Angelo Panebianco è, tra le grandi firme del Corriere, quello probabilmente più ben disposto nei confronti dell'attuale Premier. Poi c'è Galli della Loggia, mentre più prudenti, quando non anche garbatamente critici, appaiono Ainis, Alesina e Giavazzi, Battista. Ostellino è dichiaratamente contro, senza se e senza ma, e infatti questo suo ostracismo non trova spazio in prima pagina, ma è sempre relegato nella sua rubrica del sabato. Quasi che il Corriere voglia dire a Renzi : scusaci, non ci far caso, questo liberale tutto d'un pezzo noi lo sopportiamo da anni, fallo un po' anche tu...
Panebianco è tra i fiduciosi, apprezza le sfide lanciate dal Premiar, in particolare anche ai moloch della sua parte, sindacato in primis.
Nell'editoriale di oggi però si duole del fatto che su due argomenti cruciali, politica fiscale e immigrazione, Renzi si mostri prigioniero della catene della sinistra, per usare la felice espressione impiegata da Claudo Cerasa nel suo bel libro recente.
Le tasse Renzi non le abbasserà e non perché i conti dello Stato non lo consentano - bisognerebbe tagliarli quei conti...- ma perché secondo la sua parte politica ancora ce n'è, da tassare ! Non parlano sempre di patrimoniale ? E questo nonostante già ce ne sia una, permanente, che è l'IMU, e siano almeno 3 anni che Draghi, dalla BCE, non faccia che ripetere che la pressione fiscale in Italia è troppo alta, e deprime ulteriormente l'economia.
Altro tasto dolente è l'immigrazione : anche lì l'Italia si conferma prigioniera, nell'affrontare un problema obiettivamente complesso, vittima della demagogia di tradizione cattosinistrese.
Io credo che Panebianco dica cose giuste, apparentemente però dimenticando che Renzi non è liberale, ma nemmeno Liberal (alla Blair, per intenderci) : è l'evoluzione di un democristiano di sinistra.
Quindi quello che si può sperare è che l'uomo cerchi di migliorare i grandi guai della macchina statale, cercando di combattere inefficienze, sprechi, burocrazie incallite...ma non aspettiamoci la formula "meno Stato meno Tasse". Sarebbe un abbaglio grande, in cui temo qualche amico sia caduto.
Non è la sua politica, e NON perché in questo Renzi resterebbe prigioniero dell'ala sinistra del suo partito, ma perché per lui lo Stato, democristianamente, non va ridimensionato, anzi. Solo reso più efficiente.
Uno dice : bé ti sembra poco ? No, in effetti non lo sarebbe.
Ma se hanno ragione quelli che pensano (io tra questi) che il vulnus degli sprechi, delle ruberie, delle inefficienze sta proprio nella dimensione pantagruelica dello Stato,nel suo non limitarsi a dettare le regole essenziali ( qui invece ce n'è una pletora, scritte pure male) della partita, lasciando poi ai cittadini la libertà di giocarla, NON è Renzi la risposta.
Mi piace la definizione di "illusione contabile" che Panebianco dà al famoso 40,8% preso da Renzi alle Europee. Ricorda che esso non corrisponda affatto al 40% degli elettori aventi diritto, che circa la metà ( il 47% ) di questi NON ha votato, e che questo NON si ripeterà alle politiche. Certo, oggi nel campo del centro destra c'è il caos, ma non è detto che debba essere una condizione permanente.
E quando sarà il momento, tanti liberali e moderati avranno avuto modo di vedere che su temi fondamentali Renzi NON è la risposta.
E stavolta voteranno comunque contro.
TASSE E IMMIGRAZIONE, DUE ARGOMENTI ANCORA TABU'
di ANGELO PANEBIANCO
Sembrano davvero tanti, non solo in Italia, quelli che hanno già venduto la pelle dell’orso, che scommettono sul successo di Renzi, del suo tentativo di costruire una egemonia, sua e del suo partito, di lungo periodo. Costoro vedono correttamente i punti di forza di questo tentativo ma ne sottovalutano fragilità e debolezze. La forza di Renzi, che gli ha attirato cosi tanti consensi, anche da destra, sta nella sua comprovata capacità di sfidare alcune convenzioni, tic e luoghi comuni della sinistra. La debolezza (che potrebbe alla fine portarlo al fallimento) sta nella sua arrendevolezza di fronte ad altre convenzioni e altri luoghi comuni.
Chi accusa Renzi di essere solo un bluff non vede quanto sia stato eversivo il suo attacco frontale ad alcune delle principali cittadelle del potere della sinistra. A cominciare dalla Cgil. In questo Renzi assomiglia davvero, fatte le debite differenze, a Tony Blair. Come Blair, egli ha sfidato il conservatorismo sindacale, come Blair ha aggredito centri di potere che da sempre monopolizzavano il diritto di decidere cosa fosse, e che identità dovesse avere, la «sinistra». Su aspetti non irrilevanti Renzi sta davvero tentando di spezzare alcune delle catene (per citare il titolo del bel libro del giornalista del Foglio Claudio Cerasa) di quella parte politica.
