sabato 13 febbraio 2016

GALLI DELLA LOGGIA DENUNCIA IL PENSIERO UNICO DEI MEDIA IN MATERIA DI DIRITTI CIVILI E MERITA IL NOSTRO PLAUSO PIU' GRATO

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Da Applausi a scena aperta l'articolo scritto oggi da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera. Strano che sia un editoriale, visto che la critica, aspra e decisa,  che il professore rivolge ai   media più importanti, e quindi i talk show più conosciuti nonché i grandi giornali, inevitabilmente è destinata anche al suo.
Personalmente stimo naturalmente molto Galli della Loggia, ma non è, tra gli opinionisti, quello con il quale mi capita una condivisione pressoché totale (come con Luca Ricolfi, per citare un esempio, o Davide Giacalone) .
Stavolta sì. Plaudo ogni riga scritta oggi, e gli sono grato, perché dà voce e dignità - della Loggia gode di ampia stima anche tra gli "avversari" - al mio pensiero e, sono sicuro, a quello di molte migliaia di persone. Mi era già capitato in passato, sempre su temi investenti i cd. diritti civili, vedere l'Italia spaccata e i media assumere un atteggiamento parziale, ma forse mai in maniera così smaccata. In passato leggevo Repubblica, che è sempre stato un giornale - partito, però, prima dell'avvento di Mauro, un diritto di replica alle tesi avverse lo dava. C'erano i classici paginoni dedicati al tema e con due esperti delle diverse fazioni a cui veniva dedicato pari spazio. Poi certo, le penne del giornale erano tutte da una parte.
Adesso nemmeno quello si vede (  oggi però il Corriere non censura uno dei suoi opinionisti più prestigiosi).
Qui non si tratta di pensarla in un modo o in un altro, ma quello di avere rispetto per un pensiero diverso. E questo invece MANCA.
In tv, come mirabilmente ricorda della Loggia, facendo finalmente esempi smaccati (e vedrete se i due non scriveranno una lettera al corriere per lamentarsi di questa menzione) , i conduttori non si peritano di non apparire faziosi. Tutt'altro.
Insomma, come sempre in Italia il pensiero "non moderno", non progressista è visto come patrimonio di minus habens, di gente che non si comprende come possa essere così numerosa .
Un complesso di superiorità odioso, che per fortuna ha avuto tanto spesso smentite mortificanti. Nonostante queste però, il pensiero di essere "i migliori", i più "fighi", resta non scalfito.
Insopportabile.
Insopportabili.




Il fronte unico dei modernisti

di Ernesto Galli della Loggia

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Attraverso quali vie oggi possono nascere e diffondersi in un Paese come l’Italia sentimenti di estraneità ostile nei confronti delle élite, a cominciare magari da quelle culturali e giornalistiche? Di avversione verso il loro ruolo nello spazio pubblico, e quindi, inevitabilmente, di protesta verso la politica? Quei sentimenti, cioè, che poi finiscono per confluire indifferentemente da destra o da sinistra nel grande collettore che abbiamo convenuto di chiamare «populismo»? Per cercare una risposta può forse dirci qualcosa il modo in cui si è svolta in queste settimane la discussione sulle unioni civili e sul problema connesso (almeno fino ad oggi) dell’adozione del figliastro ( stepchild adoption ). Essendo incerta l’effettiva percentuale dei favorevoli e contrari tra gli elettori, qualunque dibattito in merito avrebbe dovuto equamente rappresentare, come è ovvio, entrambe le posizioni. Posizioni le quali, prima che politiche, sono posizioni culturali e morali riguardanti questioni di grande complessità, ambiti fondamentali della vita personale e collettiva. Ebbene, mi chiedo e chiedo: si può onestamente dire che il dibattito in merito sulla grande stampa e in televisione — le uniche sedi che contano — sia stato all’altezza di tale complessità?
Per almeno due ragioni a me sembra di no. Innanzi tutto per una soverchiante, ossessiva presenza — parlo della televisione e della radio ma non solo — di esponenti politici.

In Italia, anche se si tratta del peccato originale o delle cure palliative, la Rai si ostina a credere che i più titolati a discuterne siano un parlamentare dei 5Stelle insieme a un senatore di Fratelli d’Italia. E le radio e tv commerciali non sanno fare di meglio.
 Ne è risultato — nel caso della discussione sulla legge Cirinnà ma così come sempre — un succedersi, in genere semiurlato o punteggiato di interruzioni, di frasi di un minuto, di affermazioni immotivate e ripetute senza tener conto delle eventuali obiezioni.
 
