Il film di Virzì è appena uscito e le polemiche tracimano, credo grazie, o per colpa, di alcune sue fan che hanno gridato al capolavoro per motivi tutti politici. IL film è Il Capitale Umano, e le due signore sono Natalia Aspesi e Concita De Gregorio.
Penso di andarlo a vedere, che i critici che lo hanno visto ne hanno parlato bene, e non certo per le ragioni che hanno entusiasmato le due attempate signore del giornalismo di costume e società della sinistra, ma semplicemente perché è ben fatto, ben recitato con molti attori bravi. E Virzì, al di là delle idee personali (spesso ottimi registi hanno idee bacate ) ha fatto anche bei film.
Poi ognuno ha le sue idee, e se la rappresentazione di una certa umanità, che è sempre esistita, manda in brodo di giuggiole alcuni che pensano di vedere finalmente denunciate le cause del nostro declino culturale, fatti loro.
In attesa di un giudizio personale, ho trovato interessante il parere di un brianzolo vero, un imprenditore bravo e fortunato (nel senso che la sua azienda non è in crisi; bene per lui e anche per le 700 persone che ci lavorano, nonché per le loro famiglie) . Si tratta di Giovanni Anzani, che ha apprezzato il film e non si è sentito per nulla offeso in quanto, ha rilevato, la vicenda, ambientata nominalmente in Brianza, poteva esserlo in Emilia Romagna, che non è che nel modenese manchino gli imprenditori col capannone (lo abbiamo purtroppo visto durante il terremoto) o in qualsiasi altro posto (del resto, è lo stesso concetto espresso dal regista, intervistato).
Di più, la finanza "senza scrupoli" descritta non è nella mentalità brianzola, ancora legata alla "fabbricchetta" e alla produzione di merci poi da vendere con relativo guadagno.
Insomma, la sensazione è che si sia scatenato un certo tifo partigiano che col film vero e proprio c'entra nulla o poco (del resto, se un critico del Corriere è stato capace di vedere nel film "Blu Jasmine" la storia di un riscatto femminile, veramente ognuno può dire qualsiasi cosa ! ).
Ma vi saprò dire meglio dopo averlo visto.
Il servizio che segue è de La Stampa che, a distanza di mesi posso dirlo, a mio avviso ha servizi di cronaca migliori del Corriere (che ha invece opinionisti più bravi).
“La polemica di Virzì con la Brianza? Una leggenda”
Abbiamo visto “Il capitale umano” con l’imprenditore Giovanni Anzani. Non s’è offeso, e ci spiega perché
Una scena de ”Il capitale umano”,
undicesimo film della carriera di Paolo Virzì, il più “nero” di un
autore noto soprattutto per le commedie
Un passo indietro. Lissone, zona di capannoni, soprattutto mobilifici. In una multisala sto aspettando il nostro ospite, o meglio la nostra guida alla visione. È appunto Giovanni Anzani detto Nino, uno dei proprietari della Poliform di Inverigo (profondissima Brianza anche quella), azienda stranota in tutto il mondo per i suoi arredi e il design.
Esporta il 70 per cento del proprio fatturato in 85 Paesi, ma le sue sette fabbriche sono tutte in Brianza. È nata nel 1942. Ha seicento dipendenti in Italia e cento all’estero, fra Londra e New York. Insomma la persona che sto aspettando è uno importante. Tra l’altro, vicepresidente vicario di Federlegno e presidente di Assarredo. L’appuntamento è alle cinque del pomeriggio e alle ore diciassette e zero zero Anzani si presenta perché la Brianza, caro Virzì, è anche questa: puntualità.
La proiezione comincia alle 17,30. C’è il tempo per fare due chiacchiere. Anzani ha una certa dimestichezza con i film perché nelle sue fabbriche è stata ambientata la fiction della Rai «Una grande famiglia», sette milioni di spettatori. Ha letto qualcosa delle polemiche sul film di Virzì e in effetti è un po’ carico: «Ci sono pseudo intellettuali che prendono i soldi dallo Stato e invece di mostrare il buono che c’è in Italia, denigrano. Il tutto viene ripreso dalla stampa straniera e così io che mi ritrovo a vendere all’estero il made in Italy mi sento chiedere: in che Paese vivete?». Aggiunge: «I nostri vecchi ci insegnavano che i panni sporchi si lavano in casa».
Ma poi comincia il film. Che è fatto veramente bene. Il livello è quello dei migliori registi americani. Però uno che conosce la Brianza è assalito a un certo punto da un colossale «Boh». Dov’è la Brianza? Sì, il paese è chiamato Ornate Brianza. Ma la campagna potrebbe essere ovunque; la città è Varese; il quotidiano sempre citato e mostrato, «La Prealpina», è di Varese; il teatro Politeama che si vede è quello di Como; l’assessore leghista vorrebbe portarci, in quel teatro, il coro della Valcuvia, provincia di Varese. Tutto Lombardia, va bene. Ma Como e Varese non sono Brianza. Com’è che è scattata la polemica con i politici di Monza e Provincia? Boh. Anche gli affari dei protagonisti non sono quelli dei brianzoli. Perché? Lo spiega bene Anzani appena finisce il film, quando appunto chiede che cosa c’entri, tutto questo, con la Brianza.
«Il mondo della finanza - dice - non è specifico della Brianza. Anzi è prettamente milanese, e Milano e la Brianza sono due universi lontani. La Brianza che conosco io non è quella che spera di far soldi con le speculazioni: al contrario, è quella che rischia di suo e crea posti di lavoro. Il tutto senza avere mai avuto leggi speciali, fondi o agevolazioni».
Il brianzolo come un benefattore dell’umanità? «Guardi - mi risponde - sia chiara una cosa: che il brianzolo voglia fare i soldi, è vero. Ma non in quel modo lì che si vede nel film. Io vivo in Brianza e uno che faccia il lavoro che nel film fa Fabrizio Gifuni, a me non viene in mente. Il core business del brianzolo è la fabbrica, la produzione. Se investe qualcosa, lo fa con titoli a basso rischio per crearsi una pensione o un tesoretto che possa servire a finanziare l’azienda in tempi di magra. Ma il brianzolo diffida del mondo della finanza: se potesse, i soldi li metterebbe sotto il materasso».
E l’accusa di incultura? I teatri trascurati e lasciati morire? «Ricordo mio padre. Aveva la terza elementare e lavorava dodici-tredici ore al giorno. In Brianza ogni casa, nel dopoguerra, aveva l’abitazione al piano di sopra e il laboratorio al piano terra. Le grandi ville che si vedono nel film? E chi le ha mai viste. Semmai sono arrivate dopo, in anni più vicini a noi, e riservate ad alcuni segmenti. Ma l’imprenditore brianzolo di norma non abita in quelle regge».
Gli chiedo della rappresentazione che Virzì fa del figlio del riccone: un po’ scemo e debosciato, macchinone e sballo: «Purtroppo è una figura reale - risponde - è tutto vero: auto, droga e alcol. Sono la generazione cresciuta con il benessere, del tutto è dovuto. È stato un grosso errore della mia generazione. Li abbiamo viziati. Non siamo riusciti a trasmettere loro la passione per il lavoro».
Al momento dei saluti assicura ancora di non essersi offeso: «Se invece della Prealpina avessero fatto vedere Il Resto del Carlino, poteva sembrare girato in Emilia».
Lo ringrazio per il tempo che ci ha dedicato: «Ma non ho perso tempo. Ho visto un bel film, e mi fa piacere che la Brianza non sia stata denigrata».
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