martedì 19 agosto 2014

OSTELLINO E IL CONTRATTO (PREVIDENZIALE) TRADITO



E'proprio vero che non fai a tempo a dire una cosa che subito vieni smentito ! Proprio ieri stavo parlando con un amico nel buen retiro umbro dove mi trovo a trascorrere i miei giorni di vacanza e dovevo dargli ragione nel suo contestare un eccesso di durezza nelle critiche che Piero Ostellino rivolge a Renzi, capo del governo.  Il mio interlocutore è persona intelligente ed equilibrata, di sinistra Liberal, quindi aperta anche alle istanze liberali, e mai assolutista nei suoi ragionamenti. Forse, a mio avviso, è un tantino condizionato dal comprensibile anelito al cambiamento delle storture italiche, per cui ha avuto e ha, per volontà più che per ragionamento, coraggiosa fiducia nei governi che sono succeduti a Berlusconi, e che promettevano riforme drastiche del sistema paese. Sperò in Monti, per esserne deluso, oggi spera in Renzi (forse qualche speranziella l'ha avuta anche in Letta ma immagino meno, prima perché appoggiato dal Cavaliere, poi essendo evidente che erano comunque in troppi a voler impallinare il timido Enrico, specie quelli di casa sua...).
E' quindi infastidito dall'ostracismo votato da Ostellino nei confronti del Premier. Io stesso, che pure condivido in buona parte la sostanza delle critiche del patriarca liberale, resto stupito dei toni. 
Alla fine il mio amico ha detto di aver cessato l'acquisto del Corriere. Al che io ho fatto presente che l'opinione di Ostellino non rifletteva la posizione del giornale di via Solferino (critico anch'esso, ma in modo molto più soft, e ospitando vari voci pro Renzi, come quelle di Michele Salvati, tra gli opinionisti, e di Maria Teresa Meli tra i cronisti ). Tanto è vero che i suoi "J'accuse" Ostellino li lanciava dalla sua rubrica del sabato, non avendo mai l'onore dell'editoriale in prima pagina (che normalmente è appunto quello considerato "ortodosso" con la linea del giornale).
Ebbene, è passato l'angelo e ha detto "amen" ! , ché infatti oggi Piero Ostellino ha avanzato le sue critiche proprio dalle colonne  dell'editoraile del Corsera. 
C'è da dire che i toni sono forse per questo un tantino meno rudi del solito, ma insomma la musica è quella.
Come spesso mi accade, sono per lo più d'accordo con l'opinionista, però due obiezioni al volo mi vengono : 1) anche io vorrei che i contributi previdenziali fossero una sorta di accantonamento a favore del lavoratore che se li vedrà tornare indietro sotto forma di pensione, ma non è giuridicamente così, come la Corte dei Conti ha spiegato varie volte. Il versamento dei contributi rientra nella sfera della solidarietà, che si trasmette da generarazione in generazione. Per cui oggi io contribuisco a pagare la pensione di qualcun altro e domani dovrebbe accadere lo stesso per me ; 2) i contributi versati, nel passato, trovando applicazione il sistema retributivo, NON corrispondono alla controprestazione pensionistica, che risultava più elevata. 
Quindi, nella maggior parte dei casi, la pensione percepita da chi gode di quel regime previdenziale (retributivo) è più alta, mediamente, rispetto al versato. Il discorso che si tende a fare è dunque quello di togliere qualcosa a chi ha fruito di un sistema troppo generoso, per dare una mano a coloro che non arriveranno mai a fruire di pensioni paragonabili a quelle.
In altre parole, se ho capito bene,  i miei contributi e le mie tasse consentono a Ostellino di avere una pensione alta, mentre a me non toccherà questa sorte. 
Io sarei d'accordo a correggere il sistema nei termini che il giornalista suggerisce, però è un fatto che per la sua generazione non è andata così : è andata meglio, almeno da questo lato. 
Naturalmente, siccome l'argomento è controverso, sono aperto a obiezioni più approfondite.
Intanto, Buona Lettura


    IL CONTRATTO TRADITO
    di PIERO OSTELLINO
     


    L’ipotesi governativa di toccare le pensioni cosiddette alte per aiutare gli esodati — i lavoratori che, in forza di una legge, non hanno più un lavoro, ma neppure la pensione — ferma l’orologio delle riforme alla redistribuzione della ricchezza (si toglie a qualcuno per dare ad altri) già praticata dai governi precedenti e che ha portato l’economia nazionale nella depressione della crescita zero.
    Le previdenza è una sorta di contratto che il lavoratore stipula con lo Stato, in base al quale, dietro il pagamento di contributi durante gli anni lavorativi, il cittadino riceverà una pensione. L’assistenza è l’aiuto che lo Stato (sociale) fornisce ai meno abbienti attraverso la fiscalità generale. Il nostro Stato — che fa volentieri confusione fra assistenza e previdenza — supplisce alle proprie carenze sociali e finanziarie con la redistribuzione della ricchezza. Questa — che meglio sarebbe definire distruzione di ricchezza — si traduce in una doppia tassazione per chi ha già ha pagato le tasse sui propri guadagni e finisce così col (ri)pagarle, in modo surrettizio, con la sottrazione da parte dello Stato di una parte ulteriore di quegli stessi guadagni. Se, dunque, lo Stato tradisce, o mostra di voler tradire, il contratto previdenziale, non c’è più certezza del diritto, il cittadino non è in grado di programmare la propria vita, smette di spendere, gli investimenti si fermano, lo sviluppo si arresta. Così come ha prodotto la fine del socialismo reale, la forzosa redistribuzione della ricchezza minaccia, da noi, di uccidere l’economia libera.
    L’idea di prelevare dalle pensioni cosiddette alte le risorse per aiutare i meno fortunati — facendo pagare l’assistenza a chi ha già pagato previdenza e tasse — è un trucco per supplire ai costi e alle carenze di uno Stato sociale che non aiuta i meno abbienti, ma fa pubblicità a se stesso e produce consenso a chi governa. Il trucco è, a sua volta, reso necessario dalla carenza di risorse, dall’esigenza di reperirle e dalla promessa di riforme che chi ne parla non è, poi, in grado o non ha la volontà politica di fare.
    È il caso del governo Renzi — che si ripromette di essere riformista — e si rivela tutt’altro che tale. Esso, che piaccia o no, è uguale ai governi che lo hanno preceduto. Non fa, come non hanno fatto quelli, le riforme, soprattutto quella fiscale e amministrativa, che snellirebbero lo Stato e gli consentirebbero di spendere meglio le risorse di cui dispone. Un’abile e opportuna operazione di marketing a favore di se stesso, diffusa da un sistema informativo inadeguato, ha promosso il governo Renzi a «ultima spiaggia» contro l’eventualità di elezioni anticipate. Che nessuno pare volere. Senza che i cittadini-elettori manco se ne accorgessero, l’Italia è passata, così, dalla condizione di democrazia rappresentativa a quella di democrazia «guidata» da una tecnocrazia.
    L’Italia rimane — malgrado l’involuzione istituzionale — un Paese libero. Ciò non toglie, peraltro, che si sia concretata in parte quella rivoluzione sociale, fallendola, che la sinistra filosovietica avrebbe voluto fare subito dopo la fine della guerra. Rivoluzione che la stessa Costituzione in qualche modo ha favorito con le sue ambiguità.
    Ancorché condizionata da una burocrazia eccessiva e criminalizzata da una diffusa cultura politica statalista e dirigista, l’economia di mercato è da noi (ancora) relativamente in buona salute. Ma non è neppure il caso di ignorare certi sintomi.

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