lunedì 16 aprile 2012

MA PERCHE' UN GOVERNATORE REGIONALE DEVE NOMINARE UN PRIMARIO?

Molto bello l'intervento di Giacalone sul tema Sanità e Giustizia.

Sanità e legalità


Lo scandalo non sono gli avvisi di garanzia, ma il sistema sanitario italiano. Lottizzato e costosissimo. Dalla Puglia alla Lombardia, in un tripudio di pessima uniformità nazionale, dici “sanità” e pensi più ai reati che alla salute.
Gli avvisi di garanzia ricevuti da Niki Vendola finiscono sulle prime pagine dei giornali, seguendo un tracciato oramai talmente calpestato da essere divenuto un solco istituzionale: l’atto innesca l’accusa pubblica, cui l’interessato reagisce difendendosi sui giornali e farfugliando cose generiche quanto le accuse. Come le bombe, anche le inchieste e gli avvisi di garanzia cascano a grappoli, sicché si passa, nel breve volgere di poche ore, dal vestire i panni del moralista all’essere additati quali immorali. Quelli della Lega ne sanno qualche cosa. E se lo meritano, come quanti cavalcarono e cavalcano il giustizialismo. Noi siamo garantisti appiedati, quindi riteniamo il governatore pugliese un innocente (fino a prova del contrario) e gli auguriamo di maturare più attenta considerazione dell’urgente necessità di chiudere la fabbrica della malagiustizia. Posto ciò, in quel che gli accade ci è chiarissima l’esistenza di uno scandalo, che consiste nel nostro sistema sanitario.
Al netto della presunzione d’innocenza, perché mai un governante regionale dovrebbe avere quale che sia influenza sulla nomina di un primario, o sull’accordo da farsi con una clinica? Anche ammesso che tutti si sia onesti e irreprensibili, perché quelle scelte devono dipendere dalla politica? La risposta è: perché riforme demenziali hanno regionalizzato la sanità, rendendola peggiore, più costosa e più permeabile all’intrallazzo. La regionalizzazione fu fatta inseguendo due obiettivi: un federalismo disfunzionale e la voglia di nascondere sotto il tappeto regionale il debito sanitario. Il risultato è conseguente: il sistema sanitario nazionale è stato distrutto e il debito è cresciuto enormemente (per giunta non cantabilizzato in quello pubblico statale, quindi innescando una bomba a orologeria che, prima o dopo, ci scoppierà sotto le terga).
Quando anche tutti gli indagati saranno assolti (fra dieci anni, così la Corte Europea potrà giustamente sostenere che il nostro è un Paese senza giustizia), noi ci saremo comunque condannati a tenerci questa roba. Nel frattempo chi dirige i reparti sanitari si dedicherà più all’inciucio con il politicastro analfabeta di turno che allo studio delle patologie che dovrebbe curare. Nel mentre i fornitori di materiale sanitario s’industrieranno a far quattrini in un sistema acefalo, ove la stessa identica cosa ha prezzi diversi a seconda di chi la paga.
Raccontando la storia dell’Asl di Salerno, e le prodezze niente affatto eroiche, ma banalmente normali, del commissario, Maurizio Bortoletti, abbiamo documentato quali miracoli si possono fare semplicemente adottando il buon senso: diminuisce la spesa, si regolarizzano i pagamenti, diminuiscono le attese e, senza ulteriori acquisti, aumenta la strumentazione a disposizione dei medici. Segnalammo che quello doveva essere un modello da adottare su scala nazionale. Invece s’è ribadito il più bieco costume italico: le buone pratiche devono essere nascoste, ci se ne deve vergognare, mentre quelle dilapidatorie dilagano, sono sotto gli occhi di tutti, ma se ne parla solo se parte l’avviso di garanzia.
La Regione Lombardia ha finalmente preso in considerazione l’ipotesi (lo scorso 4 aprile, con un progetto di legge) di vendere le strutture sanitarie, ospedali compresi, che non rendono, che creano problemi e deficit. Purtroppo siamo solo ai progetti, nulla di concreto, ma, almeno, si mostra di avere capito il succo: non si deve avere paura del privato che cerca il profitto nel mercato sanitario, si deve temere il privato che lucra grazie agli accordi con il pubblico. L’entità dei fondi così illecitamente accumulati, e dei soldi buttati, è tale da essere un problema di legge, non solo di legalità. Ma la cosa grottesca è che un tale principio possa affermarsi in una regione ed essere negato altrove. L’Italia è già troppo piccola per rendere sostenibili livelli di welfare come quelli realizzatisi, se la si spezzetta se ne aumentano i costi. Fra gli sprechi vanno contabilizzate anche le competenze mediche umiliate dalle amministrazioni politiche.
Gli avvisi di garanzia, in un Paese senza giustizia, sono folclore. Mentre riformare il sistema sanitario sarebbe l’operazione saggia di chi, al tempo stesso, voglia tagliare la spesa pubblica e liberare il mercato, aumentando la qualità del servizio e chiamando capitali privati a occuparsi della salute collettiva. Chi non lo capisce impoverisce e mette a rischio anche te, digli di andarsene.

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