Senza arrivare a queste performance, comunissimo è lo smanettare , sempre a tavola o mentre si fa finta di ascoltare l'altro/a, il proprio Iphone, o Tablet, o Ipad.
Sappiamo tutti di essere altamente maleducati mentre facciamo tutto questo, ma è più forte di noi.
Questo bisogno di essere sempre in contatto, ma a distanza, che vuol dire? Che significato profondo ha?
Capisco chi in auto, o camminando da un luogo ad un altro, telefoni o messaggi....incapace di stare solo anche per un minuto, di osservare ciò che ha intorno o semplicemente stando con se stesso. Troppo noioso, si può capire, visto il vuoto di tante teste : meglio passare il tempo parlando o twittando.
Ma quando si è di fronte ad un'altra persona? Possibile che non ci sia MAI un momento in cui siamo in grado di dedicarci interamente ad un altro?
Oppure il problema sta in una curiosità crescente e momentanea, per cui vogliamo essere sempre aggiornati senza approfondire mai nulla?
C'è poi l'altra faccia della luna : quanto in realtà il cellulare, o il tablet, rappresentano la fuga da una conversazione che è diventata ormai insopportabilmente noiosa?
Di questo tratta l'articolo comparso sul Corsera qualche giorno fa, a firma Elvira Serra.
Leggiamolo insieme.
Sono giovani, sono
belli. Si parlano appena. C’è della musica in sottofondo. La candela accesa
promette intimità. Ma non è l’unica luce, sulla tovaglia candida. Si illumina
l’iPhone, lampeggia il blackberry. Gli sguardi passano rapidi dagli occhi del
partner allo schermo del telefonino. Quei due sono soli, insieme. Alone
Together, il saggio di Sherry Turkle, un grido di allarme rilanciato di recente
sul New York Times dalla psicologa e docente al Massachusetts
Institute of Technology.
«Ci stiamo abituando a stare con una persona e
contemporaneamente a essere da un’altra parte. Ormai ci aspettiamo più dalla
tecnologia che dagli altri, non sappiamo più conversare, essere pazienti,
ascoltare rispettando i tempi del nostro interlocutore. Stiamo perdendo la
profondità».
La ricercatrice andrebbe presa sul serio. E non soltanto perché ha dedicato gli ultimi quindici
anni della sua vita a studiare l’impatto psicologico delle nuove tecnologie
sulle nostre relazioni interpersonali (ed è passata dall’entusiasmo allo
sconforto). Ma dovrebbe insospettirci anche l’intervista del capo mondiale del
design di Nokia, Marko Ahtisaari, sul nuovo numero di Wired America:
ha esordito raccontando di una coppia che festeggiava San Valentino al
ristorante.
«Erano assorbiti dal touch screen del proprio smartphone
anziché l’uno dall’altra. Il continuo evolversi dei telefonini, con schermi sempre
più grandi e innumerevoli contenuti, catturano completamente la nostra
attenzione isolandoci da ciò che ci circonda e facendoci vivere un’esperienza
mobile completamente “immersiva”. Per me, invece, è importante che le persone
si guardino negli occhi sempre, non perdano un solo istante di socialità.
Qualcosa va migliorato».
«L’assenza di
comunicazione interna era controbilanciata da un eccesso di interazioni
virtuali. Molte persone sono continuamente proiettate all’esterno della
relazione. Io proporrei di dedicare al partner la metà del tempo che si dedica
ai social network: succederebbero cose meravigliose».
Il rischio di distrarsi non riguarda soltanto coppie longeve
e fisiologicamente stanche. Nicoletta Alessi, 35 anni, milanese, è sposata da
un anno con Cristiano. «In questa fase abbiamo molta voglia di stare insieme e
di dedicarci l’uno all’altra. Però anche così capita che lui mi rimproveri di
preferirgli il blackberry. È una cosa odiosa, di cui non mi rendo conto. Lui,
d’altra parte, dopo cena si fissa con il tablet: e io lo sapevo che nel momento
in cui l’avesse comprato sarebbero cominciati i guai».
La parola parlata sta diventando sempre più sconosciuta: è
frammentata, interrotta, depotenziata. «Quando comunichiamo in una chat il
nostro assetto emotivo cambia rispetto all’ordinario. Internet, social network
e cellulari sono diventati dei facilitatori emozionali, ci fanno dire cose che
a voce, di persona, non diremmo mai. Ma le emozioni così non si consolidano.
Ecco allora la dispersione relazionale e l’incapacità di vivere rapporti
profondi e stabili», spiega Daniele La Barbera, docente a Palermo e presidente
della Società italiana di psicotecnologie e clinica dei nuovi media.
L’americano Meredith Parents Network ha
appena pubblicato una ricerca su mille mamme nate tra il 1977 e il 1994,
rivelando che il 12 per cento non rinuncia a usare il cellulare neppure in un
momento privato come il rapporto sessuale (????!!!). Non è questo ciò a cui pensiamo
quando diciamo che telefonini e Internet sono entrati a far parte della vita
quotidiana. Però è vero: «È cambiato il nostro modo di essere presenti e
assenti ogni giorno. Si è moltiplicata la nostra possibilità di interagire con
persone lontane, ma stiamo anche resettando i rapporti con chi abbiamo vicino»,
interviene Federico Tonioni, responsabile dell’ambulatorio per le dipendenze da
Internet del Policlinico Gemelli, 450 pazienti visitati in tre anni. Giuseppe
Riva, docente dei nuovi media alla Cattolica di Milano, aggiunge: «La
tecnologia è passata molto rapidamente da una impostazione pc-centrica, che
aveva il personal computer come mezzo ed era delimitata in uno spazio fisico,
la scrivania, e in un orario, quello di lavoro, a uno scenario mobile che non
ha più nessun limite».
Una volta per salvaguardare la coppia si raccomandava di non
mettere la tivù in camera da letto. Adesso gli esperti ci suggeriscono di
spegnere il telefonino. Speriamo che basti.
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