Però non è tutto oro quello che luccica. Renzi è stato fin qui molto selettivo. Ha colpito certi luoghi comuni ma si è ben guardato dal metterne in discussione altri.
Si consideri la questione cruciale delle tasse. È ormai chiaro che con Renzi la pressione fiscale non scenderà: è anzi già aumentata e probabilmente aumenterà ancora. E questo nonostante tante voci autorevoli (si pensi soprattutto a Bankitalia) da tempo indichino nell’eccesso di tassazione la causa principale del declino economico del Paese. Ufficialmente le tasse non possono scendere perché non lo permettono i conti dello Stato. È così solo in parte. Le tasse non possono scendere anche per ragioni ideologiche o culturali.
Nella tradizione della sinistra abbassare le tasse è di destra, abbassare le tasse suona berlusconiano. Abbassare le tasse significa abbassarle a tutti, persino a quei ceti medi indipendenti, imprenditoriali e professionali, che la sinistra vive da sempre come i propri antagonisti sociali principali. Abbassare le tasse significa, per la sinistra, «fare regali» a un mondo che tradizionalmente essa giudica assai negativamente imputandogli per lo più ogni sorta di malefatte: dall’evasione fiscale a comportamenti di consumo e stili di vita che essa ha sempre considerato riprovevoli.
Renzi non abbasserà le tasse semplicemente perché il suo mondo non può accettarlo ed egli non sembra intenzionato a sfidarlo su questo punto. Tuttavia, l’impossibilità per il premier di combattere i tabù culturali della sinistra in materia di tassazione potrebbe impedire la ripresa economica. E, alla fine, costargli il successo.
Con l’operazione ottanta euro in busta paga Renzi si era proposto due obiettivi: garantirsi il consenso di larghe fasce di lavoro dipendente attraverso una azione di ridistribuzione del reddito e mettere un po’ di soldi nelle tasche delle famiglie per rilanciare la domanda interna. Il primo obiettivo è stato raggiunto. Il secondo ancora no.
I consumi continuano a languire, la domanda interna non accenna a riprendersi. Se le cose continueranno così forse Renzi sarà costretto a cambiare strategia. Sarà costretto a porsi il problema delle tasse. E a quel punto dovrà misurarsi con la forza, con la potenza, dei pregiudizi della sinistra.
Il secondo punto di debolezza di Renzi riguarda l’immigrazione. La sinistra, e Renzi non fa eccezione, non ha mai voluto distinguere in modo netto — e mandando al mondo messaggi inequivocabili su questo punto — fra l’aiuto ai profughi che scappano dalle guerre e l’accoglienza agli immigrati che scappano dalla povertà. Non c’è mai stata, in fondo, troppa differenza fra il messaggio della laicissima sinistra e quello di molti esponenti della Chiesa cattolica. Si pensi a come si è affrettata la sinistra renziana a cancellare il reato di clandestinità.
È anche per questo che non è oggi possibile una politica europea dell’immigrazione. Le altre forze politiche europee, sinistre incluse, devono sempre, in questa materia, tenere d’occhio l’interesse nazionale (si ricordi con quanta durezza i socialisti spagnoli, quando erano al potere, respingevano i clandestini). La sinistra italiana, invece, è a-nazionale, portatrice di confuse aspirazioni cosmopolite, a loro volta eredità o cascami di antichi e più strutturati internazionalismi ideologici. È una sinistra che oggi potremmo definire francescana, costitutivamente incapace di tracciare una linea di confine fra «noi» e «loro» (e di ragionare quindi in termini di interesse nazionale), incapace di stabilire quanti e quali: quanti immigrati accettare, con quali caratteristiche professionali. L’idea implicita è che sono tutti figli di Dio e che fra i figli di Dio non si discrimina.
Senza contare, dell’immigrazione, un risvolto o un sottoprodotto assai inquietante e rispetto al quale la politica non potrà continuare a lungo a nascondere la testa sotto la sabbia: i califfati attuali e prossimi venturi avvicinano, anno dopo anno, il momento in cui la jihad , la guerra santa islamica, incendierà anche i territori europei, Italia inclusa.
Tuttavia, Renzi non può proprio permettersi una politica realistica dell’immigrazione. Come nel caso delle tasse, i tabù culturali della sua parte sono troppo potenti.
Essendo più intelligente di tanti suoi adulatori Renzi sa che il suo celebre «40 per cento» ottenuto alle Europee è soltanto un trucco, una illusione contabile. Renzi non ha affatto raccolto il quaranta per cento dei voti degli italiani. Alle prossime elezioni politiche, plausibilmente, la percentuale dei votanti rispetto alle Europee aumenterà notevolmente. Altrettanto plausibilmente, scenderà la percentuale di voti del Pd. Renzi potrebbe uscirne lo stesso vincitore. Per le sue capacità, certo, e soprattutto perché difficilmente la destra farà in tempo a dotarsi di un capo in grado di sostituire Berlusconi. Se però la destra ci riuscisse allora per Renzi sarebbero dolori. Potrebbe perdere le elezioni e perderle di brutto. In questo caso, tasse e immigrazione sarebbero le cause della sua sconfitta.
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