lunedì 5 marzo 2012

CON L'ENNESIMO TRATTATO FIRMATO , LA DEMOCRAZIA EUROPEA FA UN IMPORTANTE PASSO : INDIETRO


Verso un'Europa sempre meno democratica, Aristocratica od Oligarchica, a seconda della buona sorte (sia Aristocrazia che Oligarchia sono il governo di POCHI, la differenza la fa la capacità, il merito : gli aristocratici sono quelli che, nella loro saggezza e benemerenza, esercitano il potere nell'interesse della collettività, gli oligarchi, pensano solo al bene proprio e dei loro amici e sodali....una sintesi alla buona della definizione Aristotelica).  Certamente non si può parlare di Europa democratica. Del resto, i passaggi popolari spesso sono negativi, e questo trend negli ultimi anni non è certo diminuito.
Così si vara un trattato fondamentale come quello che prevede il cosiddetto FISCAL COMPACT, con riforme fondamentali per la vita dei singoli paesi europei, senza il minimo dibattito non solo popolare (referendum) ma nemmeno parlamentare. Intanto firmano i Premier, le ratifiche arriveranno (vedremo se verranno chieste, dubito che qualcuno verrà mai a chiedere il mio parere e degli altri miei 40 milioni di connazionali).
Io da tempo ho fatto outing e ho confessato il mio euroscetticismo , che però, tengo a precisare, non è contro l'IDEA federale in sé, ma per la possibilità di attuarla in un continente vecchio e diviso come quello Europeo.
Al di là di questo, anche europeisti convinti come Davide Giacalone, da tempo denunciano la strada rovinosa imboccata dal progetto europeo (peggio forse solo quello della Roma di Luis Enrique...) , che con l'adozione della moneta unica, tanto elogiata dai più ma scollegata completamente da un sistema federalista vero in campo politico e finanziario, ha segnato il primo pesantissimo autogol ( e sono tanti i paesi del nord europa che vogliono tornare indietro, mentre GB e Svezia sono ben contente di non aver mai adottato l'Euro).
Ecco di seguito l'istruttivo  articolo scritto all'indomani della firma dell' ultimo trattato europeo, avvenuta a Bruxelles il 2 marzo scorso.
Buona Lettura

 
Il “fiscal compact”, il nuovo trattato europeo, non è un passo avanti verso l’unione politica, ma verso il suo divorzio dalla democrazia. Non è una conquista degli europeisti (fra i quali mi metto), ma un buon concime per le tante forze anti-europeiste che s’aggirano e che sorgeranno per il continente. La spoliazione della sovranità nazionale avviene senza alcuna compensazione di sovranità democratica, bensì attraverso una doppia resa: ai parametri numerici, privi di legittimità culturale, e ai giudici della Corte di Giustizia. L’unione sta finendo peggio di quel che paventammo per l’Italia, il potere giudiziario non solo prevale sulla politica, ma amministra direttamente la fiscalità e il bilancio. Un incubo. In un solo Paese il popolo sarà chiamato a dire che ne pensa: l’Irlanda. Almeno lì sarà un’Europa da Guinness, ma non nel senso dei primati, bensì della birra.
Quando i popoli di Francia e Olanda furono chiamati a pronunciarsi sulla Costituzione europea la bocciarono, facendola sparire dalla circolazione. Ora che si approntano vincoli assai più stringenti, che influiranno pesantemente sulla vita quotidiana dei cittadini europei, nessuno sarà sentito, nessuno chiamato alle urne. Tranne gli irlandesi, appunto. Siccome alle urne si tornerà, perché le nostre democrazie sono state smidollate, ma non abolite, alla loro apertura avremo la pessima (non) sorpresa di vedere germogliare l’antagonismo contro l’Europa. Quello che era un disegno di libertà e progresso cercherà di sopravvivere sotto forma di ricatto: provate a ribellarvi, provate a uscire e sarete massacrati dai mercati finanziari. Dapprima ne faranno le spese le classi politiche nazionali (che sarebbe meglio definire: dialettali), poi sarà colpita l’Unione. I qualunquisti europei diranno: finalmente si toglie l’arma della spesa pubblica dalle mani dei politicanti, che la usano per farsi rieleggere. Poi ci si accorgerà che quella spesa (i cui mali denunciamo continuamente) è parte stessa di una sovranità che s’incarna nel patto sociale. A quel punto la reazione sarà cieca.
Dicono gli ottimisti che, grazie al fiscal compact, si apre la via alla federalizzazione dei debiti nazionali. Ma quello è un rimedio se comporta la federalizzazione della politica. Auspicabile. Mentre l’uso di quello strumento in un’Europa parametrizzata e giudiziarizzata equivarrà all’annessione operata da un potere non delegato, falsamente tecnocratico, sostanzialmente irresponsabile. Un potere che usa il discredito della politica per mascherare i propri errori: nel 2007, quando è iniziata la crisi dei debiti sovrani, il nostro equivaleva al 103,9% del prodotto interno, oggi, dopo cure da cavallo, fatte con le manovre fiscali (prevalentemente in capo al governo Berlusconi e solo da ultimo di quello Monti) equivale al 120,1. Un capolavoro dovuto alla recessione, che quelle manovre hanno aggravato. Dobbiamo gioire e complimentarci?
Firmando il nuovo trattato Spagna e Olanda hanno già annunciato che lo violeranno. La Francia dovrà soffrire per rispettarlo. Noi lo pagheremo nel tempo. Tutti cresceranno meno o recederanno. Mariano Rajoy ha detto che la fissazione del deficit è una “decisione sovrana che spetta alla Spagna”. Contiamo di vederlo a Dublino, nel far campagna contro il trattato, visto che quella sovranità l’ha persa firmando. Il guaio è che quella bocciatura sarebbe un ulteriore danno, facendo ripartire la speculazione appena raffreddata dai mille miliardi della Bce.
Morale: piegandosi ai voleri del governo tedesco gli altri europei hanno riportato indietro il calendario di venti anni, al 1992, quando a Helmut Kohl non fu concesso di fare dell’Europa una grande Germania. Lui capì e disse: a noi interessa la Germania in Europa, non un’Europa germanizzata. Quel compromesso diede ottimi frutti, sebbene creando, nel tempo, il dramma di una moneta senza governo. Quello di venerdì scorso, a Bruxelles, non è un compromesso è una resa. Che nuoce all’Europa, ma prima ancora alla democrazia. 


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