Con la maggioranza dei cosiddetti conduttori non solo incuranti di tenere la discussione su un binario di reale approfondimento di alcunché, ma usi a intervenire di continuo con sorrisetti derisori, sguardi di compatimento e opportune interiezioni (campioni assoluti del genere Gruber e Formigli) per screditare l’opinione da loro non condivisa. Che nove volte su dieci era in questo caso l’opinione degli oppositori alla legge.

Ciò che peraltro rimanda a un dato generale — che rappresenta la seconda delle due ragioni di cui sopra. Vale a dire la iper rappresentazione che su tutti i media così come nell’intrattenimento, nel cinema, in qualunque produzione culturale, ha costantemente l’opinione per così dire laico-progressista, favorevole al cambiamento, a innovare, a cancellare tutto ciò che appare tradizionale, a cominciare — c’è bisogno di dirlo? — della dimensione religiosa. A cui naturalmente corrispondono la svalutazione sussiegosa, quando non il vero e proprio dileggio nei confronti di chi invece è fuori dal mainstream dell’ideologicamente corretto, dalla parte di un pensiero tradizionale, magari convenzionale o ispirato a un antico «buon senso» (molto diffuso ad esempio in merito all’immigrazione o alla sfera della «legge e l’ordine»). Per avere un’idea di un simile atteggiamento partigiano basta ascoltare certi programmi di Radio 24, la radio del Sole 24 Ore .
Che cosa deve pensare, mi chiedo, che sentimenti (e risentimenti) può provare, quella parte del Paese — non proprio minuscola, credo — nel vedersi non solo così continuamente esclusa dalle sue più autorevoli fonti di rappresentazione pubblica, ma palesemente considerata una sorta di sottospecie culturale da tenere di continuo sotto schiaffo?
Crediamo davvero che basti il programma di una rete Fininvest che strizzi l’occhio alle passioni di questa Italia «reazionaria» per bilanciare, che so, il Festival di Sanremo, l’evento televisivo in assoluto più ascoltato dell’anno, trasformato disinvoltamente in una manifestazione in sostegno delle varie cause che vanno sotto la sigla dell’«arcobaleno» (a cominciare per l’appunto da quella delle unioni civili)?
Che cosa sarebbe successo se il Festival di Sanremo fosse stato dedicato, mettiamo, a esaltare la causa delle «famiglie»?
Naturalmente non sono così sprovveduto da ignorare le tante ragioni per cui tutto ciò avviene. Le buone ragioni per cui in tutto il mondo occidentale i media e la cultura sono dominati da un punto di vista diciamo così «liberal». E cioè il fatto che gli uni e l’altra hanno la loro storica ragion d’essere nella libertà e nell’anticonformismo. Ma anche sapendo tutto ciò non riesco a non stupirmi dell’unilateralità smaccata travestita da devozione ai Lumi, dell’indifferenza per l’opinione dissenziente da parte del noto «giornalista democratico», del celebre «professore liberal». Ma soprattutto sono colpito dall’amore sempre e comunque per la novità, per il cambiamento, per il punto di vista che si presenta come più «moderno», più «avanzato», più «democratico», più «laico», che in Italia domina incontrastato la discussione pubblica. Anche la più colta, anche quando questa riguarda temi come l’istruzione, la scuola, la vita sessuale, la religione, la morte, i rapporti tra le culture.
Ambiti rispetto ai quali, se non mi sbaglio, non è proprio così ovvio che cosa voglia dire «progresso», «democrazia» e quant’altro. Insomma: gli italiani orientati culturalmente e spiritualmente — molto spesso in modo assai ingenuo, se si vuole — in senso lato conservatore, a favore di assetti tradizionali, legati al passato (ma attenzione! con colori politici per nulla uniformi), sono di sicuro un buon numero. Tuttavia nel dibattito pubblico del loro Paese un punto di vista culturale che li rappresenti è di fatto inesistente.
 Da quando è scomparsa ogni vestigia di Sinistra marxista con la fine del vecchio Partito comunista, e da quando la Chiesa cattolica ha rivolto la sua attenzione in prevalenza verso il «sociale», il campo è dominato per intero da una prospettiva uniformemente e spensieratamente innovatrice-modernista, univocamente assertrice delle verità di oggi. Ci sarebbe la Destra, naturalmente. Ma in Italia, si sa, la Destra ha solo carattere politico. Dal punto di vista ideale, culturale, antropologico, la Destra italiana non esiste o è in tutto e per tutto simile al resto: anzi, è perlopiù una sua brutta copia.
Di fronte a un establishment così ideologicamente blindato, quale altra diversità autentica, quale altra protesta sono allora possibili, alla fine, se non quelle distruttive offerte dal populismo?

1 commento:

  1. Buongiorno Sig.ra/sig.
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