sabato 24 maggio 2014

UN MOTIVO DI ANTIPATIA PER LA UE ? LA RETORICA DEGLI EUROIDOLATRI



Io credo che a contribuire alla crescente criticità, laddove non vera e propria ostilità, verso l'Unione Europea, contribuiscano non poco i toni retorici e sussiegosi degli Euroidolatri.
La loro sicumera è tale che ad un certo punto ti chiedi se veramente sono così convinti o piuttosto non stiano facendo propaganda politica, invece di fare informazione. Centomila volte meglio un libro analiticamente critico, come quello di Luigi Zingales - EUROPA O NO - che cerca, senza fideismi, di spiegare le ragioni storiche dell'Unione, gli errori fatti e le scelte pressoché obbligate, fino ad arrivare all'attuale situazione, con pro e contro.
Invece i giornalisti e gli osservatori che hanno fatto dell'EUROPA unita il loro nuovo credo, è già tanto se ammettono che obiettivamente ci sono delle cose che non vanno, per concludere come  alla fine i benefici superino ampiamente i costi e quindi va bene anche così. Poi certo, se si migliora è meglio...
A Sergio Romano addirittura gli astensionisti, che in Olanda sono stati oltre il 60%, in Italia se ne prevedono non meno del 40, gli fanno "pena"...Il linguaggio di un vero ambasciatore (ex). 
Marco Deaglio su La Stampa ci ricorda i tanti benefit, che andrebbero tutti persi se l'Europa non ci fosse più, e Michele Ainis rammenta la cosa più importante : l'Unione serve ad evitare che tornino i mostri evocati in campagna elettorale (Hitler e Stalin sono stati scomodati, più il primo però, che non vinse la corsa a chi fece più milioni di morti ma quella per l'identificazione nel Male Assoluto sì ).
Non dicono cose false, ma solo quelle che pare a loro. Le altre, e quindi per esempio che ci sono i paesi scandinavi e la Danimarca che vivono benissimo senza l'euro, oltre alla nota GB, le accennano di sfuggita, come casi sporadici che non farebbero testo. Può darsi, ma perché ?
Michele Ainis si lamenta che una Costituzione Europea ancora non c'è. Osservazione giusta. La spiegazione di grazia ? 
Non vogliamo parlare degli egoismi nazionali, sempre latenti e letteralmente esplosi in occasione della prima seria crisi del progetto ? Parliamo allora della politica estera ? Qualcuno immagina che se ci fossero due Marines prigionieri dell'India in America qualcuno si alzerebbe per dire : "è questione texana ?". I Marò sono "questione italiana" per Bruxelles (solo recentemente la Ashton ha corretto un po' la rotta).
SI parla della grande novità dei candidati alla presidenza della commissione europea indicati direttamente dai gruppi politici che partecipano all elezioni, e quindi Schultz per il PSE, Junker per il PPE, Tsipras per la sinistra radicale (comunista ?), Guy Verhofstadt  per i liberali...Ma ci prendete veramente per i fondelli ? Il Commissario è scelto dal Consiglio Europeo, coè dai capi di stato e di governo, e poi  è approvato dal Parlamento, che finora non ha MAI smentito la decisione del primo organo. Le norme non sono cambiate quindi ? Senza contare che non è certo Barroso che ha determinato la politica comunitaria in questi difficili 5 anni. 
SI potrebbe continuare all'infinito.
No, per convincere noi eurocritici, ancora non giunti all'euroscetticismo o alla dichiarata ostilità per l'Europa per quello che E', bisogna semmai dilungarsi sul COME si pensa di affrontare i problemi emersi e si immagina di risolverli. E in questo senso oltre a sentire Renzino - che da noi prova a governare - o Grillo che lo vuole sostituire (che invece poco e nulla hanno detto di concreto), mi sarebbe piaciuto sapere se la signora Merkel e i suoi scudieri del Nord pensino a dei cambiamenti e quali. E una volta appreso che grandi rivoluzioni la cancelliera non le immagina, che tutto sommato l'Europa germano centrica le va bene così, come gli euroidolatri pensano di farle cambiare idea, con quali strumenti, perché l'alternativa altrimenti è l'attuale stallo dell'Unione.
Ecco, almeno Mauro Magatti, docente di sociologia alla Cattolica di Milano, ha il pregio di porsi il problema - così NON va - e prova a pensare ad una soluzione. Non originalissima per la verità, che questa santa alleanza Francia Italia e Spagna la sento da quando Hollande ha preso il posto di Sarkozy, che formava l'asse di ferro Tedesco Franco (non  a caso la Merkel alle elezioni presidenziali francesi espresse esplicitamente il suo favore per una rielezione del suo fedele alleato, portandogli male peraltro), senza al momento alcun risultato.
Parla anche di Eurobond, Magatti, tanto cari a Tremonti, anche questi non nuovi, e finora nel mondo delle pie intenzioni.
Ma se non ha il pregio di suggerire idee nuove, almeno il prof. universitario propone delle soluzioni ch eanche altri studiosi e politici hanno segnalato. Sono però i "teorici", mentre i politici euroentusasti tacciono. 
 








