venerdì 17 ottobre 2014

ECCO PERCHE' BERLUSCONI E' STATO ASSOLTO IN APPELLO NEL PROCESSO RUBY



Chissà quanto deve essere costato a Luigi Ferrarella, forse in questo spinto dal collega Guastella, dover riportare i passaggi salienti dell'assoluzione  di Berlusconi nel processo Ruby da parte della Corte d'Appello di Milano. Si è rifatto potendo romanzare le dimissioni del Presidente della Corte, uomo di 70 anni (SETTANTA !) che avrebbe "clamorosamente" anticipato la sua uscita dalla magistratura - 15 mesi, fruendo della proproga che Renzi vuole eliminare - a causa della sentenza assolutoria che, in qualità di presidente, avrebbe dovuto firmare nonostante il suo dissenso rispetto agli altri due colleghi.
Ne parliamo altrove  ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/10/il-presidente-che-firma-lassoluzione-di.html ).
Qui riporto l'articolo che dà conto delle motivazioni, che francamente mi sembrano convincenti.
Ma del resto, da sempre il processo Ruby l'ho visto come la pistola fumante della persecuzione giudiziaria di una certa parte della magistratura, specie milanese, nei confronti del Cavaliere. 
Scomodare calibri come Greco e Boccassini per un processo di induzione alla prostituzione, con una ipotesi di concussione tirata per i capelli ( nessuna denuncia dalle parti lese, nessuna prova di vantaggi resi ai concussi, né dati e nemmeno promessi), era assolutamente significativo.
Ho letto vari commenti di questa sentenza, tra cui quello al vetriolo di Tiziana Maiolo, sul Garantista, che stigmatizza con durezza il moralismo bacchettone che trasuda dalle 330 pagine della motivazione, e quello più asettico dell'avvocato Carlo Federico Grosso, su La Stampa, che apprezza come la Corte abbia ribadito un principio sacrosanto del diritto per il quale se non si raggiunge la prova certa, al di là di ogni ragionevole dubbio, dell'esistenza di tutti gli elementi che costituiscono il reato, il giudice DEVE assolvere. 
Principio solido nella cultura anglosassone, meno da noi, nonostante il dettato costituzionale, e nelle corti di merito si vede !
L' "insufficienza di prove", come si chiamava un tempo, vale peraltro per l'ipotesi di "induzione alla prostituzione", mentre per quanto riguarda il reato più grave, la concussione, la Corte ha proprio deciso che questo non è stato commesso. Non vi fu alcuna costrizione, e nemmeno induzione. Nell'intervento di Berlusconi non ci fu una minaccia, ai sensi dell'art. 317 del codice penale, nè una induzione, punibili secondo l'art. 319 quater, mancando, tra l'altro, il "vantaggio indebito del privato". 
Badate, Grasso non deve essere un tifoso del Cav, e si comprende bene dalla sua chiosa, dove, prevedendo il ricorso in Cassazione della Procura, auspica una verifica critica attenta della sentenza assolutoria, che ha ribaltato quella di primo grado...
Premesso che, in teoria, SEMPRE tutte le corti, e quindi la cd. "suprema", dovrebbero operare con attenzione, perché non pensare che fosse debole la sentenza di condanna di primo grado, sia in fatto che in diritto ?



Il Corriere della Sera - Digital Edition

«Berlusconi non conosceva l’età di Ruby»
Le motivazioni dell’assoluzione: dall’ex premier 
nessuna minaccia, nel poliziotto timore autoindotto




