Deve essere costato molto a Mario Calabresi dare il placet a questo articolo di Luca Ricolfi, in prima pagina poi.
La Stampa è il quotidiano nazionale più azzerbinato al Premier attuale. Quasi un velinario. L'unico, ma veramente unico e solo, degli opinionisti che osa non cantare peana a Renzino è Ricolfi. Tutti gli altri - Geremicca, Sorgi, Gualmini, Riotta ... coltivano il culto.
Nemmeno a Repubblica, giornale assolutamente e storicamente schierato a favore del PD, mostra questo servilismo, mentre al Corriere, senza arrivare a Ostellino che è un drastico demolitore del premier, le voci critiche non mancano : Alesina e Giavazzi, in economia, ma anche Polito e Battista. Panebianco e Galli della Loggia, più benevoli (soprattutto il primo), non si censurano al punto di non rilevare le evidenti criticità del personaggio e del suo governo.
Alla Stampa NO. Ricolfi però lo pubblicano ancora, e questa è una bella cosa (io però lìabbonamneto l'ho disdetto lo stesso).
Nell'articolo odierno il bravo osservatore di politica nota un cambiamento importante determinato dall'avvento del buon Matteo ed è il ritorno alla centralità della politica.
La cosa in sé potrebbe anche non essere negativa, visto che la marginalizzazione della stessa ha portato alla tracimazione affatto democratica di altre istituzioni (magistratura, segnatamente).
Però, rileva Ricolfi, qui non s'intravede la "buona politica", di cui i ventriloqui renziani - e non solo loro - si riempiono la bocca quando vanno in tv., che consisterebbe nella efficace e funzionale sintesi di valutazioni diverse (tecniche, sociali, legali...) per produrre buoni provvedimenti.
No, il primato che ritorna è arrogante, è "faccio io". Le parole di Ricolfi fanno eco ad altre lette in articoli diversi dove venivano spifferate liti furibonde tra Renzi e i suoi fedelissimi, Del Rio e Luca Lotti, colpevoli di osare ventilare obiezioni giuridiche e tecniche ai desiderata del capo.
Ora, che Renzi, come quelli prima di lui, si esasperi alla scoperta che la stanza dei bottoni è priva di pulsanti...ci sta. Che mostri insofferenza di fronte alle mille pastoie, lacci e laccioli, resistenze mandarinesche ad ogni idea di cambiamento, pure.
Ma resta che uno Stato moderno è una società complessa, e non basta la forza della volontà per correggere storture decennali e reimpostare le cose correttamente.
E mandare Cottarelli a casa - così come in passato un imperatore avrebbe tagliato la testa al consigliere divenuto sgradito - perché critica l'utilizzo di risparmi sulla spesa per fare ALTRA spesa, non è una grande soluzione.
Ricolfi sottolinea una critica ormai universale, proveniente anche dall'estero (peraltro da uomini, come Blair e il suo entourage, che si dicono estimatori di Renzino ), al premier , riguardante la sua tendenza a circondarsi di uomini che hanno nella fedeltà al capo la sola caratteristica richiesta.
Eppure era lui che, quando faceva la sue sfide rottamatrici, evocava il maggior valore della "lealtà" rispetto a quello della mera "fedeltà".
Ma si trattava di parole, come le tante spese negli anni passati alla Leopolda.
E certamente, quello che ha fatto a Letta, con la lealtà ci azzecca assai poco.
Buona Lettura
Chi ci rimette con il primato
della politica
luca ricolfi
Su quel che fa il governo Renzi le opinioni divergono. C’è
il partito del «finalmente, dopo trent’anni !» che si compiace di ogni
novità, reale o presunta che sia. E c’è il partito del «niente di nuovo
sotto il sole», che vede riemergere i soliti difetti della politica:
tanti annunci e pochi fatti, scadenze non rispettate, leggi e decreti
pasticciati, eterno rinvio dei problemi più spinosi, a partire da quello del mercato del lavoro.
