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venerdì 9 ottobre 2015

LA BELLEZZA OGGETTIVA NON E' UN MITO : NEFERTITI E L'ANTROPOLOGIA LO DIMOSTRANO

Sempre stato un sostenitore della OGGETTIVITA' della bellezza. Disponibile a convenire che i criteri di valutazione della stessa potessero correggersi nel tempo e con l'evoluzione sociale, ma graniticamente convinto che certi canoni siano comuni e ben identificabili da tutti . Insomma, niente minchiate del tipo "la bellezza è soggettiva", "negli occhi di guarda", "è bello ciò che piace" per non parlare di quella "interiore".  Non perché queste affermazioni non abbiano qualcosa di vero ( preminente però l'aspetto consolatorio...), ma perché contrapposte ad un dato invece realistico e assodato :  il bello esiste in sé. 
E il nostro cervello lo riconosce.



Il Corriere della Sera - Digital Edition

La bellezza non è un mito
(il cervello sa riconoscerla)


A quanti/e hanno pensato: «La bellezza è un mito, il vero splendore viene da dentro». Al 70% di donne che ad un sondaggio di Episteme su bellezza e felicità aveva risposto: «Mi sento più bella quando sto bene con me stessa». A chi aveva cominciato a credere al fiorire di un’idea «democratica» di bellezza, in cui ciascuno/a con i propri difetti potesse trovare cittadinanza.
 Doccia fredda per tutti. Nature dedica un approfondimento alla bellezza e il risveglio è brusco: non è «questione di gusti», la bellezza oggettiva esiste, fornisce informazioni giudicate affidabili su età, fertilità, salute e il nostro cervello è ben allenato a riconoscerla. 

«Gli esseri umani sono ossessionati dalla bellezza. E quando si trova un’ossessione come questa, ci deve essere qualcosa di più profondo che non una semplice norma culturale», dice Karl Grammer, antropologo a Vienna, fra i pionieri degli studi sull’attrazione e voce del dossier di Nature . 
 
Non sono state le attrici prima e le modelle dopo a plasmare la nostra idea di avvenenza, illudendoci che l’enfasi con cui oggi si parla delle «imperfezioni» di questa o quella top fosse il primo segnale di una diga che collassa. Certo, possono avere avuto un’influenza, continua Grammer, «ma solo su una scala molto piccola». Il giudizio estetico è invece una miscela complessa di fattori genetici, culturali e oggettivi, che hanno bisogno di tempo — molto tempo — per evolversi. E qual è dunque la vera bellezza? È il volto della regina Nefertiti, come ci è stato tramandato dal busto, vecchio 3.300 anni, custodito al Neues Museum di Berlino: labbra carnose, zigomi alti, occhi allungati. Di quell’antico Egitto sprofondato in una storia abissalmente lontana è rimasta dunque un’idea di bellezza che ancora resiste.
I nuovi strumenti delle neuroscienze avrebbero individuato le caratteristiche che ci fanno definire un volto attraente. Simmetria e dimorfismo sessuale (femminilità e mascolinità) innanzitutto. Una faccia simmetrica indica uno sviluppo sano, privo di malattie genetiche o malattie infettive. Un volto molto femminile — le labbra, gli zigomi e gli occhi di Nefertiti — richiama l’idea di fertilità. E quando ci imbattiamo in un volto così, difficile resistergli: alcune aree cerebrali vengono stimolate, generando sensazioni piacevoli, «vedere un volto attraente ci fa sentire come se avessimo appena vinto dei soldi, vederne uno poco attraente come se li avessimo appena persi»

Il cervello dunque risponde rapidamente e automaticamente alla bellezza, alla quale associa un’idea morale di bontà complessiva, con tutti i risvolti pratici (e inconsci) che questo comporta (persino sulle decisioni giudiziarie).
Quindi, partita chiusa? «Per un lungo tempo la bellezza è stato un segnale non falsificabile. Ma ora le cose sono cambiate». Le labbra, gli zigomi, gli occhi di Nefertiti sono diventati beni acquistabili. «Avremo bisogno di altre 10 o 20 generazioni di chirurgia plastica per vedere gli effetti evolutivi». Ingannare il cervello non è semplice, i segnali che capta sono molti: «Si può cambiare la simmetria del volto — chiude Grammer—. E poi inciampare sull’odore emanato dal corpo».

mercoledì 18 marzo 2015

SELVAGGIA E LA GALANTERIA DEL CAVALIERE

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Selvaggia Lucarelli sa essere divertente, quando vuole, e non di rado mi è capitato di leggere uno dei suoi articoli di "colore" che mi hanno strappato più di un sorriso.
Quello con il quale commenta la lettera del congedo finanziario di Berlusconi alle Olgettine è uno di quelli.
Basta prenderlo per quello che è : un post per far sorridere, senza moralismi bigotti, non infrequentemente celanti una insana invidia.
Non so se fu Sorrentino o altro scrittore dell'area progressista che aveva fatto un calcolo prima rapportava i 2500 euro che Berlusconi elargiva alle giovanotte alla  dichiarazione dei redditi dell'ex Premier (quella per la quale i giudici della separazione hanno elargito a Veronica Lario, donna, grazie sempre al marito, già ricca di suo, il modesto appannaggio di tre milini di euro l'anno !!!)  e poi facendo la stessa operazione con la propria - di Sorrentino - capacità reddituale. Da queste proporzioni emergeva che, per andare con queste gnocche,  lui avrebbe dovuto pagare l'equivalente di 2-3 euro a volta... cappuccino e cornetto insomma. Ebbene, chiesi a degli amici, attivamente anti cav ma decisamente apprezzanti l'avvenenza femminile, se avrebbero investito i loro 2-3 euro in qualche serata alternativa con signorine tipo quelle rese famose dal Bunga Bunga (sotto ci sono le foto di alcune, tanto per rinfrescarsi la memoria).
Nel rispondere, devo dire che furono onesti.
 


