mercoledì 8 luglio 2015

LA RICETTA DI GIACALONE : PRESTITI PER INVESTIMENTI PRODUTTIVI E GESTIONE EUROPEA DEGLI STESSI

 

Può essere che tutto il problema del debito greco sia legato al sistema pensionistico ? Mi viene da pensare di no, per quanto sappiamo che quello previdenziale è un guaio grosso assai, e più cerchi di risolverlo ( diminuendo per esempio le pensioni, passando dal retributivo al contributivo, ed elevando l'età pensionabile) e più questo si ripropone sia perché la gente ha deciso di morire sempre più tardi (ma NON senza ammalarsi più...anzi) e sia perché con le pensioni ridotte all'osso  e deceduti i nonni e i genitori che ci aiutavano con le loro, temo che ci saranno molti più problemi sociali degli attuali. 
Quindi sicuramente largheggiare in quel campo produce bei buchi nei conti pubblici. Ma non può essere solo quello. I greci hanno poi il problema dei troppi impiegati pubblici. Circa un decimo della popolazione (percentuale che si alza se si considera quella in età lavorativa) . E' troppo, e non servono. Già, ma se non li impieghi lì, dove, in un'economia dove l'industria è quasi assente, se si esclude quella turistica ? Bel casino. L'evasione. I greci non pagano le tasse (anche molti italiani non lo fanno, però gli incassi dello Stato sono sempre molto alti, a differenza di quelli di Atene) e sappiamo bene come non sia facile rimediare a questo difettuccio. Se questa, come sembra, è la realtà fiscale, tutti gli aumenti richiesti, ad esempio quello dell'IVA, non è detto producano quel sollievo dei conti pubblici che si persegue. E anche questa è esperienza piuttosto diffusa...
Dico tutto questo per evitare l'accusa di semplificare il problema greco, facendo l'errore di affrontare la cosa in modo manicheo, individuando nei greci i colpevoli di tutto (molti fanno questo lavoro, mettendo però sul podio dei cattivi i tedeschi e i loro alleati). 
Continuo a pensare che probabilmente sarà necessario, e non solo in Grecia, un generale ridimensionamento delle abitudini ed aspettative di vita dei cittadini, illusi da lustri di denaro  facile grazie appunto a quel debito che nessuno intende alimentare più nella misura passata. 
Non sono un fautore della cosiddetta "decrescita felice", però credo sarà molto difficile tornare ai consumi gaudenti dei decenni che vanno dalla fine degli anni 70 al primo lustro del nuovo secolo. 
Questo non significa peraltro che non ci sia la possibilità di fare meglio di oggi, in fondo peggio di così..., e quindi trovare un po' di risorse per aiutare l'economia a tornare a crescere. Nel campo privato, si sa, bisognerebbe allentare le tasse, ma difficile farlo senza tagliare la spesa corrente, mentre il pubblico potrebbe favorire i cd. investimenti produttivi, accettando sì la prospettiva di un ulteriore indebitamento, ma stavolta finalizzato a ritornare produttivi e quindi, nel prossimo futuro, ad essere in grado non solo di ripagare i nuovi debiti ma iniziare a far scendere anche quelli vecchi.
In fondo sono in tanti a dire questa cosa (con concetti migliori, il duo Alesina e Giavazzi, per esempio), però il problema è dare denari agli Stati che a voce li chiedono appunto per "la crescita" ma che in realtà continuano a spenderli more solito. 
Davide Giacalone , nel suo articolo, suggerisce di lasciare la gestione di quelle elargizioni a coloro che le fanno. E quindi i soldi futuri destinati alla Grecia, e non solo a loro, vadano impiegati per lo più in questi  investimenti produttivi e per essere certi che ciò avvenga, conservare il controllo della loro spesa. In fondo quelli del Financial Time non dicevano una cosa molto diversa immaginando che i soldi della BCE finiscano nelle banche greche che perdano però il loro carattere nazionale per essere "europeizzate" (leggi post  http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/06/ma-si-possono-salvare-la-grecia-e.html ).
Il principio resta quello della sfiducia generale nella gestione dei governi nazionali. Siccome non dare più soldi potrebbe portare al crac dell'Euro, e quindi dell'Unione Europea, si deve trovare un'altra strada.
Giacalone, e non solo lui, suggerisce questa. 
Buona Lettura
 

