mercoledì 10 giugno 2015

LE COSE CHE TSIPRAS NON DICE (ANCHE PERCHE' IL GIORNALISTA NON GLIELE CHIEDE)

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Quando leggi le interviste ai capi di governo - sul Corriere ne sono comparse due recenti a due personaggi controversi dell'attualità internazionale, Putin e Tsipras - alla fine pensi sempre "bè, in fondo tutti i torti non li hanno".
Questo accade perché da un lato è normale che questi siano abili comunicatori, se no non sarebbero arrivati lì dove sono, dall'altra perché ad intervistarli non ci sono giornalisti della giusta tempra.
Ora, non pretendo che siano tutti sul livello di Oriana Fallaci, che aveva il coraggio di contestare con schiettezza a gente come Komeini le loro nefandezze, però nemmeno essere sempre così asettici e soft, quando addirittura non azzerbinati.
Oltretutto, il lettore in genere non è a conoscenza dei particolari delle situazioni, e quindi non è per lo più in grado di obiettare alle risposte evasive quando non bugiarde.
Io non sono sicuro che le contestazioni che leggo oggi di Maurizio Ferrera, sempre sul Corsera, alle dichiarazioni di Tsipras, siano corrette, però mi sarebbe piaciuto che l'intervistatore le avesse mosse al premier greco, per sentire le risposte.
Perché se le obiezioni sono vere, allora forse hanno ragione Giavazzi e Panebianco quando di recente hanno fatto capire che i greci vogliono vivere al di sopra delle loro possibilità, e lo vogliono fare coi soldi degli altri, e questa cosa ha un po' stufato. Tsipras ieri osservava come finora quei soldi sono sempre stati restituiti, e con ottimi interessi.
Ecco bravo, finora. 
Sarebbe bene che si desse modo e maniera ai cugini ellenici di diminuire il proprio debito senza strangolarsi, e quindi dare loro più tempo.
Ma nello stesso momento loro devono mostrare di rinunciare a certe velleità come le pensioni a 55 anni e le assunzioni pubbliche per scavare e riempire buche.
Intanto cominciassero da lì. 




Il Corriere della Sera - Digital Edition

Ciò che tsipras NON DICE 
all’europa (e ai greci ) 
Maurizio Ferrera
 

La vittoria elettorale di Syriza è stata salutata con simpatia da molti settori della sinistra europea e italiana in particolare: un trionfo della democrazia contro la tecnocrazia, la difesa del welfare contro l’austerità neoliberista. Nell’intervista di ieri al Corriere , Alexis Tsipras ha indossato i panni del cavaliere solitario in guerra contro l’ingiustizia, lanciando bordate non solo contro la Commissione e la Germania, ma anche con i suoi colleghi sud-europei, colpevoli di fingere che i torti subiti dalla Grecia non li riguardino pur di tranquillizzare i mercati finanziari.
Alcuni giudizi espressi dal primo ministro di Atene non sono privi di fondamento. Le condizioni che la Troika (ora ridefinita come Gruppo di Bruxelles) ha imposto al suo Paese a partire dal 2010 sono state molto severe e intransigenti, troppo focalizzate sui tagli di bilancio e insensibili alle esigenze della crescita.
Sorprendono però quasi tutte le critiche di Tsipras alle attuali proposte Ue. Chi conosce i documenti sa che nessuno, ma proprio nessuno sta chiedendo alla Grecia di «abolire le pensioni più basse e i sussidi che riguardano i cittadini più poveri». L’invito è semmai quello di riformare un sistema sperequato a favore dei redditi più alti, che ancora consente ai dipendenti pubblici di ritirarsi dal lavoro prima dei 55 anni (costo: 1 miliardo e mezzo di euro l’anno, quasi un punto di Pil, solo per queste pensioni). A gennaio sarebbe dovuta entrare in vigore una riforma che avrebbe, fra l’altro, rafforzato le prestazioni più basse. Tsipras ha «ucciso» (parole sue) questa riforma. Quanto ai sussidi ai più poveri, la Commissione invita la Grecia a razionalizzare gli strumenti esistenti e a introdurre un reddito minimo garantito. Il ministro per gli Affari sociali ha risposto che il reddito minimo «è roba da Africa» e che il governo vuole procedere con altre misure.
Intanto, una delle prime mosse del nuovo governo è stata la firma di un generoso contratto per i dipendenti della Depa (equivalente greco dell’Enel). E nel ministero delle Finanze sono stati riassunti centinaia di addetti alle pulizie, con tanto di indennità aggiuntiva. Prima della riassunzione, una cooperativa esterna puliva il palazzo con 30 persone.
Gli esempi potrebbero continuare. Il punto da sottolineare è, tristemente, questo: Tsipras e Varoufakis fanno prediche «di sinistra» quando parlano all’Europa, ma in casa propria sono schierati a difesa di uno status quo che avvantaggia selezionate categorie di lavoratori del settore pubblico, altamente sindacalizzate, e del mondo delle professioni (piccole e grandi).
C’è da sperare che le sinistre europee sappiano prendere bene le misure al fenomeno Syriza: un misto di radicalismo anni 70 e nazionalismo euroscettico. Come ha spiegato Manos Matzaganis in un lucido contributo sul sito Opendemocracy.net , questo partito affonda le sue radici nella persistente polarizzazione ideologica e nel populismo etnocentrico della cultura politica greca, causa ed effetto, al tempo stesso, dei ritardi di modernizzazione di questo Paese.
In Grecia c’è davvero un’emergenza sociale e la Ue ne è parzialmente responsabile. Ma il welfare ellenico era un iniquo colabrodo già molto prima della crisi. La Commissione Ue ha ragione da vendere quando chiede di riformarlo.
Salvare la Grecia conviene a tutti. Tsipras ne è consapevole e per questo ha tirato così a lungo la corda. Ma restare nella famiglia europea significa anche rispettarne le regole. Prima fra tutti, quella di mantenere un legame «decente» fra ciò che si dice e ciò che si fa.

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