Selvaggia Lucarelli: "La lettera di Berlusconi alle olgettine è un capolavoro. Io gli farei una statua"

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Selvaggia Lucarelli: "La lettera di Berlusconi alle olgettine è un capolavoro. Io gli farei una statua"
Eccoli lì. Di nuovo tutti pronti a sbeffeggiare Berlusconi. A dargli del pappone, del pervertito, del foraggiatore di ragazzotte senza scrupoli, del corruttore che compra il silenzio. Dell’uomo che con due milioni di euro elargiti in un paio d’anni a una ventina di gentili signorine che avevano frequentato le cene eleganti, avrebbe convinto tutte a raccontare che a queste benedette cene dopo il dolce si giocava a «Mima il film» e tutti a dormire.
Nessuno però che guardi l’altro lato della medaglia. Nessuno che apprezzi la generosità e la galanteria di un uomo che anche quando l’harem sbaracca, continua a fare il sultano e si preoccupa del fatto che dopo di lui le sue odalische non debbano essere costrette, per mantenersi, a fare cose mortificanti. Tipo lavorare. E così regala una villa a Barbara Guerra, le dà le chiavi della villa a Barbados, consente a Ruby di rifarsi una vita in Messico (mica a Quartoggiaro), passa 2500 euro al mese a tutte le altre a mo’ di risarcimento morale perché figuriamoci se con tutta questa pressione psicologica Iris Berardi o Francesca Cipriani possono alzarsi alle sei del mattino per aprire la saracinesca di un’edicola. Insomma, l’uomo che nel 2001 promise un milione di posti di lavoro agli italiani, tredici anni dopo ha promesso a una ventina di olgettine che non avrebbero mai dovuto cercarsi un lavoro. E scusate, ma in un mondo di uomini che ormai ti invitano a cena fuori e ti chiedono di pagare il conto alla romana, mi pare una galanteria mica da poco. In un mondo di uomini che ti mollano e al massimo continuano a mandarti un sms laconico a Natale, io preferisco Berlusconi che continua a mandarmi un bonifico a fine mese. E non solo. In un mondo di uomini che ti lasciano su whatsapp, come non apprezzare l’accorata lettera di Silvio alle sue odalische in cui comunica con dolore che per colpa dei giudici non potrà più continuare a foraggiarle?
Guardate che è un assoluto capolavoro quella lettera. Intanto perché la manda in copia a tutte ma si preoccupa di scrivere il nome di ciascuna e il «ti voglio bene» finale a penna, di suo pugno, come a dire «ho fatto copia e incolla, ma come ti chiami me lo ricordo ancora». E poi perché scrive a Marystell Polanco ma si rivolge a lei come fosse Laura Boldrini. «Cara, sarai venuta a conoscenza che da alcune settimane sono state depositate le motivazioni relative agli incredibili processi sulle cene in casa mia. Inutile dirti che non c’è nessun riguardo per te e per gli altri ospiti delle nostre cene e che continua su di noi l’ignobile denigrazione che tutti abbiamo assurdamente dovuto subire». E in effetti Silvio ha ragione, perché mentre queste povere ragazze tentano in tutti i modi di recuperare la propria dignità macchiata da illazioni, chi andando a Le iene per dichiarare «Una botta e via è la storia della mia vita» come la Minetti, chi tatuandosi il logo dell’isola dei famosi su una tetta come la Cipriani, chi slinguazzandosi con l’amica su instagram come la Guerra, queste poverine continuano a essere denigrate. E ancora: «Ma c’è qualcosa in più. C’è che l’aiuto che io, seguendo l’impulso della mia coscienza, ho continuato a dare a te e alle altre ospiti per lenire gli effetti della devastazione che questi processi hanno causato alla vostra immagine, alla vostra dignità, alla vostra vita, rischia di essere incredibilmente strumentalizzato ipotizzando addirittura dei possibili reati a carico non solo mio ma anche vostro». Capito? F
inalmente un uomo che ritiene giusto dover risarcire una donna per le conseguenze devastanti della storia con lui. Altro che delinquente, altro che corruttore, altro che indagato. Io gli farei una statua a quest’uomo. Se tutti gli ex che mi hanno mollata causando infelicità e devastazione nella mia vita avessero seguito l’impulso delle loro coscienze come Silvio, oggi avrei vitalizi da almeno sei uomini diversi. E una pizzeria in Messico. Ma la lettera va avanti: «Si potrebbe attribuire al mio aiuto e alla mia accettazione una finalità diversa da quella reale. Per queste ragioni sono obbligato a sospendere da gennaio ogni mio contributo». E anche qui ditemi voi quanti sono gli uomini che prima di sparire ci comunicano la data esatta in cui lo faranno. Pensate a che mondo migliore sarebbe se mariti e fidanzati ci comunicassero via lettera (e col nostro nome scritto a penna eh), che si prenderanno cura di noi fino a quella data esatta e poi arrivederci e grazie, senza rancore. E da gennaio, per giunta, preoccupandosi pure del fatto che Aris Espinosa passi il Natale serena e coi soldi per il panettone. Mica come capita a noi, che veniamo mollate senza preavviso alla vigilia mentre non sono ancora passati i pastorelli e a Capodanno lui ha già postato le foto con l’altra alle Maldive su facebook.
E poi c’è il passaggio più tecnico: «Sono sicuro che tu sei consapevole di quale attacco mi è stato inflitto da una magistratura militante, che fa un uso politico della giustizia per eliminare l’unico ostacolo che si è opposto e che si oppone alla definitiva presa del potere da parte della sinistra». E qui per onestà va detto che la Guerra non ha capito bene la storia della magistratura militante, la Polanco quella dell’uso politico della giustizia e che la Cipriani non ha capito una mazza però ora va dicendo che è tutta colpa della sinistra e che non è un caso che quella volta sull’aereo ad esplodere sia stata la tetta sinistra. Infine, la conclusione: «Mi spiace, mi spiace tanto. Spero, a processo finito, di poterti rivedere e riabbracciare. Ti voglio bene. Silvio». Ditemi voi quale uomo concluderebbe una lettera così, rischiando per giunta l’evirazione chimica da parte della Pascale. E' un gentleman, Silvio, altro che. È l’ex fidanzato che ogni donna vorrebbe avere. È riconoscente, moralmente e materialmente. E se anche le avesse pagate per farle star zitte, con tutte le urla gratis che ci costano gli uomini, io credo che un giudice donna non possa che assolverlo. Perché le cene forse non erano eleganti, ma il suo modo di togliersi le donne dalle balle, è da manuale del bon ton.

