Decisamente interessante la recente sentenza della Corte di Cassazione
con la quale viene affermato il divieto di espatrio se questo compromette il rapporto con l'altro genitore. Mi verrebbe da dire dunque sempre, o quasi, e immagino che la cosa si possa estendere anche in caso di diversa città, a meno che la nuova residenza non sia molto vicina all'altra. E' probabile che molte donne, specie quelle sempre in armi in merito a ogni ipotetico attentato all'emancipazione femminile, strilleranno non poco avverso questa decisione, che sicuramente sacrifica più spesso le madri (ancora di gran lunga prevalenti nel collocamento residenziale principale dei figli) , in nome del mantra del secolo : l'interesse superiore del minore.
Se si fosse trattato del solo sacrificio dell'altro genitore ( più spesso il padre), costretto a vedere il figlio una volta al mese se non peggio, per motivi logistici ed economici, i giudici se ne sarebbero fregati. Ma qui c'è di mezzo la crescita equilibrata del nuovo Dio del mondo occidentale, il sacro Minore, e allora ecco che la realizzazione umana e professionale della donna, generalmente intoccabile, può essere violata. Alla fine, mio personalissimo punto di vista, decisione giusta - entrambi i genitori, e anche i nonni, se ci tengono - hanno diritto a partecipare alla vita e alla crescita dei figli e nipoti - per un mantra - l'interesse superiore del minore - divenuto ormai stucchevole e in nome del quale vedo grosse schifezze, da parte dei genitori, complici avvocati e consulenti venali e prezzolati, con giudici e ctu superficiali e quindi poco attenti.
Figlio minore: no all’espatrio se compromette il rapporto con l’altro genitore
Cassazione civile , sez. I, sentenza 19.09.2014 n° 19694
La
Corte di Cassazione (sentenza n. 19694 depositata il 18 settembre
2014), concede il massimo della tutela al minore sacrificando le
esigenze costituzionalmente garantite del genitore collocatario di
spostare la propria residenza tornando nel proprio paese di origine.
Il caso è molto complicato. Un matrimonio tra un uomo italiano e una
donna inglese. Un bambino di appena due anni all’epoca della richiesta
di trasferimento, un ordine di protezione richiesto dalla donna contro
il compagno per minacce e violenze nei suoi confronti, emesso dal
Tribunale di Trento.
La madre chiede al Tribunale per i minorenni di essere autorizzata a
trasferire la propria residenza con il figlio, nel Galles, paese dal
quale proveniva.
Le ragioni della madre. La precaria situazione
economica in cui si trovava stante la grave crisi economica dell'Italia,
le impediva di procurarsi un reddito adeguato ad una vita dignitosa ed
al proprio grado di preparazione professionale, mentre erano maturate
delle occasioni di lavoro nel suo paese di origine, che le avrebbero
consentito un reddito pari al triplo di quello su cui poteva contare in
Italia. Inoltre avrebbe potuto usufruire di un alloggio presso la
propria madre, e quindi evitare di vivere in povertà come nell’attuale
situazione.
Il Tribunale respinge la richiesta della donna sostenendo che il
trasferimento avrebbe compromesso la relazione del figlio con il padre, e
dispone un affido condiviso a entrambi i genitori con collocazione
prevalente presso la madre, disciplinando i tempi di frequentazione tra
genitore e figlio.
Il provvedimento viene reclamato per diversi motivi. In primo luogo,
sostiene la ricorrente, è pregiudizievole anche per il figlio minore
perchè lo condanna a vivere in indigenza. La donna lamenta, inoltre che
il Tribunale non abbia tenuto conto delle subite violenze e minacce e
dunque della difficoltà di rapporto tra i genitori del minore che non
avrebbe agevolato una condivisione dell’affido e un calendario di
incontri padre-figlio così intenso.
Si difende in extremis facendo notare ai giudici che
certamente per i figli la condizione ottimale è quella di poter essere
accuditi da entrambi i genitori, ma che ad oggi è notevolmente cresciuto
il numero dei minori che vivono in un paese diverso da quello di uno
dei due genitori, e le nuove situazioni non possono essere risolte
"impedendo" il trasferimento, anche perchè il benessere dei figli
dipende dalla realizzazione e dalla serenità dei genitori.
Il minore non avrebbe, infine avuto nessuna difficoltà ad adattarsi al
nuovo paese, vista l’età e il fatto che sta acquisendo
contemporaneamente sia la lingua italiana sia quella inglese. Non ci
sarebbe stato alcun rischio di esclusione del padre che avrebbe potuto
vedere il figlio durante i periodi di vacanza, e colloquiare con lui con
i mezzi offerti dai nuovi sistemi di comunicazione (Skype ecc..).
