Divertente, infarcito com'è di ironia, l'articoletto dedicato da Pierluigi Battista al nuovo fenomeno sociale : l' appanicamento da maltempo.
Sarà pur vero che le "stagioni non sono più quelle di una volta", che c'è l'effetto serra, il pianeta si sta surriscaldando ...
Però molte delle cose che poi accadono sono sempre accadute, solo che siamo cambiati noi, molto più ansiosi e drammatizzanti (gli italiani sono il popolo più pessimista dell'occidente, altro che "solari" ! ), e soprattutto è aumentata l'incuria, anche elementare, delle città e del territorio, ragione per cui i danni derivanti da fenomeni atmosferici violenti ma non anormali, diventano fonte di disagi grandi, quando di non vere e proprie tragedie.
Siccome però è più facile chiudere le scuole e dire alle gente di non uscire di casa (disertando il lavoro) che tenere in ordine argini e tombini, evviva gli allarmi rossi.
Fenomenologia
del panico da maltempo
di Pierluigi Battista
Gentili concittadini, terrorizzati dalle bombe d’acqua e sgomenti perché ogni tanto il cielo butta pioggia, provocando il freddo d’inverno e gettandoci nel panico perché ogni volta città, villaggi e persone rischiano di annegare, forse è il caso che ci diciamo cose rassicuranti, sebbene stupefacenti.
Tanto tempo fa le bombe d’acqua si chiamavano «pioggia». Se la «pioggia» era battente, si diceva «temporale», volgarmente «acquazzone». Talvolta si trascendeva in «grandinata» o, con pericolose vicissitudini termiche, «nevicata» destinata purtroppo a diventare insormontabile «ghiaccio» senza il tempestivo intervento dei cosiddetti «spalatori» . Colorite espressioni come «piove a dirotto» o «diluvia» davano il senso della ferma accettazione popolare di un destino meteorologico momentaneamente avverso. Per non bagnarsi si fabbricavano oggetti come il cosiddetto «ombrello» e capi d’abbigliamento come «giacche a vento», «galosce», per i più anziani «impermeabili». Spesso le piogge provocavano luminosità improvvise dette «fulmini», seguite da sonorità prepotenti dette «tuoni». Un genio come Benjamin Franklin l’aveva previsto e già nel ‘700 aveva inventato il «parafulmine».
Invece di maledire il global warming , per evitare esondazioni di fiumi e torrenti, si possono costruire apposite barriere difensive dette «argini». E se i sindaci e le amministrazioni non ne costruiscono di affidabili, la colpa non è del liberismo selvaggio ma dell’acclarata incapacità dei suddetti. Nelle città, per favorire l’assorbimento delle bombe d’acqua un tempo chiamate «temporali», si dovrebbe provvedere alla costruzione di apposite infrastrutture chiamate popolarmente «tombini». Per evitare allagamenti e disastri bisognerebbe provvedere, a differenza di quello che capita a Roma, alla periodica ripulitura dei «tombini» da foglie e altri oggetti che possono ostruire il normale deflusso dei liquidi. Nei litoranei possono accadere fenomeni che urtano la nostra sensibilità come le «mareggiate»: in questo caso sarebbe controproducente sostare in prossimità delle acque. Insomma, i pericoli esistono, sarebbe inutile nasconderlo. Ma invece di allarmarsi oltremodo ogni volta che il servizio meteo annuncia bombe d’acqua, occorrerebbe predisporsi alla riparazione di «argini» e «tombini», senza arrendersi ai terrori sull’«emergenza pioggia», cominciando anzi a rimboccarsi fattivamente le maniche. Dell’impermeabile.
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