mercoledì 12 novembre 2014

COMPLIMENTI MOLESTI ? DIPENDE DA CHI LI FA. SELVAGGIA LUCARELLI CONTRO LA DEMONIZZAZIONE DEI FISCHI MASCHILI PER STRADA


Probabilmente alcune lettrici penseranno che nell'articolo di Selvaggia Lucarelli ci sia molto autocompiacimento, visto che nel raccontare cosa avviene alle belle donne per strada, la giornalista pop indulge a molti lusinghieri esempi personali.
Può darsi che questa componente non manchi, ma non c'è da dubitare che una donna con le caratteristiche fisiognomiche della Lucarelli incontri il favore nazional popolare del gusto maschile. 
Resta che le sue considerazioni le trovo per lo più sensate, ancorché condite, com'è nello stile letterario del personaggio, con  molti passaggi ironici, esempi paradossali, la ricerca della battuta accattivante.
Il teme è il recente fenomeno di ragazze piacenti (anche più che tali) che camminando per strada registrano i commenti ricevuti dai passanti di sesso maschile, per denunciare l'inferno di molestie subito...
La cosa, partita da NY, si è subito diffusa in Italia, con titoli intriganti e preoccupanti di 100 molestie in 10 ore (10 ore per strada ? non c'hanno un cacchio da fare ste giovanotte ??).
Selvaggia Lucarelli, una donna, e non certo una geisha, che, sia per temperamento che per vicissitutini personali, non è tenera con l'altro sesso, decide insospettita di guardare da vicino queste "molestie" e si accorge che nella quasi totalità dei casi si tratta di complimenti, a volte magari non raffinatissimi. Anche un fischio rientra in questa categoria. La molestia è ALTRA cosa, seria, di cui sicuramente le donne sono vittime e che è giusto che sia biasimata e sanzionata. Perché questo possa accadere, è bene che ci si ritrovi però su una definizione generalmente accettabile, ché se si deve tenere conto della sensibilità di ciascuno si rischia di dilatare troppo lo specchio e col finire che "tutti molesti, nessuno molesto". 
Ecco, per Selvaggia Lucarelli è molesto l'uomo che non si limita a esprimere, magari con voce sonora in modo che la piazza  lo senta, o con un fischio prolungati, il proprio apprezzamento (sperabilmente non volgare, ma quelli letti nell'articolo non lo sono ), ma poi ti viene dietro, ti tampina, come diciamo noi a Roma. E' molesto, e peggio, il contatto fisico, anche solo per trattenerti un attimo ad ascoltare le proprie avances verbali, per non parlare di quando si va oltre (su autobus e metro affollate, toccamenti e "adesioni",sono ancora in triste voga, a quanto so).
Esagerando invece, come detto, si corre il rischio tipico della storiella del "al lupo al lupo". Le gente (ma anche le forze dell'ordine) non ti prende più sul serio e quando il lupo è vero, sei sola. 
"Tanto lo siamo lo stesso", l'obiezione che mi aspetto. Non è sempre vero. Personalmente, un paio di volte mi sono trovato ad assistere a casi di condotte spiacevoli di un uomo verso una donna e non sono mi sono fatto i fatti miei. Sono certo che molte persone che conosco avrebbero fatto esattamente lo stesso. 
Chiudo anche io sdrammatizzando. A Claudia Kohl, prima della "redenzione", un intervistatore chiese quando secondo lei un complimento fosse molesto. L'allora attrice rispose maliziosa "Dipende", "Da cosa ?" "Da chi lo fa".



Donne filmate in strada

Selvaggia: il fischio non è molestia.


Selvaggia: il fischio non è molestia. E voi cosa ne pensate?
Era qualche giorno che riflettevo su questo esperimento partito da New York e poi arrivato anche a casa nostra di filmare la passeggiata di una donna e registrare i numerosi commenti maschili al suo passaggio. C’era, nell’esperimento, qualcosa che non mi convinceva fino in fondo. Poi ieri ho acceso la tv e guardando Sky Tg24 Pomeriggio mi sono imbattuta in un teatrino sconcertante. C’era un deputato della Lega, Cristian Invernizzi, che disquisiva di questioni politiche con una certa pacatezza. In studio, la conduttrice Paola Saluzzi e l’eurodeputato Lara Comi. A un certo punto, Invernizzi afferma che "in Italia c’è una democrazia stuprata". Apriti cielo. La chioma rossa della Saluzzi si incendia che manco la fiamma sull’altare della Patria e la conduttrice lo interrompe bruscamente, dando vita ad un inatteso cazziatone della serie "La prego, la invito a non utilizzare il termine stupro con tutto quello che questo termine significa per le donne… ritiri quello che ha detto non le consento di dire queste cose…". Invernizzi la guarda basito. Perfino la Comi, che da "il rossetto rosso invecchia" a "non è tanto il caldo, è l’umidità" quando c’è un po’ di populismo spiccio si butta a pesce, non capisce se la Saluzzi sia seria o abbia iniziato con gli psicofarmaci.


Dopo lo sconcerto iniziale, il deputato leghista le fa notare che dire "stuprare la democrazia" non offende le donne, non sminuisce una cosa seria come la violenza sessuale e che è in uso utilizzare tale verbo in maniera metaforica. A questo punto chissà cosa avrà pensato la Saluzzi di Matteo Renzi quando ha dichiarato "Io una maggioranza con chi mi accusa di stuprare la Costituzione non la farei" con riferimento a Sel. Come minimo si sarà convinta che il premier abbia utilizzato il libro della Costituzione per costringere ad atti contronatura il povero Vendola. E insomma, terminato il teatrino surreale, sono tornata a pensare ai video delle passeggiate delle donne a New York e poi a Auckland e a Roma e a Napoli e così via e ho deciso di andare al di là dei titoli ad effetto (“100 molestie in dieci ore”) e di riguardarli con attenzione, perché fin dall’inizio mi era parso che “l’effetto Saluzzi” fosse dietro l’angolo, come uno stupratore seriale. E allora, andiamole ad analizzare queste molestie.
Le cento molestie newyorkesi sono sostanzialmente una decina di "Hey baby!", una ventina di "Hey beautiful", una decina di "Nice!", qualche "Damn!" ("accidenti!") sparso, più di un "Have a nice day!" e così via. Il tutto pronunciato senza avvicinarsi alla ragazza, senza allungare una mano, senza una particolare insistenza. 
In un solo caso un tizio, decisamente inquietante e molesto, la segue affiancandola per alcuni minuti. Per il resto, io di individui degni di essere ribattezzati molestatori non ne ho visti. Ho visto qualche cretino, qualche innocuo bavoso, qualche gradasso. Ho visto qualche testa girarsi e qualche gomitata complice tra amici, ma onestamente nulla (a parte il tizio che l’ha seguita ) che possa turbare una donna. Infastidirla o imbarazzarla, forse, ma se quelle sono molestie, io dai tassisti in fila nelle varie stazioni ferroviarie di Italia sono stata stuprata più volte. I tassisti romani poi, col loro entusiasmo pirotecnico ogni volta che salgo sulla macchina di un collega, dovrebbero marcire a San Vittore dopo aver subito evirazione chimica per avermi stuprata più volte con i loro "Anvedi che fata!" o "Quanto sei bona!". E in effetti, il video girato a Roma non racconta una realtà tanto diversa. Le terribili molestie sono una sflilza di "Single?", "Ciao!", "Bellissima!", pure un aulico "Ma gli angeli non volano?". Più di un uomo chiede "Come stai?" o "Stai bene?", che voglio dire, io più che definire molestatore un uomo che si preoccupa di come sto, lo definirei "attento e premuroso", forse me lo porterei pure a casa. Insomma, finirei per molestarlo io.
Nel video girato a Napoli la ragazza in questione è decisamente più gnocca e appariscente delle altre. Eppure, i molestatori si limitano a qualche fischio, qualche bacio da lontano con schiocco, molti "Bellissima!", un improbabile "Sono lentine o occhi tuoi?" e un clamoroso "Nientedimeno!?". 
Con questo non voglio dire che sguardi addosso e commenti inopportuni non possano essere fastidiosi, ma bisogna distinguere tra molestia e colore, tra inopportuno e goliardico, tra invadenza e lusinga. Perché diciamolo: il "sei bella" detto da uno sconosciuto quel giorno in cui siamo uscite di casa sentendoci dei cessi a pedali, può anche far piacere, talvolta. Alimentare l’autostima. Una comitiva che urla volgarità al tuo passaggio è altro. È branco, molesto e urticante. Un uomo che ti segue continuando a chiederti il numero di telefono è un molestatore. Ma ogni caso è a sé, e mettere insieme frasette innocue pronunciate dallo sfigato di turno con atteggiamenti realmente molesti banalizza un principio importante, che è quello del rispetto per le donne, toglie significato alla parola molestia e dà vita ad un femminismo spiccio che alle donne fa più male che bene. Io ho un’amica che è stata affiancata al semaforo da un ragazzo, abbagliato dalla sua bellezza, e un anno dopo se l’è sposato. Vi garantisco che non vi è stato abuso e non è stato un matrimonio riparatore.
Nel film Malena, le conturbanti camminate della Bellucci con gli sguardi allupati dei compaesani e gli apprezzamenti in dialetto sono entrate nella storia del cinema perché raccontavano il desiderio, non certo la molestia. In tante pellicole anni ’50 il fischio per strada alla Allasio di turno era folclore, non uno strizzare l’occhio allo stupro. Poi certo, in un mondo ideale dovremmo essere libere di girare per strada senza vedere strisce di bava sul marciapiede. Ma preferisco un "Sei bella" detto con garbo alla fermata dell’autobus che un "Non si dice democrazia stuprata!" pronunciato da una talebana del femminismo da bar.