Un nuovo blocco sociale contro la crisi
 e l’ipotesi di allearsi con Francia e Spagna

 

 La portata storica della crisi con la quale abbiamo a che fare continua a essere sottostimata. Ci sono infatti tre piani diversi che, storicamente collegati ma analiticamente distinti, pesano sulle nostre teste. E che spiegano la gravità della situazione attuale.
Il primo piano investe l’ordine internazionale. L’infarto dell’economia mondiale ha infatti interrotto la stagione espansiva basata sui principi della deregulation liberistica avviatasi negli Anni 80 e poi pienamente dispiegatasi tra il 1989 (caduta del Muro di Berlino) e il 2008. Una fase che, sul piano politico, poggiava sulla indiscussa egemonia degli Stati Uniti. La crisi europea ha aperto una crisi dentro la crisi. Le istituzioni dell’Unione sono state concepite per tempi ordinari. Ma si sono dimostrate impreparate per affrontare tempi straordinari, come quelli iniziati con il crollo di Wall Street. Le fortissime tensioni che oggi attraversano un’Unione sempre più disunita sono la conseguenza di una impressionante concatenazione storica: unificazione tedesca (1992), trattato di Maastricht (1993), nascita dell’euro (2000), crisi finanziaria (2008). Un’Europa fatta di tante diversità ha affrontato la più grande crisi del dopoguerra con una disciplina monetaria che solo la Germania, e pochi altri Paesi nordici, sono in grado di reggere. Con alle spalle un ventennio impegnativo ed entusiasmante, i tedeschi non vogliono o non possono capire quello che sta accadendo in ampie parti del continente. Con conseguenze imprevedibili. Il terzo piano è quello italiano. Su cui non serve soffermarsi, se non per ricordare che sono passati più di 30 anni dalla prima Commissione Bozzi per le riforme istituzionali (1983). Che economicamente l’Italia ha prima smesso di crescere (2000-2008) e poi cominciato a decrescere (e non felicemente: dal 2008 al 2014). Oggi ci sono interi gruppi sociali e intere aree del Paese (specie al Sud) convinte di non aver più nulla da perdere. Come se ne esce?
Trattandosi di una crisi storica, nessuno ha la bacchetta magica. Per tirarsi fuori dalla trappola in cui siamo finiti, ci vogliono competenza, audacia, consenso. Lungo una strada che richiederà anni. Ma qual è questa strada?
A livello globale si vanno cercando e formando nuovi equilibri geoeconomici e geopolitici sulla base di un nuovo paradigma: la concezione neoliberista degli anni 80 e 90 (sintetizzabile nel cosiddetto Washington Consensus) lascia il posto ad un nuovo protagonismo della politica economica monetaria e fiscale degli Stati e al tentativo di creare nuove alleanze e aree di influenza (vedi l’accordo tra Russia e Cina sul gas o la trattativa in corso tra Usa e Ue sul Transatlantic Trade and Investiment Partnership). Dopo la crisi del 2008, l’autoregolazione dei mercati è tornata a fare i conti con il ruolo giocato dall’autorità politica e la sua influenza internazionale.
Si capisce allora l’urgenza della questione europea che oggi costituisce l’ordine istituzionale naturale a cui guardare per affrontare le sfide di questa nuova fase storica. Con un’Inghilterra che rimane defilata e fuori dell’euro, solo un’alleanza vera e forte tra i tre principali Paesi del Mediterraneo (Italia, Francia e Spagna) — accomunati dagli stessi problemi — può riuscire a riequilibrare la situazione. Non si tratta di rivendicare una politica economica lassista che i tedeschi non concederanno mai e che, alla fine, continuerebbe a rinviare il problema delle riforme. Si tratta, piuttosto, di arrivare finalmente a definire quelle misure e quegli strumenti di cui si parla da anni (a cominciare dagli eurobond) che possono permettere l’avvio di un processo virtuoso. Il Sud Europa deve fare le riforme. L’Europa dia una mano ai governi a fare quelle riforme che sono sempre politicamente delicate. Ma non si può chiedere a metà del continente di fare le riforme, affrontare la crisi economica e sociale, pagare il debito allo stesso tempo. Una visione di questo tipo è economicamente deleteria, socialmente insostenibile, politicamente distruttiva.
Infine, c’è l’Italia, attraversata da inquietudini profonde e contraddittorie. Tutti a parole vogliono il cambiamento. Degli altri. Con il risultato che tutto si logora velocemente. Nel Paese esiste un ampio ma troppo generico consenso sulla necessità di cambiare passo. Semplicemente perché i vecchi equilibri sono ormai tutti saltati. Il rischio è che la montagna si muova travolgendo tutto. Per evitarlo, va rapidamente coagulato un nuovo blocco sociale disposto a sostenere — e a pagare — per un cambiamento che, a questo punto, non potrà essere indolore.
Giovani, donne, ceto medio istruito, artigiani, autonomi, commercianti, pensionati capaci ancora di pensare al futuro dei loro nipoti, piccoli e medi imprenditori, scuola e università, mondo cattolico e borghesia illuminata sono i tanti frammenti dispersi, forse ancora suscettibili di associarsi attorno a persone credibili. Si tratta di gruppi culturali, economici e sociali che, per lo più, fanno (ancora) riferimento all’area governativa. Di fronte all’avanzata di Grillo, portato dallo «straripare convulso degli odi e delle pulsioni», e alla sua idea di «partito unico dei cittadini», solo dalla consapevolezza della portata storica del declino italiano può nascere un progetto consapevole e autorevole.

Nessun commento:

Posta un commento