firenze e commenta gasato al telefono con un senatore le dodici ore trascorse nella capitale, dopo aver vinto la prova di forza sui numeri con i «governisti». Che oggi in Direzione potranno magari strappare un ok all’operato di Martina con un voto unanime; dovendo però ingoiare pure un voto sul documento già firmato ieri da 120 membri della Direzione su 209,compresi Padoan e Calenda. Una pietra tombale su un qualsiasi accordo di governo con i grillini. 

Una debàcle strategica vista nell’ottica dell’ex segretario. Sconcertato dal veder rilanciare l’altra sera da Vespa per bocca di Piero Fassino una tesi la cui paternità Renzi attribuisce a Walter Veltroni. Di un nuovo bipolarismo, con M5S e Pd nella parte di attori di una sorta di nuovo centrosinistra, da contrapporre al centrodestra sovranista. «Ci rendiamo conto? Il Pd dovrebbe diventare una sorta di badante dei 5stelle per un nuovo centrosinistra di populisti a cinque stelle. Ma davvero pensa che noi possiamo essere la sesta stella di questi qui? Non esiste». Beninteso: il confronto a due si può fare, «in streaming però». E partendo dal presupposto che Di Maio non possa fare il premier - concetto fatto recapitare da Renzi all’interessato anche per “vie brevi” nei giorni scorsi. Con il messaggio implicito che in tal modo lui dovrebbe concedere qualcosa avendo poco o nulla in cambio, rischiando così di perdere la sua base di consenso. 

Quindi la serata porta un buio sempre più fitto sulla scena della crisi: nel Pd gira voce che Mattarella possa dare un incarico a Sabino Cassese per un esecutivo di tregua fino alle elezioni, con Di Maio confinato nel ruolo di ministro degli Esteri. Renzi, che come tutti i big è terminale dei tanti spifferi che percorrono i Palazzi, con i suoi analizza le varie ipotesi sul tappeto. Tutto il Pd, non solo quello dei suoi detrattori, direbbe sì ad un «governo delle regole», ma se fosse mai varato tale progetto con l’adesione di altri attori protagonisti, un’altra querelle scoppierebbe sulla presenza di ministri Dem nella compagine. Comunque sia, la vera questione in ballo nella diatriba interna ai Dem ruota attorno al nuovo centrosinistra con i pentastellati «che sarebbe la fine del Pd», per dirla con Renzi. E la lotta di potere nel partito ne è la cornice. 

La tesi dell’ex premier riferita dai suoi compagni di strada è che il vero regista di tutta l’operazione per puntellare Maurizio Martina, ovvero Dario Franceschini, ha finito per sortire l’effetto opposto. Se tutto va bene, il «reggente» oggi vedrà confermata la fiducia anche dai renziani, ma per una decina di giorni. Perché Renzi e Orfini pensano di convocare l’assemblea il 12 maggio e lì potrebbe compiersi la famosa resa dei conti, con due esiti possibili: o la salita al trono del Pd di Lorenzo Guerini o Ettore Rosato per il ruolo di segretario fino al congresso di là da venire; o la convocazione delle primarie a breve per scegliere il nuovo leader anticipando così le assise congressuali. 

Da giorni - così Renzi ne parlava ieri pomeriggio con i suoi - Franceschini voleva la conta per dimostrare che il perimetro della ex maggioranza è cambiato, ma il documento «pacifista» di Guerini («sì al confronto ma niente fiducia a un governo guidato da Salvini o Di Maio») porta in dote a Renzi le firme di 120 membri della direzione. E non era scontato, visto anche tra i suoi più d’uno nutriva perplessità sul metodo, come Matteo Richetti che non l’ha firmato pur essendo d’accordo nel merito. In contatto con Lotti, Guerini, Rosato e Marcucci, l’ex segretario spulcia i nomi dei 39 senatori su 53 e dei 77 deputati su 111 in calce al documento che anticipa la conta di oggi. 

Fa nulla che dall’altra parte l’abbiano preso non male, malissimo, come il sito «senzadime.it» con le «liste di proscrizione» sui favorevoli o contrari all’accordo. O che abbiano capito che il voto di fiducia a Martina di fatto lo obbligherà a non fare alcun accordo con i grillini. Per Renzi l’importante è uscire da questa Direzione avendo ribadito chi comanda e con un partito non spaccato plasticamente. Potendo dire che «non si può votare la fiducia al governo Di Maio, perché così la pensa la stragrande maggioranza della nostra base, del nostro elettorato, dei nostri gruppi parlamentari».

lunedì 9 aprile 2018

RICOLFI : SE IL FORNO PD RESTA CHIUSO, RIMANE SOLO L'ALLEANZA LEGA 5 STELLE. OPPURE LE URNE.