Quello su cui quasi tutti sono d’accordo è che lo stile di governo è cambiato, perché il nuovo premier non è ingessato come i predecessori, e pare determinatissimo a portare a termine i propri piani. C’è un punto, tuttavia, su cui mi pare che non si stia riflettendo abbastanza. Quel che Renzi e i suoi stanno cambiando non è solo lo stile di governo, il tipo di comunicazione, il rapporto con l’opinione pubblica. A me pare che il cambiamento più importante sia una sorta di ritorno in grande stile del primato della politica. Un ritorno che, a seconda dei punti di vista, si può descrivere come sussulto di orgoglio o come rigurgito di arroganza, ma che comunque è in pieno atto.
Ma primato nei confronti di chi ?
Alcune vittime del ritorno della politica si vedono ad occhio nudo. I magistrati e i sindacati, ad esempio. Non che questi due poteri siano stati riformati o meglio regolamentati, come da qualche decennio si attende. Però sono stati subito «messi a posto»: verso i magistrati Renzi ha dichiarato che non aveva alcun problema a tenersi degli indagati fra i membri del governo, verso i sindacati ha detto chiaro e tondo che potevano scordarsi i riti della concertazione, perché lui avrebbe deciso anche contro il loro parere.
Questa però è solo la parte più visibile della restaurazione del primato della politica. Accanto ad essa ve n’è un’altra, a mio parere ben più carica di conseguenze. Di tutti i premier della seconda Repubblica (e forse anche della prima) Renzi è quello che mostra il minore rispetto, per non dire il maggiore disprezzo, per qualità come l’esperienza, la competenza, la preparazione tecnica e culturale. E, simmetricamente, è il premier che con più spregiudicatezza ha puntato sulla fedeltà e l’appartenenza come criteri di selezione della classe dirigente.
Tutto questo era evidente fin dalla scelta della squadra di governo, con la rinuncia a servirsi dei migliori e la preferenza accordata ai più fedeli, ma è diventato via via più evidente nelle ultime settimane. Quando, nella polemica con il commissario alla spending review, Renzi e i suoi ribadiscono che «è la politica che decide», non c’è solo l’ennesima manifestazione dell’arroganza del potere (la frase «Cottarelli stia sereno» è un avvertimento di sfratto), ma c’è l’implicita affermazione di un’idea della politica come attività sostanzialmente autosufficiente. Un’idea che verrebbe da definire semplicemente ingenua, se le sue conseguenze non fossero estremamente dannose. Pensare che problemi di enorme complessità e delicatezza, come il cambiamento della Costituzione, la riforma del mercato del lavoro, la riorganizzazione della Pubblica amministrazione, si possano affrontare mediante un negoziato fra partiti, gruppi parlamentari e fazioni varie, senza un disegno coerente e meditato, con la sola logica delle concessioni reciproche, significa non avere la minima idea degli enormi limiti cognitivi della politica, tanto più di questa politica, con questi politici, nell’Italia di oggi. Nessuno costruisce un aereo, o un’automobile, o un computer, cercando di mettere d’accordo tutti i produttori che ambiscono a fornirne parti e componenti. Eppure è questa la pretesa della politica in Italia. Ed è questa, probabilmente, la ragione per cui la stragrande maggioranza degli aerei, delle automobili e dei computer funzionano, mentre le nostre leggi di riforma non funzionano quasi mai.
