Due interventi che risalgono a circa un anno fa, ritrovati negli archivi della Stampa, e che purtroppo conservano assoluta attualità . Del resto, questo non è un paese che cambia velocemente si sa...anzi.
Gli autori sono Luca RIcolfi e Alberto Bisin, i quali hanno una posizione poco ortodossa nei confronti del governo Monti e delle Tasse. Non fanno questioni ETICHE. Si, ovviamente affermano che pagare la tasse c'entri anche con l'educazione dei cittadini, e che evaderle contravvenga a principi di onestà ed equità.
Fanno altresì presente che in Italia, e da molto tempo, c'è un problema legato all'esagerazione della pressione fiscale. Quando loro hanno scritto gli articoli era il settembre 2011, e già senza le stangate montiane eravamo al 43% di prelievo fiscale. Oggi abbiamo superato la mitica Svezia, che però, a fronte di una pressione pari al 46%, ti toglie una discreta quota di libertà ma ti accompagna dalla culla alla tomba . A me non piacerebbe, ma almeno avrei un corrispettivo, no le bubbole degli spot governativi che vogliono far passare l'equazione TASSE = SERVIZI. Credere a questo è veramente prova indubbia di insanità mentale.
Tornando ai due scrittori , i punti che loro sottolineano sono :
1) c'è una corrispondenza innegabile tra livello di pressione fiscale ed evasione. Più si alza la prima, più si accresce la seconda
2) la fiscalità su Imprese e mondo del lavoro è insostenibile. Motivo assolutamente prioritario della crisi di crescita che il nostro paese si trascina ormai da tre lustri
Efficacissima la metafora che in proposito usa Ricolfi :
"C’è una gara di velocità. Dieci corridori sono ai blocchi di partenza. Parte la gara, e uno dei dieci corridori arriva ultimo, molto staccato dagli altri. La gara si ripete molte volte, ma quel corridore arriva sempre ultimo. E allora si comincia a discutere del perché. C’è chi dice che ha sbagliato scarpe, le sue sono con i tacchetti di gomma, quelle degli altri hanno i chiodi d’acciaio, che mordono molto di più sul terreno di gara. C’è chi nota che maglietta e calzoncini non sono aerodinamici, non aderiscono abbastanza al corpo. C’è chi osserva che il corridore rimasto indietro è leggermente sovrappeso, ha un paio di chili di troppo. C’è chi rivela che l’allenatore del corridore perdente si accontenta di due soli allenamenti la settimana. Stranamente, però, nessuno nota che il perdente corre con uno zaino sulle spalle, e che nello zaino sono stati messi dieci chilogrammi di zavorra."
Bella no ?
E Ricolfi chiude così :
"Ecco, a me pare questo lo stato del dibattito sulla crescita. Sono convinto anch’io che con scarpette migliori, calzoncini più aderenti, una dieta appropriata, un allenatore esigente, il nostro corridore potrebbe migliorare molto. Ma vorrei mettervi una pulce nell’orecchio: non pensate che, fino a che gli imporrete di correre con quello zaino di dieci chili sulle spalle, non riuscirà mai a vincere una gara? ".
Di seguito l'intervento integrale di Bisin ( quando posso lo faccio sempre. sia perché ho il timore che la mia lettura non sia corretta e quindi rimando alla "fonte", sia perché ritengo piacevole e chiaro il modo di scrivere di questi autori).
Buona Lettura
ALBERTO BISIN
La questione dell’evasione fiscale in Italia torna
periodicamente ad essere centrale nella discussione politica. Si prospettano
tuoni e fulmini contro gli evasori, si stimano entrate stratosferiche nelle
casse pubbliche come conseguenza di rinnovati sforzi alla lotta all’evasione, e
poi nulla succede: gli evasori evadono e i lavoratori dipendenti pagano.
La battaglia all’evasione è ovviamente prima di tutto una
battaglia di giustizia, equità, e anche di civiltà, nel senso che è difficile
fondare una società civile su una distribuzione così eterogenea del carico
fiscale come in Italia. Stime più o meno accurate danno un sommerso in Italia
dell’ordine del 26% del Prodotto interno lordo.
Detto questo, compito di un economista è cercare di andare
oltre le questioni etiche e se possibile valutare l’impatto di politiche
economiche vere o presunte. A questo proposito vari economisti, tra cui io
stesso su queste colonne e Michele Boldrin su «Il Fatto», hanno provato a
portare l’attenzione del dibattito sul fatto che l’evasione fiscale si colloca,
nel nostro Paese, nel contesto di una elevatissima pressione fiscale, e che
questo implica che una efficace lotta all’evasione debba essere associata ad
una riduzione del carico fiscale per avere effetti positivi sull’economia del
Paese. Luca Ricolfi lo ha ben spiegato l’altro ieri, con dovizia di argomentazioni,
in un editoriale su queste colonne che ha generato un interessante dibattito.
Conviene sempre dare un’idea della questione di cui si
dibatte attraverso i numeri di riferimento. Uno studio, ormai non
aggiornatissimo, dell’Agenzia delle entrate stima che le tasse evase
corrispondano al 38% delle tasse pagate. La pressione fiscale in Italia nel
2012 sarà di circa il 43% (punto decimale in più o in meno). Un paio di
passaggi algebrici implicano quindi che se tutti pagassero le tasse, ceteris
paribus, la pressione fiscale raggiungerebbe il 60%. Nessun Paese al mondo, che
io sappia, ha una pressione fiscale del genere. La Svezia è al 46%. Non vi è
dubbio che gli effetti sulla competitività delle nostre imprese sarebbero
notevoli e che notevoli sarebbero anche gli effetti recessivi dovuti al fatto
che l’incidenza delle nuove tasse cadrebbe comunque sui consumatori.
Stefano Lepri, ieri su queste colonne, argomenta che gli
effetti del recupero dell’evasione sulla competitività delle imprese italiane
sarebbero in realtà ridotti perché la lotta all’evasione avverrebbe in modo
graduale, perché le imprese che evadono producono beni per il mercato interno e
sono protette. Purtroppo questi argomenti non cambiano affatto la questione in
modo sostanziale. Se le imprese che evadono sono protette dalla concorrenza
internazionale avranno più spazi (potere di mercato) per riversare l’incidenza
delle nuove tasse sui consumatori. Non si scappa: o non possono aumentare i
prezzi, e quindi falliscono, o possono farlo e quindi pagano in larga parte i
consumatori.
Il commento di Lepri però tocca un punto fondamentale:
l’evasione è un costo per la struttura produttiva italiana. Questo perché le
imprese che evadono il fisco tendono a rifuggire «da tecnologie avanzate, o da
una organizzazione aziendale stabile, su vasta scala, con prezzi chiari, perché
attirerebbero l’occhio del fisco». Concordo assolutamente. Io aggiungerei anche
che l’allocazione dei talenti in Italia è inefficientemente distorta
dall’evasione: troppo lavoro autonomo, a tutti i livelli, dai negozianti agli
avvocati.
E’ difficile stimare i costi di queste distorsioni, ma sono
probabilmente elevatissimi. Esse costituiscono una imprescindibile ragione in
favore di una lotta serrata all’evasione (come se le ragioni di giustizia ed
equità non fossero sufficienti). E’ importante farlo notare. Allo stesso modo,
è fondamentale anche notare che la lotta all’evasione senza una appropriata
riduzione del carico fiscale avrebbe costi enormi sul sistema produttivo del
Paese.
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