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Dal 4 marzo è trascorso più di un mese, e, passata l'euforia comprensibile di chi ha avuto successo (vinto, non direi, visto che nessuno è in grado di avere una maggioranza in solitaria) e l'afflizione di chi è andato a sbattere (PD, ma la sinistra tutta      ) , lo spettacolo in scena dei vari capi politici è piuttosto desolante.
Del resto, Di Maio è quello che è e gli altri non è che siano poi più brillanti.
La cosa che mi colpisce un po' è leggere come, secondo le ricostruzioni dei cd. retroscena giornalistici, i 5 Stelle, ma anche i leghisti, provano a realizzare una maggioranza di governo.
Non è il problema della politica dei due forni a perplimere, è evidente che in un sistema tripolare, dove nessuno può fare da solo, si cerca di vedere se è possibile allearsi con uno degli altri due.
Quindi che il M5Stelle cerchi la quadra sia con Salvini che con i piddini, ci sta ( da mo' il Cavaliere si era alleato con gli ortotteri, se questi ultimi non lo ostracizzassero).
Il problema è il modo, sempre a credere alle indiscrezioni dei cronisti di palazzo. Il PD non verrebbe tentato sulla base di compromessi programmatici che avvicinino le posizioni delle due forze, quanto su concessioni di poltrone governative allettanti...
Tra Di Maio e Salvini idem, ognuno vuole essere premier (più deciso in questo senso il grillino, ma ci sta anche questo, lui è il capo del 32%, Salvini, da solo, pesa poco più della metà con la sua Lega, senza il centro destra), e per convincere l'altro offre, anche qui, il ministero degli interni (l'età giolittiana iniziò così, con capo del governo Zanardelli e Giolitti ministro degli interni..) . 
Eppure delle differenze programmatiche non di poco momento, da affrontare per vedere il compromesso possibile, ce ne sono, tra tutti.
Luca Ricolfi affronta il problema, immaginando alla fine un'alleanza tra Lega e grillini, sul presupposto che l'altro forno resti chiuso, causa ostracismo renziano (chi di ostracismo ferisce...).
Certo, i punti di contatto tra le due forze sono quelle che preoccupano oltremodo Bruxelles, ma fosse solo questo, uno potrebbe anche provare a fregarsene, in fondo il mito europeo è piuttosto appannato, ad esser buoni.
Il problema, con centinaia di miliardi di prestiti da rinnovare ogni mese, sono i mercati . Draghi nel 2019 andrà via dalla BCE e già quest'anno la pioggia di euro volti a tenere  a bada spread e speculazioni possibili (non a caso Ricolfi butta lì il ricordo del 2011) diminuirà.
Possiamo fare a meno dell'Europa ? Chissà. Ma dei soldi in prestito no davvero ! E come li restituiamo 1300 miliardi ???
Buona Lettura 