Ma la restaurazione del primato del politico, sfortunatamente, non finisce qui. Il disprezzo per la competenza, per l’esperienza, per i saperi tecnici e specialistici, non si limita a privilegiare i politici puri nelle posizioni di governo, ma investe anche il lavoro e le professioni della gente comune. Per chi è della mia generazione, e ha preso atto degli obbrobri della rivoluzione culturale cinese, con le sue epurazioni di intere categorie di persone, medici, insegnati, ingegneri, professionisti, intellettuali, colpevoli soltanto di essere «borghesi» anziché «contadini poveri», fa un certo effetto la leggerezza con cui la politica sta procedendo a rottamare medici, magistrati, professori semplicemente in base alla loro età, senza alcuna considerazione sulle loro competenze o la loro utilità. Come fa effetto sentire che qualcuno è stato scelto «in quanto donna», o «in quanto giovane», senza alcun riferimento ai suoi meriti rispetto ad altri candidati.
La realtà, temo, è che demagogia e populismo sono ormai saldamente insediati nel Dna della nostra classe politica. Renzi e i suoi, almeno per ora, non sembrano fare eccezione. Perché l’essenza del populismo, il suo ingrediente fondamentale, non è l’appello al popolo (che pure non manca: «ho preso il 40.8% dei voti»), ma è il semplicismo, l’incapacità di riconoscere e accettare la complessità dei problemi di una società moderna, tanto più se in crisi da vent’anni. E’ di qui che nasce il senso di sufficienza verso professionisti ed esperti. E’ qui che trova alimento il sentimento di onnipotenza dei governanti. E’ qui, soprattutto, che il progetto di restaurare il primato della politica ha il suo fondamento logico: se i problemi sono semplici, e si tratta solo di tradurre in legge alcuni nobili principi, la politica può farcela da sola, e i Cottarelli di ogni genere e specie possono tranquillamente (anzi: «serenamente») andare a farsi benedire, tanto un tecnico amico lo si trova sempre.
Per Stella e Rizzo, autori del più fortunato pamphlet politico degli ultimi anni (La casta, Rizzoli 2007), c’è oggi forse qualche nuovo materiale su cui riflettere: la lotta contro la casta, nata per cambiare la politica, sta producendo la più spettacolare e imprevista rivincita della politica stessa.
Quello su cui quasi tutti sono d’accordo è che lo stile di governo è cambiato, perché il nuovo premier non è ingessato come i predecessori, e pare determinatissimo a portare a termine i propri piani. C’è un punto, tuttavia, su cui mi pare che non si stia riflettendo abbastanza. Quel che Renzi e i suoi stanno cambiando non è solo lo stile di governo, il tipo di comunicazione, il rapporto con l’opinione pubblica. A me pare che il cambiamento più importante sia una sorta di ritorno in grande stile del primato della politica. Un ritorno che, a seconda dei punti di vista, si può descrivere come sussulto di orgoglio o come rigurgito di arroganza, ma che comunque è in pieno atto.
Ma primato nei confronti di chi ?
Alcune vittime del ritorno della politica si vedono ad occhio nudo. I magistrati e i sindacati, ad esempio. Non che questi due poteri siano stati riformati o meglio regolamentati, come da qualche decennio si attende. Però sono stati subito «messi a posto»: verso i magistrati Renzi ha dichiarato che non aveva alcun problema a tenersi degli indagati fra i membri del governo, verso i sindacati ha detto chiaro e tondo che potevano scordarsi i riti della concertazione, perché lui avrebbe deciso anche contro il loro parere.
Questa però è solo la parte più visibile della restaurazione del primato della politica. Accanto ad essa ve n’è un’altra, a mio parere ben più carica di conseguenze. Di tutti i premier della seconda Repubblica (e forse anche della prima) Renzi è quello che mostra il minore rispetto, per non dire il maggiore disprezzo, per qualità come l’esperienza, la competenza, la preparazione tecnica e culturale. E, simmetricamente, è il premier che con più spregiudicatezza ha puntato sulla fedeltà e l’appartenenza come criteri di selezione della classe dirigente.