venerdì 5 settembre 2014

SELVAGGIA LUCARELLI E L'INVIDIA PER LA FELICITAì DELLA COPPIA DELL'ESTATE : D'AMICO E BUFFON


Divertente, come più spesso accade, ma anche con spunti di saggezza nazionalpopolare, l'articolo che Selvaggia Lucarelli scrive trattando il tema dell'invidia della felicità altrui, partendo dalla vicenda di Gigi Buffon e Ilaria D'Amico. Sostanzialmente sono d'accordo con lei, e reputo molto sensato e ammirevole l'atteggiamento della vittima, la comunque bellissima Seredova, la quale commenta "ebbè, si è innamorato di un'altra, "c'aggia fa' " ? (ovviamente la tradita e abbandonata non si è espressa in napoletano, che però rende di più l'idea....).
Milionaria, grazie al generoso marito (Buffon farà una brutta fine temo, quando smetterà di giocare...troppo impulsivo  e dilapidante il ragazzo), diventata improvvisamente simpatica a milioni di donne, comprese quelle che prima la detestavano (sempre l'invidia di mezzo...), due bei figli, un esercito di uomini pronti a consolarla, forse penserà che ci sono guai peggiori nella vita. 
Gustoso il paragone che la Selvaggia fa tra la moglie del portiere della nazionale ed altre due trombate (nel senso di tradite, sia pure in campi diversi) eccellenti : la Trierweiler e la Ferrari.
Due autentiche signore le ultime due....basta scorrere i tweet dedicati alla Gandolfi (che le avrebbe soffiato il posto alla Domenica Sportiva) dalla seconda, e leggere qualche anticipazione del libro della prima. Dopo averlo letto, Hollande, che di quel libro è il vero protagonista (negativo all'ennesima potenza), avrebbe confidato : "per me è una catastrofe".  Già il presidente francese era ai minimi storici del gradimento dei suoi concittadini, figuriamoci adesso dopo che l'ex premiére dame dell'Eliseo ha rivelato il suo nascosto disprezzo per le classi povere, definite "gli sdentati"...Ovviamente le smentite sono già partite, e nessuno può escludere che si tratti di bugie velenose di una donna che ha ampiamente dimostrato di essere una autentica serpe (ma Hollande se l'è scelta, e tenuta vicino anche dopo il famoso affossamento elettorale della moglie Segolene, favorito proprio dalla ex giornalista, coi figli del presidente solidali con la madre e decisi a non incontrare mai la nuova, pessima donna del padre). 
Inutile soffermarsi sulla "classe" della Ferrari, con il suo riferimento ai denti rifatti (oh, un argomento caldo questo dei denti ! ) della Gandolfi.
Insomma, già sobria di per sé, la Seredova, che certo un'intellettuale non pensiamo sia, rispetto a queste due ha fatto un figurone immenso ! 
Meno i suoi sostenitori, soprattutto donne, con le solite menate sulle "sfascia famiglie", i figli che soffrono, la mancanza di scrupoli e di sensibilità dei due, Buffon e D'Amico naturalmente, nell'ostentare la loro felicità.
Già, la felicità. In realtà è questo il dente (aridaje !!) dolente...





Selvaggia sta con i piccioncini: baci roventi di Ilaria e Gigi, chi li critica è solo un rosicone