Lega e Cinque Stelle, programmi incompatibili?
1 aprile 2018 - di Luca Ricolfi

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Buio totale. È passato quasi un mese dal voto e nessuno è in grado di dire se avremo un nuovo governo, o invece si tornerà alle urne. Quel che si comincia a intravedere, tuttavia, è che potrebbe, e il condizionale è d’obbligo, nascere un governo Cinque Stelle-Lega. Questa alternativa pare meno inverosimile delle altre.
Le ragioni per cui questa appare l’eventualità meno improbabile sono diverse. La prima è che, a quanto pare, il Centro-destra non ha alcuna volontà di restare unito, e di cercare in Parlamento i voti di cui ha bisogno, che sono molti di meno di quelli che occorrono ai Cinque Stelle. Se davvero avesse intenzione di restare unito, farebbe valere il fatto di essere risultato la coalizione con il maggior numero di voti (37.5% contro il 32.2% dei Cinque Stelle), e si presenterebbe con una delegazione unica al colloquio con il Presidente della Repubblica. Invece pare di no, andranno separati. Misteri della politica (almeno per me).
C’è anche un’altra ragione per cui un governo Di Maio-Salvini è meno improbabile di altre soluzioni. Ed è che l’unica alternativa numericamente possibile, ossia un governo Cinque Stelle-Partito democratico, pur essendo vagheggiata da molti (compresi Franceschini e Orlando, secondo i rumors dei giorni scorsi), sarebbe profondamente divisivo per il Pd. Se anche i nemici di Renzi dovessero avere la meglio, eventualità che nel clima restaurativo attuale non è da escludere, resterebbe, come freno, la necessità di evitare una sanguinosa spaccatura del Pd, un partito che tutto può permettersi tranne che di dividersi in un troncone governativo e uno di opposizione.
Supponiamo dunque che il governo Di Maio – Salvini, magari presieduto da un premier meno divisivo, veda la luce.
Starebbe insieme un simile governo?
A giudicare dai programmi, si direbbe proprio di no. Flat tax e reddito di cittadinanza sono due ricette di politica economica opposte. 
La prima punta a rilanciare la crescita, puntando su ingenti sgravi fiscali sui produttori, prevalentemente insediati nel Centro-Nord. Il secondo punta ad attutire le conseguenze della mancata crescita, puntando su sussidi ai poveri, prevalentemente insediati nel Sud. 
A queste difficoltà si aggiunge la circostanza che quel che unisce Salvini e Di Maio, ovvero la ferma volontà di sfondare la barriera del 3%, non potrà che attirarci l’ostilità delle autorità europee e, presumibilmente, la diffidenza dei mercati. Per non parlare dell’ostacolo più prosaico: il nuovo governo dovrà trovare subito 12 di miliardi di euro per disinnescare l’aumento automatico dell’Iva, e forse altri 2-3 miliardi per non incorrere in una procedura di infrazione per deficit eccessivo.
E tuttavia…
Tuttavia ci sono discrete possibilità che questi ostacoli siano superati. Intanto perché se in qualcosa i politici non hanno rivali, è nel manipolare il racconto che fanno ai comuni cittadini (che poi i manipolati ci caschino, è un altro paio di maniche, e si scoprirà vivendo). Ne abbiamo già avuto parecchie avvisaglie in questi giorni. Dopo i proclami di assoluta incompatibilità, e dopo le promesse più avventate, verrà il tempo degli aggiustamenti. Salvini ha già cominciato ad aprire sul reddito di cittadinanza, purché sia “uno strumento per reintrodurre nel mondo del lavoro chi oggi ne è uscito”. Toninelli, capogruppo Cinque Stelle al Senato, ha già aperto sulla flat tax, purché sia “costituzionale” e “includa i poveri”. Per non parlare della legge Fornero, sulla cui abolizione o superamento i due partiti sono d’accordo fin da prima del voto.
Non è tutto però. A favore di un governo Cinque Stelle-Lega militano anche fattori, per così dire, paradossali. Uno è l’irrealizzabilità del programma. Sia per la Lega sia per i Cinque Stelle, un governo di coalizione, che limiti il potere del partner, è la migliore assicurazione contro il risentimento degli elettori traditi. Quando, fra qualche tempo, si scoprirà che la flat tax al 15% era una bufala, Salvini dirà che la colpa è di Di Maio, che ha frenato. E quando i cittadini del Sud si renderanno conto che il reddito di cittadinanza effettivamente attuato dal nuovo governo non vale molto di più del reddito minimo introdotto a suo tempo da Renzi e Gentiloni, Di Maio avrà buon gioco a dire che la colpa è di Salvini, che ha sempre remato contro.
Infine, un altro fattore paradossale che può, almeno all’inizio, favorire la nascita di un governo Cinque Stelle – Lega è il patriottismo anti-europeo. Proprio l’ostilità delle autorità europee a un esecutivo “populista” potrebbe essere un forte elemento di coesione di un governo esplicitamente schierato contro la “burocrazia di Bruxelles”. Un esito, questo, lungamente preparato da una stagione di demagogia anti-austerity che ha coinvolto quasi tutte le forze politiche, compreso il Pd renziano.
Poco male, se dovessimo solo incontrare le resistenze delle sempre più deboli, e meno autorevoli, “autorità europee”. Ma malissimo se, sull’onda dei rimproveri dell’Europa, del declassamento delle agenzie di rating, e di un repentino deterioramento dei conti pubblici, dovessimo incontrare l’ostilità dei mercati, che ogni anno ci prestano svariate centinaia di miliardi per rinnovare i titoli del nostro debito pubblico.
Il 2011 magari non si ripeterà, perché la storia non si ripete mai identica a sé stessa. Ma qualcosa dovrebbe averci insegnato.

