Non conoscevo i particolari della ragazza kosovara espulsa insieme alla famiglia dalla Francia, che tanta indignazione ha generato da quelle parti e anche da noi.
Li racconta Davide Giacalone, che ricorda il tempo in cui quella famiglia era stata in Italia. E spiega come.
Meglio leggere (per inciso, Manuel Valls è l'uomo politico più popolare di Francia, anche e forse soprattutto per questo suo rigore...)
Giusta espulsione
La famiglia Dibrani era prima residente in Italia, a Fano. Qui il padre, Resat, è ben conosciuto da chi si occupò del caso: aveva occupato i locali di una scuola abbandonata e usava i figli per l’accattonaggio, sostenendo di non potere lavorare a causa di dolori alla schiena. Più volte le autorità municipali sono intervenute per chiedergli di mandare i figli a scuola, di non trasformare i locali pubblici in una specie di accampamento sudicio e di non delinquere. Richieste cadute nel vuoto. Quando si fecero più pressanti l’interessato disse che preferiva andarsene, avendo come destinazione la Francia. A quel punto alcuni membri della giunta comunale, con altri cittadini, fecero una colletta, gli comprarono una macchina di seconda mano, gli pagarono l’assicurazione e gli fecero il pieno. Avendo documenti italiani si mosse dentro l’area di Schengen, traversando la frontiera. Come sappiamo, visto che la figlia è stata espulsa nel mentre si trovava con i compagni di classe, qui non negò tale frequentazione, ma dovendo chiedere la regolarizzazione della presenza, sua e della sua famiglia, presentò documenti falsi. Ora, posto che qui non siamo in tribunale e che ci mancano gli elementi di dettaglio, posto che su queste pagine non si prendono provvedimenti, semmai si ragiona di cose collettive, a lume di naso le scelte possibili erano due: espellere tutti o togliere a quel padre la potestà sui figli, separando le loro sorti.
In Italia avevamo tollerato quel che non è tollerabile. In Francia hanno ritenuto di non fare altrettanto. Sostenere che fosse “umana” la condotta italiana, in base alla quale quei bimbi servivano per elemosinare e rendere accettabile (legittimo no di sicuro) l’occupazione abusiva di un bene pubblico, mentre “inumana” la scelta francese, mi pare risponda a canoni inaccettabili. Per questo credo che Valls abbia ragione (per la cronaca: socialista, lui stesso è stato naturalizzato francese, essendo nato a Barcellona, figlio di un catalano e di una svizzera).
Ma se è corretto il provvedimento, dove va a finire la cultura dell’accoglienza, che è forte in Europa ed è fortissima in Francia? E dove il rispetto per i diritti di quella ragazza? Il modo (sbagliato, lo ripeto) con cui è stata eseguita l’espulsione ha suscitato molta emozione, ma è una forma di razzismo il supporre che a genti venute da lontano non si applichi il diritto che applichiamo alle nostre. In particolare: a. l’accoglienza è non solo opportuna, ma anche conveniente per chi chieda di venire a lavorare e prosperare, difficile, invece, sostenere che sia saggia nei confronti di chi, come primo provvedimento, ritiene di barare, mentire e violare le leggi; b. a un padre che adotti quella condotta i nostri tribunali tolgono i figli e non per punizione, ma per tutelarli. I casi non sono pochi, nessuno felice.
Venire meno a questi principi è offensivo per la nostra storia e il nostro diritto, ma è offensivo anche per persone che, a quel che sembra, molti non ritengono degne di analoga considerazione. I diritti sono stampati su una moneta la cui altra faccia reca i doveri. Se sei cittadino del nostro Paese quella moneta può portare prezzi assai dolorosi, ove si tradiscano i secondi. Se non sei cittadino può portare l’espulsione. Ribadirlo serve a chiarire che non accettiamo l’idea che, da noi, taluni siano umani e altri a umanità ridotta. Far valere il diritto, su tutti, serve a evitare che il razzismo prenda la subdola forma della tolleranza verso l’intollerabile. Sembra buonismo, ma resta razzismo. Che va condannato sempre, comunque si manifesti.
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