Io ero liberale già allora, e non era di moda, come lo sarebbe diventato poi, almeno a parole.
Però devo dire che lA gente come Curcio, Franceschini, Cagol mi suscitava un senso di "rispetto". Erano persone che avevano degli ideali, che credevano nella rivoluzione, e a questi hanno sacrificato la loro vita. Erano sbagliati, lo penso al di là del fatto che, avendo loro perso, è facile dirlo da "vincitori". Io credo che quelle idee fossero sbagliati sia dato dal fatto che NON potevano vincere, per la loro astrattezza e distanza dalla realtà della società italiana.
Comunque sono state persone che hanno pagato per le loro scelte, alcuni con la vita, altri con decenni di anni di carcere, vissuti spesso con dignità.
Uno di questi, Sergio Segio, è stato intervistato da Lucia Annunziata una settimana fa alla sua trasmissione televisiva su RAI tre, suscitando un mare di polemiche per la "tribuna" concessa ad un ex terrorista.
Io sono d'accordo con Nicola Mente, il bravo giornalista e blogger del Lupo Marziano: se vuoi parlare di terrorismo, con chi lo vuoi fare se non con chi di quegli anni è stato protagonista?
Riporto qui il suo articolo,bello nella scrittura e che condivido per grandi parti.
Buona Lettura
Ci risiamo. Non nuova a situazioni simili, l’Italia è un
paese in cui l’amarcord resta sempre il miglior pozzo ove sguazzare, tra
schizzi d’acqua infantili e reticenze pesanti come il piombo. Piombo che è
finito nelle gambe diRoberto Adinolfi, piombo che ha sconvolto quindici
lunghi anni di storia della nostra era repubblicana, e che ora affligge
l’immaginario più retrò, portando con sé anche le bombe. Come sempre accade,
giornali e tiggì offrono al telespettatore il tempo di un giudizio lapidario, e
nulla più. Non interessa il contenuto, interessano emotività e strategia
vincente. Non discostandosi molto da questo cliché, la giornalista Lucia
Annunziata (quanto consapevolmente non si saprà mai) ha deciso di
rompere gli schemi del linguaggio televisivo per tentare di capire, attraverso
affinità e differenze, quali possano essere i prodromi di questa tensione
sociale che ha cominciato a portare un richiamo della violenza politica,
direttamente dalla periferia più ombrosa del nostro inconscio. Nella puntata de
“In ½ Ora”, andata in onda una decina di giorni fa, la Annunziata ha voluto
dedicarsi al problema (che allora era solo di natura eversiva, senza che si
paventasse la possibile ombra stragista) attraverso le esperienze dirette dei
protagonisti degli anni della lotta armata, fenomeno annunciato come se
fosse all’anticamera di una nuova esplosione.
Da una parte Sabina Rossa, deputato del PD e
figlia del sindacalista Cgil Guido Rossa (ucciso dalle Brigate
Rosse il 24 gennaio 1979). Dall’altra, Sergio Segio, fondatore del
gruppo eversivo Prima Linea ed ex militante armato degli anni ’70. Detto che
Segio ha scontato 22 anni di detenzione in seguito alla condanna per gli
omicidi dei magistrati Emilio Alessandrini (gennaio 1979) e Guido
Galli (marzo 1980), detto che lungo questi anni ha abbracciato con
convinzione la strada della non violenza, detto che è impegnato in numerose
iniziative e organizzazioni nel campo del sociale, e che coordina una redazione
impegnata a monitorare la situazione dei diritti sociali nel mondo, fa ancora
specie sentire come il livore di quegli anni non sia affatto scemato, tanto da
indurre più d’uno a giudizi lapidari sulla presenza dell’ex di Prima Linea in
televisione.
Lo sdegno e la brama di forca non si son fatti
attendere e, nonostante la discussione abbia fatto emergere la
possibilità di riuscire a capire la genesi di un movimento come quello della
Federazione Anarchica Informale attraverso i mutamenti della società, il
pensiero (e le parole) si sono concentrati nell’accanimento contro la
tolleranza nei confronti del “peccatore”.Durissimo Cicchitto:
«Pur con tutta la comprensione possibile, tuttavia Segio eviti di darci
consigli sulla lotta al terrorismo». La domanda che sorge spontanea è chi,
secondo Cicchitto, possa essere in grado di dare consigli in quest’ambito: se
qualche giornalista, se il figlio di qualche vittima (che allora era un
bambino), o qualche funzionario di polizia, magari preso tra quelli che dopo
trent’anni hanno ammesso di esercitare regolare tortura a militanti ed eversori
in carcere. Per Maurizio Gasparri, «la presenza di Sergio Segio in
tv su Rai Tre dalla Annunziata in un momento in cui torna la violenza è una
scelta vergognosa. Le tesi giustificazioniste della violenza sono un tragico
errore. Lucia Annunziata cede al richiamo della foresta e si è assunta una
gravissima responsabilità», mentre Lucia Annunziata adduce ad esclusive
motivazioni di “par condicio” la sua scelta, contribuendo a far perdere
spessore alla sua stessa intuizione.