lunedì 19 marzo 2018

RICOLFI : M5STELLE E PD , ORGANISMI POLITICAMENTE MODIFICATI

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Da tempo mancava sul Camerlengo il contributo di Luca Ricolfi, ma la colpa non era mia, bensì del professore che ha diradato i suoi contributi di valente opinionista .
Non mi sono arreso, e ho continuato a cercare in rete se ci fosse qualche suo scritto, commento, analisi.
Probabilmente non ho cercato sempre bene, oppure sono stato sfortunato, però ora mi sono iscritto alla mail list della fondazione David Hume, una sua creatura, e probabilmente avrò qualche chance in più. 
Una prima prova, ce l'ho con la segnalazione di una intervista rilasciata dal professore a La Verità, con l'invito a fornire le sue considerazioni sull'Italia post voto.
Con un linguaggio chiaro fino alla crudezza, Ricolfi prende in esame un po' tutti gli aspetti della politica nazionale alla luce del voto del 4 marzo, con osservazioni assolutamente non comuni.
Butto giù quelli che hanno colpito più me, ma l'intervista la trovate intera di seguito.
1) Il voto alla Lega non è solo la domanda di sicurezza anti immigrati, ma anche il ritorno verso il centro destra dell'Italia produttiva anti fisco e anti burocrazia
2) Viceversa il voto ai 5 Stelle a Sud è sempre e solo la domanda di quella parte d'Italia : Assistenza, sempre e comunque
3) Il PD, la sinistra ortodossa, da decenni non è più il partito delle classe popolari ma di quelle medio alte istruite, un po' liberal, parecchio ( e insopportabilmente) snob, con i miti dell'accoglienza, dello ius soli, dell'adozione gay, vivendo in quartieri dove gli immigrati sono pochi o, più spesso, non ci sono proprio, e della disoccupazione si preoccupano meno, perché non tocca loro (spesso ben stipendiati dirigenti pubblici o benestanti pensionati) e - pensano - nemmeno i loro figli, protetti dalla fitta rete di opportune conoscenze.  
Dopodiché si domandano come mai operai e ceti più disagiati non li votano più.  Quando sento conoscenti- a volte anche amici - spiegare che il loro essere di sinistra è per la personale vocazione di stare dalla parte dei "deboli", mi vengono in mente le parole di Ricolfi , già espresse nel suo ultimo libro Sinistra e Popolo.
4) Dove è andato l'elettorato che nel passato votava i successori del PCI ? ovvio, nel M5Stelle, votato anche dalla destra sociale, non liberale.
Perfetta anche la sottolineatura di Mattarella Presidente finalmente arbitro, a differenza del suo predecessore, giocatore in campo. 
Insomma, una intervista da non perdere.
Buona Lettura


INTERVISTA A LUCA RICOLFI POST VOTO (su LA VERITA' del 12 marzo 2018)

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Per trovare un altro risultato così dirompente bisogna tornare al 1994. Allora iniziò la Seconda repubblica, sta nascendo la Terza?

«No, stiamo tornando alla Repubblica “di mezzo” (fra la prima e la seconda), quella che è esistita fra le elezioni politiche del 1992 e le elezioni del 1994, al tempo in cui tutto cominciò a cambiare, grazie al referendum sulla preferenza unica, a Mani pulite, all’esplosione della Lega, alla nuova legge elettorale (il compianto Mattarellum). Non tutti lo ricordano ma, allora, gli studiosi di comportamenti elettorali congetturarono che l’Italia fosse ormai divisa in tre: la Padania, egemonizzata dalla Lega (Forza Italia non era ancora nata), l’Etruria, egemonizzata dal Pds, il Mezzogiorno, ancora saldamente in mano alla Dc. Oggi la carta geopolitica è tornata a essere quella di allora, con i 5 stelle al posto della Dc».

Quali sono i fattori di maggior novità del voto del 4 marzo?

