Qualche giorno fa postammo la notizia della sospensione per 11 anni dalle sue funzioni del noto giudice spagnolo Baltazar Garzon . Praticamente, vista l'età del condannato, la fine della sua carriera di magistrato.
Più precisamente, il 9 febbraio scorso il Tribunal Supremo (Spagna) ha condannato Baltasar Garzòn ad una “multa di quattordici mesi con una diaria pari a 6 euro” ed a undici anni di inabilitazione da qualsiasi funzione giudiziaria per aver eseguito delle intercettazioni dei colloqui intervenuti in carcere tra degli indagati, in detenzione preventiva, ed i loro avvocati difensori.
Ovviamente tra i fan del giustiziere spagnolo, famoso tra l'altro per i suoi atti di incriminazione contro personaggi noti e odiati come Pinochet e Berlusconi (l'accostamento sarà gradito ai maniaci ossessionati dal caimano, ma è solo un dato di fatto, tra l'altro il secondo è stato assolto, il primo è morto nelle more dei vari procedimenti che lo riguardavano ), si è levato subito la contestazione "complottista" : Garzon giudice scomodo, nemico dei poteri forti....
Magari sarà anche vero, chissà. Il complottismo ha questo vantaggio...si basa su dell ipotesi più o meno plausibili, e quindi sempre sostenibili ancorché altrettanto contestabili.
Ovviamente è stata scomodata la tutela dell’indipendenza dei giudici, il condizionamento che si può determinare per la sola possibilità di essere sottoposti ad un giudizio…
Cose che si sentono anche da noi ...e di più ogni qual volta che si affronta il delicato problema della responsabilità dei magistrati.
Però i giudici che hanno motivato la sentenza di condanna del celebre giudice in questione, bisogna dire che hanno fatto un bel lavoro, perché francamente è difficile non dare loro ragione sia in astratto, per i principi enunciati e difesi, che in concreto, per il caso esaminato e deciso.
Prendiamo dunque i punti salienti della sentenza di cui parliamo :
“Il diritto di difesa è un elemento centrale del processo penale dello Stato di diritto, consiste in un processo con tutte le garanzie. Non è possibile costruire un processo giusto se si elimina totalmente il diritto di difesa, sicché le sue possibili restrizioni devono essere espressamente giustificate”.
Nel caso in questione, la Corte, dice che non si discute della sufficienza degli indizi o della motivazione del provvedimento, ma piuttosto del “valore giuridico penale della decisione giudiziaria che, incidendo direttamente sul diritto alla difesa e sopprimendo la confidenzialità, accordò l’autorizzazione all’intercettazione delle comunicazioni tra gli imputati imprigionati (in carcere preventivo) e i loro avvocati difensori, senza che esistessero dati di nessun tipo che indicassero che gli intercettati stavano utilizzando l’esercizio delle facoltà di difesa per commettere nuovi delitti.”
Nel ribadire la sottoposizione alla legge ed alla Costituzione di tutti i poteri pubblici, la Corte si esprime così: “Lo Stato di diritto è violato quando il giudice, con il pretesto di applicare la legge, la attua secondo una propria visione soggettiva … attribuendo alla norma un significato irrazionale, sostituendo all’imperio della legge un atto contrario di mero volontarismo”.
E precisa, che visto in questo modo, l'attribuzione del delitto di “prevaricaciòn” non può in alcun modo essere inteso come un attacco alla indipendenza del giudice, ma piuttosto rappresenta una esigenza democratica imposta dalla necessità di punire una condotta che risulta lesiva dello Stato di Diritto.
Insomma, il giudice non può volgere l’interpretazione della legge ad uso e consumo delle sue indagini, poiché “la giustizia ottenuta a qualsiasi prezzo, finisce col negare la Giustizia”.
Nel caso di specie,va tenuto presente che il diritto per l’accusato di comunicare con il proprio difensore, senza essere ascoltato da terze persone “è una delle esigenze elementari del giusto processo…”
In sostanza le intercettazioni disposte in relazione alle comunicazioni riservate che gli imputati, in stato di custodia cautelare in carcere, intrattenevano nel parlatorio del centro penitenziario sono state “un atto arbitrario, per carenza di motivazione, che distrugge la configurazione costituzionale del processo penale come processo giusto”. Questo perché le intercettazioni sono state giustificate soltanto dall’esistenza di indizi relativi all’attività criminale per la quale gli imputati si trovavano in carcerazione preventiva, indizi che sono precisamente quelli che avevano determinato e giustificato la carcerazione preventiva, senza che si fosse esaminata la necessità che tali indizi coinvolgessero anche i difensori. In pratica è una interpretazione inammissibile della legge, perché condurrebbe alla automatica autorizzazione alle intercettazione delle conversazioni tra imputato in prigione ed il suo difensore, senza che si estenda la valutazione anche all’esistenza di indizi che effettivamente facciano ritenere che attraverso il difensore l’imputato stia cercando di commettere altri e nuovi reati (qui il reato sospettato era il riciclaggio).
La Corte, condannando Garzòn, dice che con l’ingiustificata riduzione del diritto di difesa e dei diritti ad esso connessi (riservatezza, segreto professionale…) ha messo in discussione l’intero sistema processuale spagnolo, teoricamente dotato di tutte le garanzie costituzionali proprie di uno Stato di diritto contemporaneo, “ammettendo pratiche che ai tempi odierni si praticano solo nei regimi totalitari nei quali tutto è considerato valido al fine di ottenere l’informazione che interessa, o si suppone interessi, lo Stato, prescindendo dalle garanzie minime effettive per i cittadini, e trasformando in tal modo le previsioni costituzionali e legali sui tali garanzie in mere proclamazioni prive di contenuto”.
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