Tutto questo era evidente fin dalla scelta della squadra di governo, con la rinuncia a servirsi dei migliori e la preferenza accordata ai più fedeli, ma è diventato via via più evidente nelle ultime settimane. Quando, nella polemica con il commissario alla spending review, Renzi e i suoi ribadiscono che «è la politica che decide», non c’è solo l’ennesima manifestazione dell’arroganza del potere (la frase «Cottarelli stia sereno» è un avvertimento di sfratto), ma c’è l’implicita affermazione di un’idea della politica come attività sostanzialmente autosufficiente. Un’idea che verrebbe da definire semplicemente ingenua, se le sue conseguenze non fossero estremamente dannose. Pensare che problemi di enorme complessità e delicatezza, come il cambiamento della Costituzione, la riforma del mercato del lavoro, la riorganizzazione della Pubblica amministrazione, si possano affrontare mediante un negoziato fra partiti, gruppi parlamentari e fazioni varie, senza un disegno coerente e meditato, con la sola logica delle concessioni reciproche, significa non avere la minima idea degli enormi limiti cognitivi della politica, tanto più di questa politica, con questi politici, nell’Italia di oggi. Nessuno costruisce un aereo, o un’automobile, o un computer, cercando di mettere d’accordo tutti i produttori che ambiscono a fornirne parti e componenti. Eppure è questa la pretesa della politica in Italia. Ed è questa, probabilmente, la ragione per cui la stragrande maggioranza degli aerei, delle automobili e dei computer funzionano, mentre le nostre leggi di riforma non funzionano quasi mai.
Ma la restaurazione del primato del politico, sfortunatamente, non finisce qui. Il disprezzo per la competenza, per l’esperienza, per i saperi tecnici e specialistici, non si limita a privilegiare i politici puri nelle posizioni di governo, ma investe anche il lavoro e le professioni della gente comune. Per chi è della mia generazione, e ha preso atto degli obbrobri della rivoluzione culturale cinese, con le sue epurazioni di intere categorie di persone, medici, insegnati, ingegneri, professionisti, intellettuali, colpevoli soltanto di essere «borghesi» anziché «contadini poveri», fa un certo effetto la leggerezza con cui la politica sta procedendo a rottamare medici, magistrati, professori semplicemente in base alla loro età, senza alcuna considerazione sulle loro competenze o la loro utilità. Come fa effetto sentire che qualcuno è stato scelto «in quanto donna», o «in quanto giovane», senza alcun riferimento ai suoi meriti rispetto ad altri candidati.
La realtà, temo, è che demagogia e populismo sono ormai saldamente insediati nel Dna della nostra classe politica. Renzi e i suoi, almeno per ora, non sembrano fare eccezione. Perché l’essenza del populismo, il suo ingrediente fondamentale, non è l’appello al popolo (che pure non manca: «ho preso il 40.8% dei voti»), ma è il semplicismo, l’incapacità di riconoscere e accettare la complessità dei problemi di una società moderna, tanto più se in crisi da vent’anni. E’ di qui che nasce il senso di sufficienza verso professionisti ed esperti. E’ qui che trova alimento il sentimento di onnipotenza dei governanti. E’ qui, soprattutto, che il progetto di restaurare il primato della politica ha il suo fondamento logico: se i problemi sono semplici, e si tratta solo di tradurre in legge alcuni nobili principi, la politica può farcela da sola, e i Cottarelli di ogni genere e specie possono tranquillamente (anzi: «serenamente») andare a farsi benedire, tanto un tecnico amico lo si trova sempre.
Per Stella e Rizzo, autori del più fortunato pamphlet politico degli ultimi anni (La casta, Rizzoli 2007), c’è oggi forse qualche nuovo materiale su cui riflettere: la lotta contro la casta, nata per cambiare la politica, sta producendo la più spettacolare e imprevista rivincita della politica stessa.
CHARLIE'S OVER
RispondiEliminaChiacchere per discutere di chiacchere sulle chiacchere... cito testualmente: "verso i sindacati ha detto chiaro e tondo che potevano scordarsi i riti della concertazione, perché lui avrebbe deciso anche contro il loro parere.