MILANO Non vi fu «minaccia esplicita o implicita» nella telefonata notturna di Silvio Berlusconi al capo di gabinetto della Questura di Milano dove era in corso l’identificazione della minorenne marocchina Karima «Ruby» El Mahroug, ma semplicemente «una richiesta» che fu Pietro Ostuni a «compiacere» per «timore autoindotto».
Certo, anche per la Corte d’Appello che il 18 luglio lo ha assolto cancellando i 7 anni inflitti dal primo grado, «è sicuramente accertato che Berlusconi la notte del 27-28 maggio 2010 abusò della sua qualità di Presidente del Consiglio, simulando un interesse istituzionale al rilascio di Ruby» perché in realtà «aveva un personale concreto interesse» a farla affidare alla consigliera regionale Nicole Minetti per scongiurare «rivelazioni compromettenti, considerato che la ragazza nella residenza di Arcore aveva assistito e partecipato ad atti sessuali a pagamento».
Ma «manca la prova che la telefonata fosse assistita da una minaccia», mentre alla Corte essa appare invece «una segnalazione, una sostanziale “richiesta” che definire “ordine” non basta a trasformare in una prevaricazione costrittiva rilevante penalmente». E se ebbe davvero un «effetto acceleratorio» dell’affidamento di Ruby alla Minetti, «sacrificando l’interesse obiettivo della minore» e «forzando le procedure di prassi», ciò avvenne per l’«accondiscendenza incautamente e frettolosamente accordata» al premier da Ostuni «per timore reverenziale, compiacenza o timore autoindotto, debolezza o desiderio di non sfigurare a fronte della rappresentazione soggettiva, condizionata dall’autorevole accreditamento del premier, di una effettiva possibilità di affidamento di Ruby consona al suo interesse».
A detta delle 330 pagine di motivazioni redatte da Ketty Locurto (in collegio con Alberto Puccinelli e il presidente Enrico Tranfa), il Tribunale «da un effetto noto (l’affidamento di Ruby a Minetti) è risalito a una causa (la minaccia implicita di Berlusconi a Ostuni) attraverso l’applicazione di una regola di giudizio che non offre garanzie di verità, ma poggia su una duplice petizione di principio». Invece la presunta vittima «Ostuni ha descritto il colloquio con Berlusconi senza alcun accenno a coartazioni o minacce», e «i 2-3 contatti tra Ostuni e le utenze cellulari della Presidenza del Consiglio» sono «semplice aggiornamento».
Per i giudici d’Appello, pensare di ricavare la minacciosità del premier dall’esordio del suo caposcorta («Dottore, le passo il Presidente del Consiglio, perché c’è un problema») e dal congedo («Va bene, poi ci faccia sapere, ci risentiamo») è «scivoloso e inaffidabile» tra frasi «di equivoca portata» e «anodina espressività».
Per l’Appello, né la vecchia concussione né la nuova induzione indebita, spacchettata dalla legge Severino, sono fondabili sulla «falsa rappresentazione della parentela di Ruby con Mubarak e sul surrettizio accreditamento di Minetti» quale consigliere ministeriale, carica inesistente: ciò «poteva semmai avere (e parzialmente ha avuto) l’effetto di indurre in errore l’interlocutore o persuaderlo subdolamente, ma era privo di significato minatorio». Sia perché la balla di Mubarak, se «catalizza l’attenzione di Ostuni», tramonta subito in Questura, e «perde qualsiasi efficacia causale: la circostanza preoccupa fintanto che inganna, cessa di preoccupare quando se ne scopre la falsità». Sia perché Berlusconi non fece nulla che «dall’esterno potesse ingenerare in Ostuni la convinzione di dover obbedire per non subire un male ingiusto o (viceversa in caso di accondiscendenza) per lucrare un qualsiasi vantaggio», quale «l’aspettativa di un beneficio di carriera» che «tuttavia non trova alcun puntello probatorio e rimane mera congettura razionale».
Il fatto è, per l’Appello, che «Ostuni, improvvidamente sbilanciatosi ad assicurare a Berlusconi l’affidamento di Ruby a Minetti, fa di tutto per darvi corso, esercitando un’insistente pressione acceleratoria sulla funzionaria Iafrate. E Iafrate con uno sforzo di equilibrismo, cerca una mediazione attraverso un logorante tentativo di persuasione sul pm minorile Fiorillo e l’affidamento formale a Minetti di Ruby», poi però finita da una prostituta.
Per i giudici «l’imputazione presuppone che Fiorillo avesse autorizzato l’affidamento a Minetti, seppure subordinato all’acquisizione di un documento della minore». Ma si era «in una procedura amministrativa di natura civile» dove Iafrate aveva «apprezzabili margini di autonomia e discrezionalità»; il parere del pm «non era vincolante»; l’affidamento a un consigliere regionale poteva apparire «misura non certo eversiva rispetto alle prassi ordinarie» descritte in aula dal capo di Fiorillo (Frediani) e dalla casistica della difesa. E il pm minorile in una relazione ha scritto «non ricordo di avere autorizzato l’affidamento della minore a Minetti», poi in aula «invece ha riferito di avere un ricordo vivissimo» del suo no.
La Corte ritiene di avere «la prova che Ruby partecipasse all’«attività di natura prostitutiva» in 8 serate del bunga bunga ad Arcore, ma non che Berlusconi la sapesse minorenne, perché «dalla «consapevolezza della minore età» di Ruby «in capo a Emilio Fede non può comunque trarsi la prova certa di analoga consapevolezza in Berlusconi». E lo stesso Fede «non aveva alcun interesse a rivelarla a Berlusconi», perché ne «traeva concreto vantaggio».

1 commento:

  1. Ragione ad edoardo23!
    Così è troppo facile, mi sa che è stata piuttosto un'occasione per togliersi dai problemi e lasciare ai posteri ogni altra seria decisione.
    Poi...la pensione , per persone come lui, è sempre una pensione "d'oro"!!!:-D

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