La “par condicio” Sabina Rossa-Sergio Segio non deve
esistere, proprio perché è arrivato il tempo di far cadere etichette e ruoli
ormai consegnati ad una storia passata, storia da utilizzare per comprendere
nuovi possibili pericoli, e non per alimentare inutili recrudescenze.
La polemica che si alza
ogni qualvolta qualche esponente di quel periodo interviene in pubblico è il
termometro dell’immaturità civica (oltre che etica) in cui cade spesso un paese
come il nostro, abituato a non curare ferite e drammi sociali che dovrebbero
essere medicati, prima che dimenticati. Compresi, prima che giudicati. La
spirale di violenza (violenza che fa purtroppo parte dell’indole umana) si
innesca inevitabilmente in un contesto di scontro. Si fa sempre però una gran
fatica a capire quale insegnamento sia consegnato in dote da un’esperienza
dolorosa come quella degli anni Settanta.
Sergio Segio è una persona a cui dovrebbe essere permesso di
parlare, ed è una persona da cui si può riuscire a trarre elementi preziosi per
far sì che non si possa più innescare un processo di guerra. La sua è una
visione empatica di un mondo che è stato il suo. L’esperienza diretta, seppur
atroce, è il miglior bagaglio culturale che si possa tramandare. L’esclusione
coatta per chi ha affrontato un delicato processo intimo, il pregiudizio e
l’astio nei confronti di chi ha riconosciuto e pagato i propri errori, fanno
parte di un imbonimento mentale che porta ad avallare le folli pretese di un
ministro che vuole riempire le strade di militari, legittimando così la stessa
“dottrina dello scontro” da cui Segio ed altri sono usciti.
Una dottrina che il
Ministro Cancellieri vuole cavalcare a spron battuto anche
oggi, dopo la strage brindisina, rischiando di accelerare l’attrito già
stridente tra istituzioni e parti sociali. Questa è la strada più veloce
verso un innalzamento della tensione che, come dice Segio, «dipenderà dalla
risposta che darà lo Stato. Mettere in campo l’esercito, militarizzare il
territorio come in Val di Susa, è il modo migliore per alimentare il
terrorismo», quando la strada più ovvia sarebbe quella di dare «risposte
economiche alla crisi, più equità, tutelare il mondo del lavoro». Perché
«quando c’è il temporale è molto facile che venga a piovere, bisogna quindi
attrezzarsi». Operazione che si può fare dando un occhio a quel disagio sociale
che è in grado di alimentare la minaccia della violenza, ora che i nuovi
brigatisti sembrano raccogliere pericolosi proseliti, e ora che nuovi desideri
dinamitardi sembrano attentare al nostro quotidiano.
Anche Sabina Rossa non si discosta poi molto da questo
pensiero, rimanendo però su binari squisitamente politici: cosa che – a dire il
vero – fa perdere un po’ di forza al ragionamento della parlamentare (che non
nasconde le proprie difficoltà quando il discorso cade sulla nuova nomina da
sottosegretario per l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro).
Strana l’inversione per la quale trent’anni fa era Sabina a rappresentare la
parte umana di un mondo intriso di disumanità, lo stesso mondo di cui Segio
recitava il ruolo principale. Dopo anni, le posizioni sembrano
invertirsi: da una parte il pensiero politichese di una donna inserita ormai in
un meccanismo ben oliato, dall’altra le analisi ben più umane di chi ha avuto
modo di ragionare sulla propria esperienza e sulla propria caduta.
Secondo
il senatore e componente della commissione di vigilanza RAI Enzo Fasano,
però, la Rai si sarebbe messa «al servizio del terrorista Segio, con
l’Annunziata in veste di valletta». Il senatore non usa mezze misure: «Che pena
e che vergogna», ha affermato Fasano, «invece di condanne senza esitazioni del
terrorismo, si mandano in onda tesi giustificative richiamando i fatti del G8,
dove c’era chi tentava di uccidere i carabinieri. Anche con la cattiva
informazione si alimenta la violenza». Ecco, la cattiva informazione. La
condanna del terrorismo attraverso la gogna. Le parole tanto vuote quanto
voluminose, atte a schiacciare il pensiero e l’analisi: parole volte al
terrore, perché – per riprendere le dichiarazioni di Segio – «quando una
democrazia non riesce ad aprire gli armadi dove ci sono gli scheletri,
contribuisce ad alimentare questi fatti». Tanto da non poter parlare del G8
come una delle pagine più buie della nostra democrazia.
La minaccia, dunque, incombe su un’Italia statica e
incosciente, ancora avviluppata nei suoi drammi passati, in cui ama
crogiolarsi. Eppure, tra militari all’orizzonte, bombe davanti alle scuole e
condanne figlie dei tabù più incrostati, si continua a dire (anche per bocca
delle istituzioni) che «questa volta il paese è preparato». Quel che si
riscontra è invece un paese ancora convalescente e ancora alle prese con gli
scheletri nel proprio armadio, che nessuno ha intenzione di smantellare. Di
questa presunta preparazione ancora non v’è traccia, tra ombrelli che sembrano
tutti chiusi mentre il temporale incombe alle nostre spalle.
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