Debito contro debito


Per spegnere gli incendi, nei casi gravi, si possono utilizzare gli esplosivi. Lo scoppio, se adeguatamente grande, interrompe la linea di fuoco, sposta l’aria, toglie l’ossigeno e consente di lottare meglio contro le fiamme, se non proprio di soffocarle. Il rogo del debito europeo può essere combattuto facendo esplodere altro debito, con cui finanziare i soli estintori ragionevolmente efficaci: l’aumento della ricchezza prodotta e la sottrazione della spesa dalle mani di chi ne perse il controllo. Su questo occorrerebbe ragionare, una volta giunti al bivio ineludibile e drammatico: se salviamo la Grecia, alle condizioni che i greci vorrebbero, facciamo saltare l’euro, perché nessuno accetterà di pagare agli altri quel che a casa propria non può avere; se non la salviamo danneggiamo seriamente l’Unione europea, che perderebbe un pezzo economicamente non rilevante, ma geopoliticamente e storicamente di gran peso. 
Come si fa ad andare avanti senza imboccare nessuna di queste due strade?
Per tornare al passato è troppo tardi, sarebbe come volere fare andare a marcia indietro un aereo: cade. L’Ue ha mille difetti, a cominciare da una produzione regolamentare maniacale, ma oggi garantisce livelli di libertà e sicurezza sconosciuti in passato. Criticare va sempre bene, studiare, però, va anche meglio. La Grecia subirebbe ben altra sorte, se non fosse dentro questo bozzolo. L’euro, nei suoi primi dieci anni di vita, è stato un successo. In particolare per i Greci, che hanno visto crescere notevolmente il loro tenore di vita. Quando sono arrivati i problemi, a partire dal 2010, ha dimostrato la pericolosità delle sue mancanze. Tenere dentro una stessa moneta debiti diversi, venduti a tassi diversi, con curve fiscali e di costo diverse, è come tenere dentro la stiva della barca botti slegate e vaganti: va bene finché il mare e piatto, ma alle prime onde sfonderanno lo scafo. Allora, a partire dal 2011, proponemmo d’imbragarle con la rete della federalizzazione del debito. La Germania s’oppose, per giunta costruendo il primo salvagente greco in modo da guadagnarci. Fu un passaggio pessimo, di cui il loro governo porta la responsabilità. I nostri, in compenso, mostrarono la loro pochezza. Poi, però, il vuoto fu rimediato dalla Banca centrale europea che, non senza il dissenso tedesco e di altri, riprese quella direzione di cammino, sebbene da altra strada. Da allora a oggi l’Ue non ha ancora fatto la cosa più urgente: ragionare e convocare una conferenza sul debito.
La Grecia, ora, ci conduce davanti a quel bivio. Versione grottesca del problema allora non risolto. Riprendiamo la proposta di allora, adattandola al malato dopo la cura Bce: si crei nuovo debito federale, usandolo per finanziare investimenti produttivi laddove il peso del debito è insopportabile. Alleggeriamolo non tagliandolo, ma rendendolo onorabile. La gestione di quegli investimenti non sia nazionale, affinché quei soldi non vadano a finanziare i vizi. Come la debitodipendenza, che illude di potersi drogare a vita, senza conseguenze. I soldi sono europei, gli investimenti e la gestione siano europee. Sarebbe una politica espansiva perfettamente conciliabile con il necessario rigore nell’amministrazione della spesa pubblica interna, che deve calare, essere tagliata, perché moltiplicatrice di rendite e sprechi, vero e terribile veleno propinato ai meno protetti.
Nell’immediato il debito complessivo crescerebbe, ma anche la sua sostenibilità. A quanti sono più intossicati da quella dipendenza si offre una via d’uscita, chiedendo in cambio la perdita di sovranità nella gestione di quel denaro. Sarà una tragedia per chi comanda e per chi approfitta. Sarà ossigeno per chi lavora e paga le tasse. Dinamite contro l’incendio, quindi da maneggiare con molta cura. Ma l’alternativa consiste nel rallentare il volo unitario, non potendo tornare indietro. Prima o dopo va in stallo e cade lo stesso. Agli europei si mostrerebbe un volto diverso dell’Unione: non più spesa mediata, talché tutti i vincoli li si racconta come europei e tutte le regalie come autoctone (supremo imbroglio al popolo), ma spesa diretta e produttiva. A quel punto i governi nazionali possono anche sovranamente opporre, se desiderano, il loro migliore modello del clientelismo e della fila ai bancomat. Conto che, a quel punto, il referendum lo chieda il popolo, non il governo.

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