Selvaggia sta con i piccioncini: baci roventi di Ilaria e Gigi, chi li critica è solo un rosicone
Se è vero che le storie d’amore alla fin fine si somigliano un po’ tutte, si può affermare con certezza che le separazioni conservano una loro originalità non solo nelle dinamiche all’interno della coppia, ma pure nella tifoseria becera di chi si affretta a stabilire chi abbia torto e chi ragione. (La suocera e Wanda Nara sono le uniche sui cui torti sono stati sempre tutti d’accordo). Soprattutto nelle rotture che prevedono la presenza del famoso trittico «lui, lei, l’altro/a», gli equilibri non sono mai gli stessi, i ruoli possono invertirsi, le colpe si attribuiscono al momento, in base alla sensibilità del giudice e dell’onda emotiva del momento. Per farsi un’idea della faccenda, basta dare un’occhiata alle homepage di molti siti in questi giorni. Da una parte c’è la Trierweiler con le dichiarazioni choc sulla fine della sua tormentata storia con Hollande, dall’altra le nuove foto della coppia Buffon/D’Amico, dall’altra ancora l’annuncio della Ventura che dichiara trionfante d’aver voluto la Seredova con sé a Miss Italia perché «è stata esempio di dignità per le ragazze». Riassumendo: tre donne e tre modi diversi di vivere la fine di una storia d’amore.
La Trierweiler, secondo la sua imperdibile autobiografia, ha il classico profilo della cornuta che la prende con filosofia: appreso il tradimento, s’è messa a scappare per casa con la boccetta dei sonniferi in mano e Hollande che la rincorreva. Poi il ricovero di una settimana in ospedale e infine, appunto, una bella autobiografia da cui Hollande, si suppone, uscirà bene come la Gandolfi dopo un incontro in ascensore con Paola Ferrari. Roba che Michela Rocco di Torrepadula e Mia Farrow, al confronto, sono incassatrici professioniste.
Questo genere di donne vengono sostanzialmente acclamate dalla serena e pacificata tipologia femminile denominata «ora ti faccio rimpiangere non d’aver messo l’anello al dito a me 20 anni fa, ma di aver emesso il tuo primo vagito nel mondo 50 anni fa». Sono quelle donne che «Sì, lei è una sgualdrina rubamariti», ma la loro missione nella vita è riservare all’ex marito quanto di più vicino all’evirazione chimica sia possibile. Se la Trierweiler è colei che aspetta il cadavere dell’ex sulla riva del fiume, la Seredova è quella che tira fuori la canna da pesca e si mette a pescare fischiettando diabolica. Sul suo aplomb di fronte alla notizia che il Gigi nazionale la mollava per la D’Amico si sono spese già molte parole, ma è la valanga di solidarietà femminile che le è piombata addosso, ad essere interessante. E non è che sia così facile avere in curriculum un calendario per Max ed essere amate dalle donne. Ci vogliono, a volte, un bel paio di corna subite e un’amante-capro espiatorio con uno stacco di coscia lungo quanto la Salerno-Reggio Calabria.
Perché la Seredova, alla fine, ha agito d’astuzia. S’è guardata bene dal colpevolizzare Gigi, ha commentato la sua disavventura con un laconico: «Oh, s’è innamorato di un’altra, che ci posso fare» e con una mossa mefistofelica, ovvero buttando lì il sottotesto «se non fosse stato per quella lì, io e Gigi guarderemmo ancora C’è posta per te mano nella mano sul divano», s’è portata a casa il tifo feroce della categoria «maledetta sfasciafamiglie ammaliatrice gattamorta non avrò pace finché il primo etto di adipe non ti si depositerà sulle chiappe e lui ti mollerà per una ballerina ventenne estone».
E infatti, a leggere i commenti delle donne sotto le nuove gallery di Vanity fair e vari siti in cui Buffon e la D’Amico limonano duro non come se non ci fosse un domani, ma come se ci fosse un domani in cui ricominciare a limonare più duro del giorno prima, beh, viene da suggerire alla povera Ilaria di farsi scortare dai caschi blu anche solo per andare all’Esselunga.
Perché Buffon e la D’Amico sono, per il popolo beghino e giustizialista, la parte indifendibile della vicenda. Chi accusa lei essere una maestrina- manico di scopa e lui se ne pentirà. Chi taccia lui di essersi fatto abbindolare e profetizza un finale funesto, chi rimprovera ai due scarsa sensibilità per gli ex, chi dice che lui poteva abbracciare la palla durante i mondiali anziché la D’Amico durante la gita in barca, chi li accusa di non pensare al trauma che subiranno i figli nel vederli che slinguazzano sulla copertina di Oggi.
Insomma, possiamo dire che al momento la popolarità della D’Amico tra il pubblico femminile è alla pari con le smagliature argento, la menopausa e Raffaella Fico. Certo, viene facile decidere per chi tifare quando vedi la Trierweiler che si attacca alla boccetta dei sonniferi da una parte e Hollande che va in scooter dall’altra. O quando osservi Buffon e Ilaria pomiciare e la Seredova compiere un atto ancora più estremo del suicidio con i sonniferi: andare a Miss Italia. Eppure, la stessa Ventura che decanta la dignità della Seredova, non gestì la sua, di separazione, con particolare dignità. Ci furono, col suo ex marito, accuse reciproche, pubblicazioni di sms, esami del capello e meschinità varie. E qui, nell’apparente incongruenza della Ventura, sta il sunto della vicenda: nessuna di noi è Trierweiler o Seredova. Talvolta ci tocca il ruolo delle cornute con eleganza, più spesso quello delle cornute isteriche e con la dignità di una blatta da tubatura. È il ruolo della D’Amico quello che ci tocca con minor frequenza. E non perché noi siamo più sensibili e riservate di lei, non perché noi, amanti senza macchia, se proprio dobbiamo essere sfasciafamiglie siamo sfasciafamiglie di classe. Non raccontiamoci questa balla consolatoria e livorosa. È perché la fortuna della D’Amico è riservata a poche.
La verità è che chi infesta il web con commenti di una malvagità inaudita su Buffon e la D’Amico, ha seri problemi con la felicità altrui. La verità, amiche donne così preoccupate per i figli di questo o di quell’altro, è che voi uno che vi limoni senza pietà, incurante delle buone maniere e delle prevedibili critiche, ve lo sognate la notte. Come vi sognate la notte il miracolo di quell’innamoramento scemo, con le bocche e le mani che non sanno star ferme neanche su una spiaggia o in un ristorante, perché quando quella roba lì ti sorprende a quarant’anni anni sei più fesso e felice che a venti.
Preferite le coppie di plastica che nascondo la loro infelicità in camera da letto e le danno una frettolosa inamidata ai vernissage o quelle che la loro felicità ce la sbattono in faccia con l’allegra noncuranza di chi si ama? Io preferisco le seconde. Preferisco figli che vedano mamma e papà innamorati di nuovo fuori di casa, che mamma e papà in casa pure se non si amano più, tristi di quell’infelicità che filtra pure nelle pareti. E a dirla proprio tutta, da donna, mi auguro di avere sempre più spesso la lingua impegnata in affari interessanti come quelli della D’Amico, che in commentini livorosi sulla felicità altrui.

lunedì 1 settembre 2014

FINISCE UN'ESTATE MAI INIZIATA. EPPURE DEL BUONO C'E' STATO


L'estate è finita senza mai essere veramente iniziata. Quella del 2014 è stata sicuramente una stagione anomala, paragonabile forse, ma come opposto, all'inferno del 2003, quando le temperature schizzarono in alto da fine aprile e per 4 mesi non mollarono mai la morsa .
11 anni dopo, l'estate meno calda a mia memoria. Non sono uno che si è strappato i capelli ( mentre nel 2003 ero una belva...),  anche se comprendo ovviamente il malcontento e le ragioni soprattutto di chi lavora confidando nel bel tempo di questo periodo.
Tra i tanti commenti, inevitabili, ché il meteo è argomento secondo solo al calcio, ho trovato simpatico questo letto oggi sul Corriere e che propongo.
Qualcuno forse se ne adonterà un pochino, sicuramente quelli che si riconosceranno nel vuoto incolmabile creato loro dalla mancanza del solleone con il quale riempire almeno 8 ore del tempo libero regalato dalle vacanze. Gli altri sorrideranno prendendo l'articolo con la leggerezza che merita