Questa però è solo la parte più visibile della restaurazione del primato della politica". Hai sindacati "ha detto", ma in concreto cosa "ha fatto"? Un cazzo, che mi risulti. Quindi non c'è nessuna restaurazione, perché i restauri si fanno coi fatti, non con le parole. Venendo meno l'assunto di base, ho smesso di leggere oltre. Ma come si fa a parlare di quello che Renzi, o chicchessia, dice e poi parlare di "cambiamento", "restaurazione" e altre (perdonami) minchiate? Parlasse di quello che ha fatto, piuttosto. Così però finiva l'articolo in 10 righe...
Comprendo perfettamente sia la critica che l'insofferenza. Però proseguendo la lettura, forse l'idea finale potrebbe essere diversa. Senza contare che non è che tutto quello che gli opinionisti scrivono debba essere promosso o bocciato globalmente. Per esempio, io di questo pezzo di Ricolfi condivido alcuni aspetti (quelli che evidenzio), mentre non altri. Quanto al sindacato, e anche la magistratura,credo che anche Ricolfi notasse (sono d'accordo sul fatto che non l'abbia espresso efficacemente) come, allo stato, il cambiamento di approccio stia nelle battute che nella sostanza.
EliminaCHARLIE
Eliminapon si può continuare a parlare di quello che i politici DICONO, basta, ne ho la nausea. Se non fanno un cazzo, si scriva un trafiletto di 2 righe 2 del tipo: "anche questo mese Renzi ha detto tanto e fatto un cazzo. Aumentate o introdotte le seguenti tasse: .... Fine del bollettino."
Invece tutti a chiosare sulle sfumature di quello che dicono...
Bè, come li vedi tu i giornali non esisterebbeno non trovi ? Forse sarebbe meglio, però finché ci sono non possono avere quel taglio. Io penso invece che sia un bene che, in un momento nel quale tanta gente, anche per effetto dei media, appare così suggestionata da Renzi, si levino delle voci critiche, che facciano notare, tra l'altro, anche quello che rilevi tu : la distanza, al momento, tra parole e fatti nell'azione del governo. Sicuramente non basta, ma qualcosa è.
EliminaMAURO GARGAGLIONE
RispondiEliminaQui Seminerio gli dà addosso con durezza. Non prendo le parti me te lo segnalo.
(http://phastidio.net/.../tra-mao-e-renzi-attendendo.../...)
Tra Mao e Renzi, attendendo il senso del ridicolo | Phastidio.net
phastidio.net
Letto. Se ci fai caso Mauro, le parti che evidenzio dell'articolo di Ricolfi, NON sono quelle attaccate dal commento critico che mi hai sottoposto (segnalazione di cui ti ringrazio, oltre ad essere contento del fatto che leggi anche il Camerlengo ) . Peraltro, pur comprendendo diverse delle contestazioni fatte a Ricolfi (che, faccio notare, NON salvano Renzi , tutt'altro) , ritengo troppo dura la forma e non penso ci sia un riflesso da "cicero pro domo sua". Ricolfi, come pure ricorda il commentatore, ha 64 anni, non è così insidiato dall'eventuale svecchiamento dei docenti universitari (70 anni, o 68).
EliminaRicolfi e' sempre riduttivo ma se uno leggesse l' articolo senza aver mai sentito parlare del premier direbbe che questo Renzi o e' un Coglione o e' un Genio. (maiuscole volute per rispetto alla persona).
RispondiEliminaCerto che Renzi e' populista ma lo era anche Berlusconi e alla gente piace il tipo. Quando vedi che l' interesse per la politica si riduce a un selfie col presidente puoi immaginare il livello culturale di certa gente... che confonde la storia con le fiction televisive.
ps Renzi non ha fatto niente : vero, e speriamo che non faccia niente perche' niente e' in grado di fare.
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