martedì 3 gennaio 2017

PANEBIANCO E LA GUERRA DI RELIGIONE : PERCHE' NEGHIAMO L'EVIDENZA

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E' da tantissimo tempo che desidero visitare Istanbul, ma penso che dovrò rimandare ancora l'esaudimento di questo proposito.
Uno potrebbe osservare che vivere in una grande capitale occidentale, oltretutto centro della cristianità, come Roma, non è che sia più sicuro, e probabilmente è vero.
Però mi sembra che la Turchia sia attualmente un posto più inquieto di altri, e questo a causa del suo pirotecnico leader che non ha timore di farsi nuovi e feroci nemici. Ai curdi del PKK, si sono da un po' aggiunti quelli dell'Isis, e comunque per gli occidentali oggi passeggiare per una Turchia molto meno laica di un tempo è meno tranquillo di una volta, dove anzi l'antica Costantinopoli era un classico e suggestivo punto di incontro tra occidente ed oriente.
Mi sembra poi un fatto assodato che questo paese sia più colpito di altri, anche della Francia, pure tormentata, da attentati terroristici.
Angelo Panebianco torna a rintuzzare la posizione di quei numerosi "politically correct", tra cui va annoverato  l'attuale pontefice, che sostengono sempre, ormai a mo' di slogan, che  l'islam non c'entra, che questa non è una guerra di religione ma, come sempre, un conflitto materialistico di contrapposti interessi economici, favorito dalle grandi disuguaglianze, i troppo ricchi e i troppo poveri e bla bla bla.
Il noto professore e politologo cerca di svolgere un'analisi lucida per spiegare come questa "a"spiegazione, apodittica, in realtà non regge un vaglio razionale, e si fonda molto sulla secolarizzazione della nostra civiltà (??) , con la conseguente incapacità di comprendere che qualcuno possa sacrificare vite umane, compresa la propria, in nome di un credo religioso.
Sempre è pericoloso e sbagliato percepire la realtà - pensare è altro - attraverso i nostri preconcetti mentali, attribuendo alle motivazioni altrui i NOSTRI schemi.
E' un buon modo per NON capire e quindi per NON attrezzarsi per difendersi e reagire.
Dopodiché è bene comprendere la complessità dei fenomeni, e quindi che essi possano essere composti da fattori diversi, tra cui senza dubbio anche interessi diversi da quelli propriamente di fede.
Ma quest'ultima purtroppo c'entra, eccome.
Buona Lettura




I terroristi non sono folli
ma soldati del terrore

Le semplificazioni non aiutano e non dobbiamo negare il ruolo che la religione ha nell’arruolamento dei militanti per la guerra che l’Isis ci ha dichiarato

 
 

  
Dopo ogni attentato dei jihadisti in Europa (forse accadrà anche ora, dopo la strage di Capodanno a Istanbul), riappare sempre la stessa divisione: fra quelli che dicono che «la religione non c’entra», sono solo gli «interessi» (materiali) a spiegare tutto, e quelli che sostengono che la religione sia la vera causa. Semplificare va bene, serve per capire situazioni complesse, ma se si semplifica troppo si finisce per non capire niente.
Quando è in gioco la vita di tante persone non capire niente è pericoloso, sbagliare diagnosi è il modo più sicuro per restare indifesi. Perché, a dispetto di ogni evidenza, a dispetto dei Santi (è il caso di dirlo), tante persone negano che quella dichiarata, non solo contro altri musulmani ma anche contro gli occidentali, sia una guerra religiosamente motivata?
Due sono le ragioni principali.
La prima è che ammettere che l’Islam c’entri significa doversi porre — e porre anche ai musulmani (la maggioranza) che si tengono lontani dal jihad — domande scomode, fastidiose, sugli atteggiamenti del mondo islamico nei confronti della società aperta occidentale e sugli aspetti della loro tradizione che hanno generato la sfida jihadista. È più rassicurante prendere per buono quanto i rappresentanti delle comunità musulmane sostengono dopo ogni attentato, ossia che «l’Islam non c’entra», nulla ha a che spartire con quei quattro (solo quattro?) esaltati.