In un’Estate Piovosa,
il bello del brutto tempo, 



  Ogni anno già verso la metà di giugno l’appartamento romano in cui abito diventa invivibile. Anche l’unica stanza non esposta a Sud, dove in luglio mi rifugio con la tv per guardare il Tour de France, si trasforma in una sauna. Questo luglio mi sono goduto il Tour al fresco, dolci pomeriggi colmi di pioggia che accompagnavano le immagini dei paesaggi francesi (il ciclismo in tv: il miglior modo per visitare un Paese se non si ha la fortuna di andarci). A Trieste invece, dove ho ancora casa e trascorro le ferie d’agosto, qualche anno fa mi sono rassegnato anch’io, come molti condomini, a installare il climatizzatore. Ebbene, in un mese l’ho acceso due volte.
Si è parlato del calo delle vendite di bibite, gelati e filtri solari, ma quanta energia avremo risparmiato? E quanto è aumentata la qualità della vita, perlomeno di coloro che non concepiscono la vacanza come un cottimo da scontare sulla sdraio? Pensiamo al sonno, i deliziosi pisolini pomeridiani cullati dal ticchettio della pioggia, le fresche dormite notturne interrotte a mattino inoltrato dal rumore degli alberi mossi dal vento o da un bel temporale (d’accordo, d’accordo, l’ennesimo). Tanta acqua mette tristezza nelle brevi giornate d’inverno (e anche sì, bisogna ammetterlo, sempre, nelle località di montagna), ma d’estate spalanca prospettive inedite su come godersi tutta questa improvvisa quantità di tempo libero.
Quando la luce non scema che dopo le nove e, miracolosamente, non si è tenuti al solito turno di otto ore di spiaggia, mille alternative cominciano a strizzarci l’occhiolino. Il ritmo stesso dei discorsi familiari diventa meno concitato — non si cerca parcheggio, non si sta in coda, non si suda — finalmente si parla. Certo, gli stabilimenti balneari ci hanno rimesso, ma chissà quanti libri e quanti ingressi ai musei... o forse è proprio questo il punto. Un’estate piovosa diventa brutta quando non sappiamo come impiegare tutte le ore che normalmente trascorreremmo schiantati al sole, quando l’alternativa all’arrostimento quotidiano è solo un mare sterminato di noia da bersi a piccoli sorsi in una stanza d’albergo, magari senza wi-fi.
Gli stranieri, ad esempio, non si annoiano: organizzano escursioni con i loro bastoncini da trekking anche in pieno centro cittadino, camminano felici in mezzo al nubifragio con quegli impermeabili di nylon sottili come crisalidi, vasti come paracaduti, divorano guide dettagliatissime seduti sugli zaini sotto le pensiline degli autobus, visitano anche i musei della civiltà rurale, i musei del treno, i musei della bora (sic). Avrebbero più ragioni di noi di scoraggiarsi — per loro il sole è davvero un sogno esotico, un evento estivo —, eppure non si scoraggiano. Ignorano bellamente il must, ma sarebbe più giusto dire la fissa, dell’abbronzatura, si aggirano per le botteghe dei prodotti tipici in attesa che si apra il cielo. Perché prima o poi il cielo si apre e ognuno di noi sa, per averlo provato, che una cosa è bella quanto più raro è il suo accadere.
Il bagno rubato alle sette di sera insieme a un paio di amici venuti in gita a Trieste con l’ombrello, il mare tornato liscio dopo la tempesta, le nubi viola trafitte dai raggi di sole come nella pittura barocca, noi in biancheria sulla spiaggia deserta. Il riposino sotto i pini di Villa Revoltella, senza mosche né zanzare. La nebbia fitta di un’alba romana di giugno. L’apnea in scooter dentro un acquazzone più biblico che tropicale (vedi il guasto dell’orologio subacqueo).
Vabbe’, è andata così, ora si ricomincia. Per gli inconsolabili c’è almeno il sollievo di non dover più compulsare i siti meteo, vera fonte di frustrazione di chi non si è ancora rassegnato a formulare le proprie previsioni affacciandosi alla finestra. 

Mauro Covacich

giovedì 26 giugno 2014

ESPLODE LA MODA DEI SEXSELFIE : FOTO DURANTE IL SESSO DA PUBBLICARE POI SU INTERNET


Prendo atto che il narcisismo impera, e sui social network è tutto uno spopolare di foto, specie "selfie", vale a dire gli autoscatti. Tra questi, quelli ammiccanti di adolescenti nemmeno 14enni, tutti uguali e quindi vieppiù sciocchi, come del resto molte delle cose che si fanno a quell'età. 
Le più grandi amano mettersi in mostra in modo diverso, e scopro nuove espressioni come il "bikini bridge" Bikini Bridge Italia("ponte sospeso"...mi sono documentato ed è  quella specie di ponte che si forma tra le ossa delle anche e la pancia e che viene ben delineato dal bordo del costume) e il "thig gap"   (spazio tra le cosce,  e questo già si capisce meglio che è la fissazione delle teen agers di avere le gambe magrissime ). 
In entrambi i casi, oltre alla mania di raggiungere certi modelli, c'è quella di mostrarsi a tutti via web.
Adesso però la frontiera si sposta ancora più in là e inizia a spopolare la pubblicazione degli scatti bollenti di se stessi alle prese col sesso. 
Mentre stai lì, in teoria preso dalla cosa, trovi modo e maniera di farti un bel selfie, in modo da coinvolgere poi gli amici, veri o virtuali che siano...
Dicono che è un nuovo passo per la liberazione sessuale.
A me, come dicevano secoli fa a Drive In ( il gruppo Trettre mi pare fosse), "me para 'na strunzata". 
Comunque ecco l'articolo che Libero dedica alla cosa 






Scatti bollenti

Sexselfie, la nuova moda di farsi foto durante il sesso



Sexselfie, la nuova moda di farsi foto durante il sesso
Ora che i selfie sono diventati così popolari sui social network, gli utenti del web stanno cercando delle varianti. E non poteva mancare il risvolto porno: la nuova moda che sta spopolando tra i giovani si chiama sexselfie e consiste nel scattarsi delle fotografie durante i rapporti sessuali, per poi condividerle sui social. Twitter e Instagram sono già pieni di questa nuova tipologia di selfie, nata a Taiwan e in Giappone, ma presto diffusa anche negli altri paesi.
Libertà sessuale - Così dopo la moda hot del bikini bridge e del thigh gap, adesso i social regalano un altro spunto bollente. Ma è positivo per i rapporti di coppia? Secondo il sessuologo Eric Anderson dell’Università di Winchester questa è una sorta di rivoluzione sessuale, per le nuove generazioni. "I sexselfies indicano una maggiore liberazione sessuale – spiega –. I giovani sono probabilmente molto coinvolti in questa pratica, dimostrazione che le tecnologie digitali stanno contribuendo a creare una società sessualmente più aperta".

giovedì 6 febbraio 2014

BELLISSIMA 28ENNE CERCA UOMO RICCO DA SPOSARE. RISPOSTA : PROPOSTA ANTIIECONOMICA !