La versione del padre. Il minore doveva avere la
possibilità di crescere con entrambi i genitori. Gli episodi di violenza
addotti dalla compagna non si erano svolti come dalla stessa narrati,
non avendo egli mai aggredito la compagna. Sarebbe stata la donna ad
instaurare un rapporto esclusivo con il figlio emarginando la figura
paterna. Inoltre, le conoscenze linguistiche della compagna, le
consentivano trovare lavori con guadagni adeguati, e che la riduzione
del reddito era solo temporanea per la sua decisione di lavorare a tempo
parziale. Secondo il padre, il piccolo non parlava l'italiano e il suo
trasferimento avrebbe reso impossibile coltivare di una valida relazione
con lui se si fosse allontanato dall’Italia.
La CTU. Secondo gli esperti uditi dal giudice, il
rischio derivante dall’espatrio del minore sarebbe stato il "sostanziale
annullamento della figura paterna e dei processi d’identificazione in
lui da parte del piccolo, con possibili danni evolutivi e sviluppo
carenziato", riconducibili non solo e non tanto alla problematicità
della relazione e alla’elevata conflittualità tra le parti, ma anche ad
un’esperienza pregressa di maltrattamenti subiti dalla donna ad opera di
una figura maschile quando era piccola.
In definitiva sarebbe stato difficile immaginare uno sviluppo armonioso
del minore. La coppia, infatti, già dall’epoca dell’emissione
dell’ordine di protezione, era già seguita dal Tribunale che aveva
incaricato il servizio sociale di monitorare la madre e l’inserimento
del piccolo all’asilo.
In sostanza, solo rimanendo insieme, si sarebbe potuto mantenere un
percorso già avviato finalizzato all’acquisizione della cogenitorialità
nell’interesse del minore.
Ma c’è di più. L'impegno di entrambi i genitori nel seguire i percorsi
personali e congiunti pensati per loro, avrebbero permesso in futuro al
minore di scegliere, stabilita una corretta comunicazione tra i genitori
e tra genitori e figlio, in che paese e con quale genitore vivere,
scelta che, allo stato, per le ragioni esposte e per l'età, non era
ancora possibile, ma che sarebbe appartenuta soltanto a lui.
La Cassazione. A fronte del rigetto delle richieste in
appello, la donna ricorre in Cassazione, sostenendo che il diritto del
genitore di determinarsi liberamente riguardo al luogo in cui stabilire
il proprio domicilio familiare, garantito dalla normativa costituzionale
e sovranazionale, corrisponde anche ad un diritto del figlio minorenne,
il quale partecipa del diritto all'esclusione d’ingerenze autoritative
nella vita familiare (Art. 8 Convenzione Europea sui diritti dell’uomo),
che non siano strettamente necessarie alla protezione dell'incolumità
psico-fisica del minore stesso.
Secondo la tesi della ricorrente, che sostiene la violazione dell’art. 155 c.c. (ora 337 ter c.c.),
la condivisione dell'affidamento ed il mantenimento delle relazioni
affettive di entrambi i genitori con il minore, non sono ostacolati
dalla distanza dei luoghi di residenza o di permanenza dei genitori.
Il regime di frequentazione potrebbe essere rimodellato sulla base
della distanza fisica, grazie alla possibilità di contatto assiduo e
quotidiano mediante mezzi di telecomunicazione audio-visiva e alla
possibilità d’interazione tra i servizi socio-assistenziali dei luoghi
di residenza dei due genitori - anche se posti in diversi contesti
nazionali - ai fini della continuità dei percorsi di supporto
all'esercizio ed alla condivisione delle funzioni genitoriali.
La suprema Corte tuttavia fa rilevare che tutta la normativa
sovranazionale e l’interpretazione giurisprudenziale delle Corti
europee (art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York
del 1989, artt. 1 e 6 della Convenzione europea sull'esercizio dei
diritti dei fanciulli di Strasburgo del 1996, artt. 24 comma 2 e 52 del
Trattato di Nizza, Regolamento CE n. 2201 del 2003), e quella nazionale
che in seguito alla riforma del 2012 aderisce ai principi espressi in
materia individuati dalle fonti internazionali, porta a dare la
preminenza al superiore interesse del minore, in funzione del quale, se
necessario, l'esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali di
ciascuno dei genitori, anche se garantiti anche dalla Costituzione,
possono subire temporanee e proporzionate limitazioni.
La Cassazione conferma che nell’attuale momento, per il caso di specie,
la compressione del diritto della madre di lasciare l’Italia per
tornare nel suo paese di origine pur riconoscendo le conseguenze
positive nell’ambito personale, affettivo, alloggiativo e lavorativo, è
legittima per la valorizzazione del preminente interesse del figlio.
Al momento l’interesse del minore corrisponde al diritto di avere
un’evoluzione positiva della sua personalità psico-fisica, e l’espatrio,
per le ragioni già esaminate in appello, comprometterebbe la crescita
equilibrata del figlio anche per l’importanza del ruolo paterno e della
sua vicinanza fisica. Non è sufficiente, in tale contesto, la mera
rimodulazione delle modalità di comunicazione, contatti e frequentazioni
tra il padre ed il minore.
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