Per negare l’evidenza si ricorre a una serie di rassicuranti affermazioni. Per esempio, si definisce «folle» l’attentato. Ma non c’è niente di folle: l’attentatore è un soldato, combatte una guerra dichiarata da qualche organizzazione (ieri Al Qaeda, oggi l’Isis, domani un’altra). Quel soldato è la versione contemporanea dei combattenti per la causa islamica dell’età medievale e della prima età moderna. Un altro modo per rassicurarsi collettivamente sul fatto che l’Islam non c’entra consiste nell’evidenziare che l’attentatore, prima di convertirsi all’islamismo radicale, era spesso un piccolo delinquente con precedenti penali. Quei precedenti, non la religione, spiegherebbero la sua azione. Si dimentica che anche molti dei protestanti e dei cattolici che nel Cinquecento commettevano le violenze più efferate contro persone della fede opposta, erano dei malvissuti. Criminali e spostati di ogni tipo sono sempre stati la bassa manovalanza nelle guerre religiose, etniche o di altro genere. Né possiede alcun significato il fatto, come si è talvolta accertato, che quegli attentatori conoscano poco della religione in nome della quale combattono. Vale sempre l’esempio dei sopra citati protestanti e cattolici. Capi a parte, molti dei più esagitati e violenti erano, dal punto di vista religioso, degli sprovveduti, la loro «competenza» era racchiusa in pochi slogan. Ma nessuno si sognerebbe di negare la natura religiosa di quel conflitto.




La seconda ragione per la quale in tanti rifiutano di riconoscere il carattere religioso della guerra dichiarata dall’islamismo radicale è forse più importante. Ed è anche il motivo per il quale i capi jihadisti, come risulta dalle loro dichiarazioni, pensano che l’Europa sia il ventre molle dell’Occidente, un insieme di Paesi che — non importa quanti anni o decenni di lotta saranno necessari per raggiungere lo scopo — dovrà prima o poi arrendersi, sottomettersi. La ragione ha a che fare con la scristianizzazione. Fra tutte le aree del mondo l’Europa è quella in cui il processo di secolarizzazione (la scomparsa del sacro dalla vita individuale e collettiva) ha raggiunto i massimi livelli: nella sua parte protestante come in quella cattolica (e il fatto non è contraddetto dalla popolarità di cui gode anche fra i non credenti, anche fra tanti atei dichiarati, l’attuale Pontefice).
Contrariamente a quanto immaginavano gli illuministi (quelli francesi, non quelli anglosassoni), la scristianizzazione non ha eliminato la «superstizione», non ha reso gli europei «più razionali». Ha invece aperto la strada a varie forme di regressione culturale. Per citare solo la più impressionante: sono ormai legioni coloro che pensano seriamente che non ci siano differenze fra uomini e animali (domestici e non).
È arduo, per una società siffatta, accettare l’idea che ci sia gente disposta a uccidere e a farsi uccidere in nome di un credo religioso. La secolarizzazione/scristianizzazione porta con sé l’impossibilità di capire un fenomeno del genere. 
Si noti che la secolarizzazione — quando si parla di estremismo islamico — sembra talvolta lambire le stesse autorità religiose cristiane mettendole in contraddizione con se stesse. Se si nega alla lotta armata dei jihadisti carattere religioso, se si sostiene che in quel caso la religione è un pretesto (che nasconde gli interessi materiali in gioco), una specie di «sovrastruttura», di «oppio dei popoli», non ci si avvede che un simile ragionamento potrebbe essere esteso logicamente fino a ricomprendere le scelte religiose di chiunque, cristiani inclusi.
E gli interessi? Non ci sono interessi in gioco? Politici, economici, eccetera? Ma certo che ci sono. Anche nei conflitti religiosi pesano, eccome, gli interessi.
Nella Germania del Cinquecento diversi principi tedeschi scelsero di appoggiare la causa protestante o quella cattolica per convenienza politica. E tanti nobili, mercanti e contadini badavano, oltre che alla salvezza dell’anima, ai benefici terreni. Le grandi potenze, i loro sovrani, si schieravano da una parte o dall’altra sulla base di calcoli dettati dalla ragion di Stato (tenevano conto sia dei rapporti di forza internazionali che degli interessi commerciali in gioco, nonché dei sentimenti religiosi dei propri sudditi).
Il gioco degli interessi era così complicato che potevano persino realizzarsi alleanze temporanee fra potenze protestanti e potenze cattoliche. Proprio come accade nel Medio Oriente attuale, dove divisioni religiose (ad esempio, fra sunniti e sciiti), divisioni nazionali (ad esempio, fra turchi e curdi), logica di potenza e interessi economici (petrolio e altro), interagiscono, dando luogo a un intricatissimo mosaico. Religione e «interessi» non si escludono mai a vicenda. Gli essere umani sono complicati. Anche quando pensano «all’Al di là» non smettono, per lo più, di ricercare vantaggi nell’al di qua.

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