Un'amica carissima mi manda questo divertente post. Mi sembra di capire che sia una storia vera.
Comunque fa ridere, e il Blog deve ogni tanto alleggerirsi per il bene dei suoi lettori ma anche del suo autore...



Bella 28enne Cerca Uomo Ricco. Ecco l’Incredibile Risposta Che ha Ricevuto


Il fatto che una donna si venda o venda il proprio corpo, ahimè non ci stupisce più di tanto. I siti e i vari giornali sono pieni di donne e uomini che lo fanno quotidianamente, senza contare chi lo fa sulla strada o nelle case. Questa ragazza di 28 anni ha pubblicato il suo annuncio su un sito finanziario, sicuramente perché ha pensato di trovare l’uomo che sta cercando: uno ricco! Ha ovviamente scritto quali sono le sue caratteristiche spiegando di essere molto intelligente e anche bellissima. Un simpaticone ha risposto e le ha spiegato molto bene perché non trova l’uomo che cerca….
La donna raffigurata non ha niente a che fare con il contenuto dell'articolo

Ecco il testo dell’inserzione
Splendida 28enne cerca uomo con guadagno di almeno 500mila dollari.
Sono una ragazza bella (anzi, bellissima) di 28 anni. Sono intelligente e ho molta classe. Vorrei sposarmi con qualcuno che guadagni minimo mezzo milione di dollari l’anno. C’é in questo sito un uomo che guadagni ciò? Oppure mogli di uomini milionari che possono darmi suggerimenti in merito?
Ho già avuto relazioni con uomini che guadagnavano 200 o 250 mila dollari, ma ciò non mi permette di vivere in Central Park West. Conosco una signora che fa yoga con me, che ha sposato un ricco banchiere e vive a Tribeca, non é bella quanto me, e nemmeno tanto intelligente. Quindi mi chiedo, cosa ha fatto per meritare ciò e perché io non ci riesco? Come posso raggiungere il suo livello?
Ed ecco l’incredibile e bellissima risposta che ha ricevuto.
Ho letto la sua e-mail con molto interesse, ho pensato profondamente al suo caso e ho fatto una diagnosi della sua situazione. Premetto che non sto rubando il suo tempo, dato che guadagno 500 mila dollari l’anno. Detto ciò, considero i fatti nel seguente modo: Quello che Lei offre, visto dalla prospettiva di un uomo come quello che Lei cerca, è semplicemente un pessimo affare. E ciò per i seguenti motivi:
  1. Lasciando perdere i blablabla, quella che Lei suggerisce è una negoziazione molto semplice. Lei offre la sua bellezza fisica e io ci metto i miei soldi. Proposta molto chiara, questa. Ma c’è un piccolo problema. Di sicuro, la Sua bellezza diminuirà poco a poco e un giorno svanirà, mentre è molto probabile che il mio conto bancario aumenterà continuamente. Dunque, in termini economici, Lei é un attivo che soffre di deprezzamento, mentre io sono un attivo che rende dividendi.
  2. Lei non solo soffre un deprezzamento ma questo è progressivo ed aumenta ogni anno! Spiego meglio: Oggi Lei ha 28 anni, é bella e continuerà così per i prossimi 5/10 anni, ma sempre un po’ meno e all’improvviso, quando Lei osserverà una foto di oggi, si accorgerà che è diventata una pera raggrinzita. Questo significa, in termini di mercato, che oggi lei è ben quotata, nell’epoca ideale per essere venduta, non per essere comprata. Usando il linguaggio di Wall Street, chi la possiede oggi deve metterla in “trading position” (posizione di commercio), e non in “buy and hold” (compra e tieni stretto), che, da quanto sembra, è quello per cui Lei si offre. Quindi, sempre in termini commerciali, il matrimonio (“buy and hold”) con Lei non é un buon affare a medio/lungo termine. In compenso, affittarla per un periodo, può essere, anche socialmente, un affare ragionevole e potremmo pensarci su.
Potremmo avere una relazione per un certo periodo…..Huuummm…. Pensandoci meglio e per assicurarmi quanto intelligente, di classe e bellissima lei è, se possibile, essendo io futuro “affittuario” di tale “macchina”, richiedo ciò che è di prassi: Fare un test drive.

La prego di stabilire data e ora.

venerdì 10 gennaio 2014

IL FILM DI VIRZì CHE PIACE AL BRIANZOLO ANZANI "NESSUNA OFFESA, QUELLA NON E' LA BRIANZA"


Il film di Virzì è appena uscito e le polemiche tracimano, credo grazie, o per colpa, di alcune sue fan che hanno gridato al capolavoro per motivi tutti politici.  IL film è  Il Capitale Umano, e le due signore sono Natalia Aspesi e Concita De Gregorio. 
Penso di andarlo a vedere, che i critici che lo hanno visto ne hanno parlato bene, e non certo per le ragioni che hanno entusiasmato le due attempate signore del giornalismo di costume e società della sinistra, ma semplicemente perché è ben fatto, ben recitato con molti attori bravi. E  Virzì, al di là delle idee personali (spesso ottimi registi hanno idee bacate )  ha fatto anche bei film.
Poi ognuno ha le sue idee, e se la rappresentazione di una certa umanità, che è sempre esistita, manda in brodo di giuggiole alcuni che pensano di vedere finalmente denunciate le cause del nostro declino culturale, fatti loro.
In attesa di un giudizio personale, ho trovato interessante il parere di un brianzolo vero, un imprenditore bravo e fortunato (nel senso che la sua azienda non è in crisi; bene per lui e anche per le 700 persone che ci lavorano, nonché per le loro famiglie) . Si tratta di Giovanni Anzani, che ha apprezzato il film e non si è sentito per nulla offeso in quanto, ha rilevato, la vicenda, ambientata nominalmente in Brianza, poteva esserlo in Emilia Romagna, che non è che nel modenese manchino gli imprenditori col capannone (lo abbiamo purtroppo visto durante il terremoto) o in qualsiasi altro posto (del resto, è lo stesso concetto espresso dal regista, intervistato).
Di più, la finanza "senza scrupoli" descritta non è nella mentalità brianzola, ancora legata alla "fabbricchetta" e alla produzione di merci poi da vendere con relativo guadagno. 
Insomma, la sensazione è che si sia scatenato un certo tifo partigiano che col film vero e proprio c'entra nulla o poco (del resto, se un critico del Corriere è stato capace di vedere nel film "Blu Jasmine" la storia di un riscatto femminile, veramente ognuno può dire qualsiasi cosa ! ).
Ma vi saprò dire meglio dopo averlo visto.
Il servizio che segue è de La Stampa che, a distanza di mesi posso dirlo, a mio avviso ha servizi di cronaca migliori del Corriere (che ha invece opinionisti più bravi).