«C’è molta più chiarezza di prima: il Centronord vuole proseguire sulla via della modernizzazione del Paese, timidamente intrapresa in questi anni, ma lo fa con sensibilità diverse, rappresentate dal centrodestra e dal Pd. Il Sud vuole continuare a sussistere nell’unico registro che un ceto dirigente irresponsabile è stato in grado di prospettargli: assistenza, assistenza, assistenza».

Concorda con chi sostiene che le urne ci consegnano un’Italia geograficamente e socialmente bipolare: nel Sud della disoccupazione e della povertà ha vinto il M5s, nel Nord dove si teme per la sicurezza ha vinto la Lega.

«Concordo, ma solo in parte. Oggi il voto del Nord sembra ad alcuni soprattutto anti-immigrati, ma a mio parere esprime invece, molto di più, l’ennesima rivolta antifisco e anti burocrazia».

Sarà difficile mantenere le promesse di flat tax e reddito di cittadinanza. È per questo che, sotto sotto, né Lega né M5s smaniano di governare?

«Non so se davvero esitano, a me sembrano piuttosto smaniosi entrambi. Il mancato mantenimento delle promesse penso sia messo in conto da tutti, tanto basterà dire: noi volevamo ma gli alleati, ma l’Europa, ma la situazione, eccetera eccetera».

Si è votato in marzo, quando non ci sono sbarchi d’immigrati. Se si fosse votato in maggio, la Lega avrebbe superato anche il Pd di Matteo Renzi?

«L’ho sostenuto in un’intervista a Sky pochi giorni fa. Votare a marzo ha attutito i danni subiti dal Pd, checché ne dica Renzi, che si è lamentato di non aver potuto votare prima: se si fosse votato la primavera scorsa non avrebbe potuto giocare la carta Marco Minniti».

Che però, a sorpresa, è stato sconfitto.

«Il fatto ha stupito anche me, ma forse io ho un pregiudizio positivo nei confronti di Minniti, che mi pare uno dei pochissimi ministri che sanno di che cosa parlano».

Con Lega e M5s è nato anche un nuovo bipolarismo politico che sostituisce quello composto da Forza Italia e Pd, ora residuali?

«No, il sistema per ora è quadripolare e instabile. Lega e M5s rappresentano solo la dialettica interna alle forze antieuropee. Un vero bipolarismo richiederebbe il compattarsi di due aggregazioni più ampie e robuste: ad esempio centrodestra contro mutanti».

Chi sono i mutanti?

«Pd e 5 stelle, Organismi politicamente modificati (Opm) costruiti a partire dal ceppo antico del socialismo e del comunismo».

Un ceppo che germoglia sempre meno. La sinistra è in declino dovunque in Occidente. La crisi di quella italiana ha fattori specifici più gravi?

«La sinistra non è affatto in declino, semplicemente sta assumendo forme che i media (e pure gli studiosi, devo ammettere) si rifiutano di riconoscere per quello che sono. Quella che continuiamo a chiamare sinistra è semplicemente la sinistra ufficiale, ovunque amata e votata dai ceti medi riflessivi, istruiti e urbanizzati, e dal mondo della cultura. Ma esiste anche un’altra sinistra, trasgressiva e populista, prediletta dai giovani e da una parte dei ceti popolari, che si esprime in forme nuove: Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, 5 stelle in Italia, France insoumise oltralpe, per citare i casi più importanti. Quel che sta succedendo è che, in molti paesi, tranne il Regno Unito, la sinistra populista sta diventando più forte di quella ufficiale, riformista, benpensante, assennata e politicamente corretta».

Com’è possibile che non ci si interroghi sul fatto che il Pd tiene nei centri storici e scompare nelle periferie e tra i lavoratori?

«Me lo sono chiesto anch’io, e ne è venuto fuori un libro (Sinistra e popolo, Longanesi 2017). Però la vera domanda forse è anche quest’altra: perché del problema ci accorgiamo solo ora visto che il distacco fra sinistra e popolo è in atto da almeno 40 anni?».

Augusto Del Noce diceva che il partito comunista sarebbe diventato un grande partito radicale di massa. L’apparentamento con Emma Bonino ne è stata l’ultima piccola conferma?