“La polemica di Virzì con la Brianza? Una leggenda”

Abbiamo visto “Il capitale umano” con l’imprenditore Giovanni Anzani. Non s’è offeso, e ci spiega perché
Una scena de ”Il capitale umano”, undicesimo film della carriera di Paolo Virzì, il più “nero” di un autore noto soprattutto per le commedie
«Ma tutto questo con la Brianza che cosa c’entra?», mi chiede alle otto di sera Giovanni Anzani appena scorrono i titoli di coda de «Il capitale umano» di Paolo Virzì. È un grande imprenditore brianzolo e gli avevamo chiesto di assistere con noi alla prima. Ci sono tante polemiche, sulla cattiva rappresentazione che Virzì avrebbe dato della Brianza e dei brianzoli, gente cinica e ignorantotta che pensa solo a fa’ i dané: e così volevamo capire se i presunti bersagli del film si sarebbero offesi. «Offeso? No, assolutamente no. Non ho visto nulla contro la Brianza, anzi non ho proprio visto la Brianza». 

Un passo indietro. Lissone, zona di capannoni, soprattutto mobilifici. In una multisala sto aspettando il nostro ospite, o meglio la nostra guida alla visione. È appunto Giovanni Anzani detto Nino, uno dei proprietari della Poliform di Inverigo (profondissima Brianza anche quella), azienda stranota in tutto il mondo per i suoi arredi e il design.  

Esporta il 70 per cento del proprio fatturato in 85 Paesi, ma le sue sette fabbriche sono tutte in Brianza. È nata nel 1942. Ha seicento dipendenti in Italia e cento all’estero, fra Londra e New York. Insomma la persona che sto aspettando è uno importante. Tra l’altro, vicepresidente vicario di Federlegno e presidente di Assarredo. L’appuntamento è alle cinque del pomeriggio e alle ore diciassette e zero zero Anzani si presenta perché la Brianza, caro Virzì, è anche questa: puntualità.  

La proiezione comincia alle 17,30. C’è il tempo per fare due chiacchiere. Anzani ha una certa dimestichezza con i film perché nelle sue fabbriche è stata ambientata la fiction della Rai «Una grande famiglia», sette milioni di spettatori. Ha letto qualcosa delle polemiche sul film di Virzì e in effetti è un po’ carico: «Ci sono pseudo intellettuali che prendono i soldi dallo Stato e invece di mostrare il buono che c’è in Italia, denigrano. Il tutto viene ripreso dalla stampa straniera e così io che mi ritrovo a vendere all’estero il made in Italy mi sento chiedere: in che Paese vivete?». Aggiunge: «I nostri vecchi ci insegnavano che i panni sporchi si lavano in casa». 

Ma poi comincia il film. Che è fatto veramente bene. Il livello è quello dei migliori registi americani. Però uno che conosce la Brianza è assalito a un certo punto da un colossale «Boh». Dov’è la Brianza? Sì, il paese è chiamato Ornate Brianza. Ma la campagna potrebbe essere ovunque; la città è Varese; il quotidiano sempre citato e mostrato, «La Prealpina», è di Varese; il teatro Politeama che si vede è quello di Como; l’assessore leghista vorrebbe portarci, in quel teatro, il coro della Valcuvia, provincia di Varese. Tutto Lombardia, va bene. Ma Como e Varese non sono Brianza. Com’è che è scattata la polemica con i politici di Monza e Provincia? Boh. Anche gli affari dei protagonisti non sono quelli dei brianzoli. Perché? Lo spiega bene Anzani appena finisce il film, quando appunto chiede che cosa c’entri, tutto questo, con la Brianza. 

«Il mondo della finanza - dice - non è specifico della Brianza. Anzi è prettamente milanese, e Milano e la Brianza sono due universi lontani. La Brianza che conosco io non è quella che spera di far soldi con le speculazioni: al contrario, è quella che rischia di suo e crea posti di lavoro. Il tutto senza avere mai avuto leggi speciali, fondi o agevolazioni».  

Il brianzolo come un benefattore dell’umanità? «Guardi - mi risponde - sia chiara una cosa: che il brianzolo voglia fare i soldi, è vero. Ma non in quel modo lì che si vede nel film. Io vivo in Brianza e uno che faccia il lavoro che nel film fa Fabrizio Gifuni, a me non viene in mente. Il core business del brianzolo è la fabbrica, la produzione. Se investe qualcosa, lo fa con titoli a basso rischio per crearsi una pensione o un tesoretto che possa servire a finanziare l’azienda in tempi di magra. Ma il brianzolo diffida del mondo della finanza: se potesse, i soldi li metterebbe sotto il materasso». 

E l’accusa di incultura? I teatri trascurati e lasciati morire? «Ricordo mio padre. Aveva la terza elementare e lavorava dodici-tredici ore al giorno. In Brianza ogni casa, nel dopoguerra, aveva l’abitazione al piano di sopra e il laboratorio al piano terra. Le grandi ville che si vedono nel film? E chi le ha mai viste. Semmai sono arrivate dopo, in anni più vicini a noi, e riservate ad alcuni segmenti. Ma l’imprenditore brianzolo di norma non abita in quelle regge».  

Gli chiedo della rappresentazione che Virzì fa del figlio del riccone: un po’ scemo e debosciato, macchinone e sballo: «Purtroppo è una figura reale - risponde - è tutto vero: auto, droga e alcol. Sono la generazione cresciuta con il benessere, del tutto è dovuto. È stato un grosso errore della mia generazione. Li abbiamo viziati. Non siamo riusciti a trasmettere loro la passione per il lavoro». 

Al momento dei saluti assicura ancora di non essersi offeso: «Se invece della Prealpina avessero fatto vedere Il Resto del Carlino, poteva sembrare girato in Emilia».  

Lo ringrazio per il tempo che ci ha dedicato: «Ma non ho perso tempo. Ho visto un bel film, e mi fa piacere che la Brianza non sia stata denigrata».