«Sì, quello di partito radicale di massa è un concetto che descrive a pennello l’evoluzione del comunismo dal Pci al Pd renziano. Ne parla anche Marcello Veneziani nel suo ultimo libro (Imperdonabili, Marsilio 2017). Il Pd è diventato una sorta di macchina per proclamare diritti, e anche un rifugio identitario per i ceti alti e medi, bisognosi di impegno per espiare la colpa di non essere poveri. Una mutazione che l’alleanza con la Bonino ha reso evidente, per non dire plateale. Ma a questo tipo di evoluzione (o involuzione?) ha contribuito anche una certa dose di stupidità autolesionista, una quasi inspiegabile incapacità di capire il punto di vista della gente comune: come si può pensare, nell’Italia di oggi, di attirare consensi con l’antifascismo e lo ius soli? Se ci fossero pulsioni fasciste e nostalgiche Casa Pound e Forza Nuova avrebbero avuto un risultato decente, non i pochi decimali (0.9 e 0.37%) che qualsiasi simbolo buttato sulla scheda finisce per raccogliere».

Che responsabilità hanno gli intellettuali nel distacco tra la classe dirigente del Pd e la sua area tradizionale di riferimento?

«Negli ultimi 30 anni, intellettuali e mondo della cultura molto si sono preoccupati di veder rappresentati loro stessi e i loro interessi, e pochissimo di convincere il Pd a rappresentare anche i ceti popolari. Questa è una delle differenze fra Prima e Seconda repubblica: gli intellettuali della prima pretendevano di conoscere meglio dei dirigenti del Pci quali fossero i veri interessi della classe operaia; a quelli della seconda è premuto assai di più che gli eredi del Pd rappresentassero il loro mondo incantato. Ci sono riusciti benissimo».

Che giudizio dà di Renzi come amministratore, comunicatore e stratega politico?

«Non voglio infierire, l’ho già criticato a sufficienza in questi anni. Anzi, voglio dire che, se solo avesse fatto meno il bullo e avesse provato ad ascoltare chi lo criticava stando dalla sua parte, oggi ricorderemmo le non poche buone cose che ha fatto, dal Jobs act a industria 4.0. Il dramma dell’Italia è che questo modesto Pd è pur sempre la miglior sinistra disponibile sul mercato, visto quel che offrono 5 stelle e Leu».

Cosa pensa dell’esperienza di Liberi e uguali? A chi è maggiormente attribuibile la colpa della scissione?

«Un’operazione politica penosa, nei contenuti e nelle persone. Quello che non capisco è perché abbiano scelto come capo una figura scolorita come quella di Pietro Grasso: chiunque altro, tranne forse il demonizzatissimo Massimo D’Alema, avrebbe portato a casa più voti. Quanto alla scissione, non so se è stata una colpa, forse è stata un atto di chiarezza».

Quanto il successo di M5s e Lega complica il rapporto con l’Europa?

«Meno di quanto si pensi. Noi continuiamo a fare uno sbaglio: pensare che il problema siano le autorità europee. No, il problema sono i mercati, come si è visto nel 2011, quando le autorità europee lodavano Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi, e sono bastati tre mesi di impennata dello spread per capovolgere tutto».

Che scenario intravede? Se la sente di fare delle percentuali dei possibili governi?

«No, non me la sento. Credo che molto dipenderà dal Pd, ovvero da quanti Pd vi saranno fra qualche mese. Se ve ne sarà uno solo, non si potrà che tornare al voto. Se ve ne saranno due, vedremo se la spunterà quello assistenzialista, che vuole dare una mano al sud (e ai 5 stelle), o quello sviluppista, che vuole dare una mano al Centronord (e quindi al centrodestra)».

Quanto un governo a guida Di Maio con il sostegno del Pd aggraverebbe il bilancio dello Stato?

«Molto, perché anche il Pd è tentato dalla spesa in deficit».

Dobbiamo rassegnarci all’ennesimo governo del Presidente?

«Speriamo di no, abbiamo già dato. E poi Sergio Mattarella mi pare più arbitro di Giorgio Napolitano, che era chiaramente un giocatore in campo».

Quali sono le prime riforme che suggerirebbe al nuovo governo?

«Sgravi fiscali sui produttori, alimentati da una lotta senza quartiere contro gli evasori totali».

Che cosa consiglierebbe a Silvio Berlusconi che si chiede «adesso dove si va»?

«Di decidersi a scovare un successore».

Se si rivotasse entro un anno le tendenze del 4 marzo uscirebbero radicalizzate o ridimensionate?


«Dipende: se nel frattempo non succede nulla avremo un Parlamento fotocopia. Ma qualcosa succederà. Basta che non sia un nuovo 2011».